Oggi
- 22 giugno 2025 - XII domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra
la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, indicata anche con
l’espressione latina “Corpus Domini” (“Corpo del Signore”), una delle
principali ricorrenze dell'anno liturgico. Il suo giorno proprio è il
giovedì della seconda settimana dopo la Pentecoste, ma la celebrazione è
posticipata alla successiva domenica, per favorire la massima
partecipazione dei fedeli. La solennità, che rievoca la liturgia della
“Messa nella Cena del Signore” (“Missa in Cena Domini”) del Giovedì
Santo, fu istituita a Orvieto (oggi in provincia di Terni, regione
Umbria) da papa Urbano IV (dal 1261 al 1264), con la bolla “Transiturus
de hoc mundo” (“Quando stava per passare da questo mondo”) dell'11
agosto 1264, come festa di precetto che estese a tutta la Chiesa,
fissandola giovedì dopo l'Ottava della Pentecoste. Nella bolla il
pontefice spiega chiaramente la motivazione che lo indusse a istituire
la solennità, affermando: «… Sebbene l'Eucaristia ogni giorno sia
solennemente celebrata, riteniamo giusto che, almeno una volta l'anno,
se ne faccia più onorata e solenne memoria. Le altre cose, infatti, di
cui facciamo memoria, noi le afferriamo con lo spirito e con la mente,
ma non otteniamo per questo la loro reale presenza. Invece, in questa
sacramentale commemorazione del Cristo, anche se sotto altra forma, Gesù
Cristo è presente con noi nella propria sostanza. Mentre stava,
infatti, per ascendere al cielo, disse: “Ecco io sono con voi tutti i
giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20) …». La Chiesa, dunque, con
una tradizione antica ormai di sette secoli circa, celebra il grande
Mistero del Corpo e del Sangue del Signore due volte nell’anno
liturgico, il Giovedì Santo e, alla fine del tempo pasquale, in questa
festa del Corpus Domini. Non si tratta però di una ripetizione, quanto
piuttosto di un “approfondimento” di questo Mistero di amore e di unità.
Il Giovedì Santo contempliamo il mistero dell’Eucaristia soprattutto
nella sua essenza riassuntiva e sintetica della Pasqua, quale segno
profetico di ciò che si è realizzato nella passione, morte e
risurrezione di Gesù. Nella solennità del Corpo e del Sangue di Cristo,
invece, questo stesso Mistero è celebrato in particolare nella sua
finalità ecclesiale, come generante la Chiesa e costruttore della
comunità dei fedeli in un solo corpo e spirito. Il Corpo del Signore che
celebriamo oggi, dunque, siamo anche noi. Questa è quindi la nostra
festa, quella di uomini e donne che vengono compaginati insieme per
azione dello Spirito e costituiti membra del Corpo di Cristo, in unione a
Lui nostro capo. Questa ricorrenza ci ricorda che il pane e il vino,
durante la Santa Messa, attraverso la preghiera della Chiesa, la
pronuncia delle preposte parole del Signore e la potenza dello Spirito
Santo, sono trasformati nel Corpo e Sangue di Cristo. Si tratta della
“Epiclesi” [dal greco “epìklēsis” (“invocazione”), a sua volta derivante
da “epikalêo” (“chiamare”)]. La preghiera della Messa nella quale il
sacerdote celebrante e per esso la Chiesa, con speciale invocazione,
implora la potenza divina affinché i doni offerti dagli uomini, nella
fattispecie il pane e il vino, siano consacrati per opera dello Spirito
Santo e diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima
immolata, che si riceve nella comunione, giovi alla salvezza di coloro
che vi parteciperanno (Messale Romano, Preghiera Eucaristica II).
L’odierna solennità ci rammenta anche, però, che il fine dell’Eucaristia
non è semplicemente la presenza reale di Cristo, bensì la nostra
trasformazione nel “corpo escatologico ed ecclesiale del Signore”,
attraverso la comunione al corpo sacramentale. Questa festa è
accompagnata tradizionalmente, quando non vi sono motivi ostativi come
l’attuale pandemia, da una processione eucaristica che parte al termine
della Santa Messa principale, finalizzata a portare la presenza
sacramentale del Signore “nel cuore del mondo”. Tuttavia, non dobbiamo
pensare che, ponendoci staticamente davanti al Santissimo Sacramento
portato in processione, ci sia sufficiente contemplare con gli occhi il
mistero che si rivela nell’Eucaristia. Infatti, la presenza sacramentale
- come anche la riserva eucaristica custodita nel tabernacolo - non è
solamente orientata ai nostri occhi perché ci poniamo semplicemente in
adorazione davanti a essa, bensì è orientata alle nostre bocche, perché
ce ne nutriamo e ci lasciamo trasformare nel corpo ecclesiale del
Signore. Adorare, invero, significa etimologicamente “portare alla
bocca”, giacché il termine deriva dal latino “adoratio”, composto della
particella “ad” e della parola “ore” (“bocca”, da “os”) e si riferisce
al gesto di mettere la mano alla bocca come segno di annullamento della
propria parola e manifestazione, a vantaggio dell'Essere Supremo.
Portare l’Eucaristia in processione nel cuore delle nostre città e
paesi, là dove gli uomini e le donne lavorano e vivono, gioiscono e
patiscono, significa non tanto mostrare il mistero del Corpo del
Signore, quanto affermare e testimoniare che il Signore si è fatto cibo,
perché tutti se ne nutrano, lasciandosi trasformare ogni giorno. Cristo
ha voluto essere presente in mezzo a noi nei segni sacramentali, per
entrare nella nostra quotidianità e per invitarci a nutrirci di lui,
della sua parola e della sua carne, per diventare noi stessi parola e
carne. Questa festa ci ricorda allora che siamo “lievito nella pasta” e,
pertanto, noi che partecipiamo all’Eucaristia, che lasciamo che
alimenti la nostra vita, siamo segno di quell’unità cui è chiamata tutta
l’umanità. Il pane e il vino rivestono così un’importante e molteplice
valenza simbolica, rappresentando ad esempio la natura (sono frutti
della terra) e la cultura (sono frutti del lavoro umano). Inoltre, sono
cibo e bevanda, dunque gli elementi vitali per eccellenza che
accompagnano l’uomo dal suo nascere al suo morire, durante tutta la sua
vita. Il pane e il vino rinviano poi alla convivialità e alla comunione,
poiché il cibo eucaristico, significato da questi simboli della vita
così elementari e pregnanti, anticipa e prefigura quella vita eterna e
quella comunione senza più ombre con Dio e tra di noi che, donata in
Cristo, sarà realtà per sempre e per tutti nel Regno di Dio.
Nell’Eucaristia, vi è poi una dimensione cosmica universale che non può
essere dimenticata. Il mondo e l’intera umanità che Cristo ha
riconciliato con Dio sono presenti nell’Eucaristia: nel pane e nel vino,
nella persona e nel corpo dei fedeli e nelle preghiere che essi offrono
per tutti gli uomini. Non è azione di giusti ma di peccatori. Non è il
cibo dei perfetti, ma il farmaco che ci guarisce dai nostri mali, come
ricorda Sant’Ambrogio. Immagine:
“Pala del Corpus Domini”, olio su tela datato al 1472-1474 di Giusto di
Gand (1430-1480); con predella a tempera su tavola di Paolo Uccello
(1397-1475) datata al 1467-1468. L’intera opera è conservata nella
Galleria nazionale delle Marche a Urbino.
Roberto Moggi
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