Oggi
- 23 giugno 2025 - lunedì della XII settimana del Tempo Ordinario, la
Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giuseppe Cafasso,
sacerdote. Giuseppe venne al mondo il 15 gennaio 1811 a Castelnuovo
d’Asti, nel Piemonte appartenente al Regno di Sardegna [oggi Castelnuovo
Don Bosco (in provincia di Asti, regione
Piemonte), che porta questo nome in onore di San Giovanni Bosco
(1815-1888), che vi nacque solo quattro anni dopo]. Nella sua famiglia
d’origine, composta di modesti contadini profondamente religiosi, era il
terzo di tre figli, dei quali la sorella Marianna divenne madre del
Beato Giuseppe Allamano (1851-1926), futuro rettore del convitto e
santuario della Consolata a Torino, e fondatore dell’Istituto Missioni
della Consolata. Frequentò le scuole pubbliche del suo paese, per poi
entrare nel Seminario di Chieri (Torino). Difficile era prevedere per
lui un futuro brillante, giacché a scuola andava piuttosto male e aveva
un tono di voce sommesso, ma ricevette comunque l’ordinazione
sacerdotale il 21 settembre 1833, nella chiesa dell’Arcivescovado di
Torino. L’anno dopo ebbe il provvidenziale incontro con l’insigne
moralista e teologo Don Luigi Guala (1775-1848), propugnatore della
spiritualità di Sant’Ignazio di Loyola, il quale fondò il convitto
ecclesiastico San Francesco d’Assisi, volto alla formazione del clero
torinese, dove Giuseppe entrò nel 1834. Intanto in Piemonte iniziarono i
moti risorgimentali e la Chiesa, già duramente perseguitata sotto
Napoleone, si apprestava, dopo il regno del cattolico e amico della
Chiesa Re Carlo Alberto (1798-1849), salito al trono nel 1831, a
ricevere feroci attacchi dal nuovo governo liberale e massonico.
Giuseppe si distinse presto come Padre Spirituale, direttore di anime,
consigliere di vita ascetica ed ecclesiastica e formatore di sacerdoti,
che diventavano a loro volta formatori di altri preti, religiosi e
laici, in una sorprendente ed efficace catena. Fu rettore per
ventiquattro anni del convitto ecclesiastico di Torino, che nel 1870
mutò sede e da via San Francesco si trasferì al Santuario della
Consolata. Le sue lezioni erano attraenti perché costruite sulle verità
di Fede e sul sapiente bagaglio di conoscenze, ma anche pulsanti di
documentazione raccolta dal vivo nel confessionale, al capezzale dei
morenti, nelle missioni predicate al clero, al popolo e nelle carceri,
luogo a lui molto caro. Uomo di sintesi e non di pedanti trattazioni,
combatté il rigorismo. Voleva fare di ogni sacerdote un uomo di Dio
splendente di castità, di scienza, di pietà, di prudenza, di carità.
Assiduo alla preghiera, alle funzioni religiose, al confessionale e
devoto di Maria Santissima, era abituato ad attingere forza dal Santo
Sacrificio. Primo dovere del prete, diceva, era quello di essere santo
per santificare. Fu confessore della Serva di Dio Giulia Falletti di
Barolo (1786-1864) e, fra i tanti sacerdoti da lui formati, molti furono
quelli che diventarono fondatori di pie opere caritatevoli o istituti e
congregazioni religiose. Ricordiamo, uno fra tutti, il già accennato
suo compaesano San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani e delle
Figlie di Maria Ausiliatrice. Tuttavia, operò soprattutto per la
conversione dei peccatori della sua Torino, dedicando un’attenzione
speciale ai carcerati e condannati a morte, dei quali ne accompagnò ben
sessantotto al patibolo, talmente convinto della loro salvezza
spirituale, ottenuta per intercessione della Madonna, che li chiamava i
suoi “Santi impiccati”. Aveva, infatti, l’ambizione di fare entrare
tutti i condannati a morte subito in Paradiso, senza che passassero per
il Purgatorio e per ottenere questo dedicava tutto se stesso alla loro
conversione. E’ proprio il caso di dire che, per quegli sventurati, fece
più lui di mille leggi. Era assiduo frequentatore delle carceri, dette
criminali o senatorie, tanto da rimanervi fino a tarda notte e a volte
tutta la notte in compagnia dei condannati alla forca che dovevano
essere giustiziati all’alba successiva. Portava loro sigari e tabacco da
fiutare, al posto della calce che i carcerati raschiavano dai muri e
annusavano per stordirsi; ma soprattutto accompagnava fino alla
conversione ladri e assassini efferati. Erano lenti e tormentati
pentimenti, altre volte, invece, si trattava di conversioni immediate,
che avvenivano anche pochi istanti prima dell’impiccagione. Il “Prete
della forca”, com’era chiamato dal popolo, usava immensa misericordia,
possedendo un’intuizione prodigiosa dei cuori e trattava i suoi “Santi
impiccati” come “galantuomini”, tanto che il colpevole sentiva così
forte e vero il suo amore paterno e in esso l’Amore di Dio Padre, da
piegarsi all’accettazione della propria sorte, alla conversione e a
desiderare di morire per arrivare presto in Paradiso con Gesù, come il
buon ladrone, crocefisso sul Calvario. Intanto le aspirazioni
patriottiche del momento storico si ponevano in contrasto con le
intenzioni giacobine e anticristiane. Clero e fedeli erano spinti a
prendere posizioni estreme, ma Cafasso adottò una linea precisa:
intransigente sulla dottrina e sui principi, schierato con la Chiesa e
con il papa, ma ugualmente comprensivo con le anime e saggio moderatore
nell’ordine pratico. Al clero piemontese raccomandò di non invischiarsi
nelle questioni politiche, con esito talmente positivo che non si
trovarono più sacerdoti seduti in Parlamento, ad approvare leggi filo
monarchiche o pronti a professare l’errore dai pulpiti. Minato nel
fisico, già piuttosto gracile a causa delle penitenze cui si sottoponeva
e dalle fatiche del suo intenso apostolato, morì a Torino il 23 giugno
1860, a soli quarantanove anni. Qui fu seppellito all’interno del
Santuario della Consolata, dove tuttora si trovano i suoi resti nella
cappella a lui dedicata. Fu beatificato da papa Pio XI nel 1925,
canonizzato da Pio XII il 22 giugno 1947 e l’anno dopo proclamato
“Patrono delle carceri d’Italia”. Oggi è patrono dei carcerati e dei
condannati a morte. Dotato di calma, accortezza e prudenza, fu
soprattutto il grande nemico del peccato.
Immagine: “San Giuseppe Cafasso”, stampa realizzata, nel 1895, dal pittore torinese Enrico Reffo (1831-1917). L’opera si trova presso la diocesi di Torino.
Roberto Moggi
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Immagine: “San Giuseppe Cafasso”, stampa realizzata, nel 1895, dal pittore torinese Enrico Reffo (1831-1917). L’opera si trova presso la diocesi di Torino.
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