Oggi - 15 febbraio 2025 - sabato della V settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari altri, i Santi Faustino e Giovita, martiri. Di Faustinus (Faustino) e Iovita (Giovita) - questi i loro nomi in latino - si hanno poche notizie, riguardanti quasi esclusivamente il loro martirio. Erano due giovