San Cirillo di Gerusalemme

Oggi - 18 marzo 2025 - martedì della II settimana di Quaresima, la Chiesa consente la commemorazione di San Cirillo, noto con la specificazione “di Gerusalemme” (che indica la città di nascita), vescovo e dottore della Chiesa. Le informazioni che abbiamo di lui ci giungono dagli scrittori suoi contemporanei Rufino di Aquileia, Epifanio di Salamina, San Geronimo (o Girolamo) e da alcuni storici del V secolo, tra cui Sozomeno e Socrate Scolastico. Kyrillos o Cyrillus (Cirillo) - questo il suo nome rispettivamente in greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e in latino - nacque a Gerusalemme, capitale del Regno di Giudea sotto protettorato della Palestina romana, probabilmente nel 313 o 315, da una famiglia ebrea benestante convertita al cristianesimo. Pochissimo si sa della sua giovinezza. Lo ritroviamo nel 335 - ma secondo altre fonti nel 345 (quindi ben dieci anni dopo) - quando fu ordinato presbitero dal vescovo Macario di Gerusalemme o dal suo successore Massimo, entrambi futuri santi, sotto la cui guida esercitò il ministero sacerdotale nella diocesi di Gerusalemme. Colto, saggio, incline al dialogo e alla conciliazione, mediò e placò le dispute tra le varie correnti filosofiche della Chiesa gerosolimitana del momento, tra le quali abbracciò quella guidata dal vescovo Eusebio di Cesarea. Questa scuola di pensiero, era situata in una posizione mediana tra la teologia di Atanasio di Alessandria detto “il Grande”, vescovo e teologo che diventerà anch’egli santo e dottore della Chiesa (che fu poi quella ufficialmente accettata da quella Chiesa) e quella del presbitero e teologo berbero Ario, indicata come “Arianesimo”, condannata come eretica nel primo Concilio di Nicea del 325. Il “tema del contendere” - in estrema sintesi - era quello della divinità di Cristo. Gli ariani non la riconoscevano, Atanasio ne sosteneva la “Consustanzialità” (stessa natura) con quella del Padre, mentre Eusebio e lui erano per una posizione in qualche modo “intermedia” tra le due precedenti, dove Cristo era definito, in greco, “Hómoios”, cioè “Simile al Padre”. Cirillo fece il suo servizio presbiteriale in una Gerusalemme che, dopo molti anni di distruzioni, violenze e soprusi, tornava lentamente alla sua originaria grandezza e sulla quale tornava a focalizzarsi l’interesse dei “potenti”. Tra questi l’Imperatrice Elena madre dell'Imperatore Costantino I, che vi si era recata nel 323 alla ricerca della Santa Croce di Gesù, o lo stesso Imperatore Costantino che, nel 335, vi fece erigere la Basilica del Santo Sepolcro, dove Cirillo predicò. Sotto un altro Imperatore romano, Flavio Claudio Giuliano detto “l’apostata”, si tentò anche di ricostruire il Tempio di Gerusalemme distrutto duecento anni prima. Sebbene non risulti che si sia mai fatto monaco, Cirillo praticò con passione e impegno l’ascesi tipica del “Cenobitismo” (forma comunitaria di monachesimo, praticata in monasteri, sotto la guida di un'autorità spirituale, secondo una disciplina fissata da una regola). Divenne un profondo esperto della Sacra Scrittura e la prova si ha dalle numerose citazioni che egli ne ha fatto nelle sue opere, specialmente nelle famose “Catechesi”, che servivano da istruzione per i catecumeni, per le quali è universalmente famoso e ammirato ancora oggi. Si tratta d’insegnamenti con ampie e continue citazioni bibliche, semplici nella forma, accessibili a tutti nel linguaggio, appassionate e persuasive nello stile, spiritualmente solide e nutrienti. Insomma, si faceva capire da tutti quelli che erano interessati a capire, tanto più dalla gente semplice e senza istruzione, che aveva però volontà e desiderio di prepararsi bene per il battesimo. Se oggi possiamo apprezzare la bellezza e la profondità delle sue lezioni, lo dobbiamo a uno dei suoi tanti uditori, purtroppo non meglio identificato. Si tratta di un seguace ben istruito, che non solo fu attento nell’ascoltarlo, ma ebbe anche la felicissima intuizione di trascriverne i tanti discorsi e sermoni, che così sono giunti fino a noi. Tra il 347 e il 350 circa, Cirillo fu nominato vescovo di Gerusalemme da Acacio (340-365), metropolita dell'arcidiocesi di Cesarea di Palestina. Tuttavia, da costui arrivò non solo l’unzione episcopale ma anche una pioggia di guai e sofferenze per lui, da sempre troppo buono e mite per difendersi adeguatamente. Tra i due, Infatti, sorsero quasi immediatamente forti attriti, per questioni sia amministrative sia teologiche. Al tempo stesso, furono a torto insinuati forti dubbi sulla legittimità della sua elezione episcopale e sulla sua stessa ortodossia, dovuti proprio al fatto di essere stato nominato vescovo da Acacio, considerato propenso all’arianesimo e che, invero, dopo un’iniziale semplice simpatia per tal eresia, ne divenne poi apertamente e convintamente seguace. Era, quella ariana, un’eresia micidiale per l’ortodossia cristiana, poiché minava alla radice la fede nella Trinità e distruggeva la cristologia. Gesù, visto dagli ariani, non poteva essere il Salvatore e Redentore di tutti, perché il suo sacrificio non poteva avere valore universale, non essendo Figlio di Dio. Proprio per questo - come già accennato - Ario e la sua dottrina erano stati condannati nel Concilio di Nicea del 325, dove si affermò solennemente che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, “della stessa sostanza” del Padre e “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato” (come recita la preghiera del credo cosiddetto “Niceno-Costantinopolitano”, elaborata nei due concili di Nicea del 325 e Costantinopoli del 381). Quando l’arianesimo di Acacio divenne manifesto, Cirillo, volendosi staccare dal suo controllo, riaprì una vecchia questione concernente la supremazia della sede metropolitana di Gerusalemme rispetto a quella di Cesarea, rivendicando maggiore autonomia e sconfessando nei fatti il primato di Acacio stesso. Quest’ultimo allora, come risposta, convocò un sinodo per giudicare l’operato di Cirillo, che però non vi partecipò neppure, consapevole che vi sarebbero stati presi provvedimenti “precostituiti” contro di lui, giacché la maggioranza dei giudici era ariana. Nel sinodo fu accusato d’insubordinazione, di vendita dei beni della Chiesa (cosa effettivamente fatta, evangelicamente, per nutrire i poveri in tempo di carestia) e di avversare le tesi ariane. Fu in quell’occasione che lo si accusò di essere, con difficile parola greca coniata appositamente, “Homoousios” [vocabolo formato dall’unione di “Homôs”, che significa “Ugualmente”, con “Ousia”, che equivale a “Essenza” o “Sostanza”, il cui risultato composto significa: “Quelli che hanno la stessa essenza (o sostanza)”]. In pratica, il termine “Homoousios”, che ebbe molta fortuna nei concili per spiegare i rapporti all'interno della Trinità. era considerato indicazione dell’ortodossia e quindi dell’antiarianesimo. Il risultato del sinodo era già annunciato, la condanna all’esilio. Cirillo ci andrà ben tre volte in circostanze diverse, per cui, dei suoi trentasei anni di episcopato, ben sedici li passerà al confino. Fu solo nel Concilio di Costantinopoli del 381 che Cirillo poté finalmente dissipare tutti i dubbi che gli si attribuivano erroneamente, anche su sue presunte simpatie ariane, che per la verità non ebbe mai, sottoscrivendo e accettando anche il termine “Homoousios”, cioè “della stessa sostanza”. Cirillo non era solo un Pastore intraprendente e brillante nell’educare cristianamente il suo popolo, ma era anche molto sensibile e sollecito verso i poveri. Carità e assistenza ai bisognosi lo accompagnarono sempre. Per lui, nutrire il corpo di Cristo spiritualmente nella catechesi e aiutarlo anche nel bisogno fisico, era un tutt’uno. Morì a Gerusalemme il 18 marzo 387. Papa Leone XIII il 28 luglio 1882 lo proclamò Dottore della Chiesa.
IMMAGINE: "San Cirillo di Gerusalemme", stampa ad incisione a bulino realizzata, nel 1750 circa, dal disegnatore, incisore e pittore fiorentino Francesco Bartolozzi (1727-1815). L'opera si trova presso i Musei Civici di Venezia.
Roberto Moggi
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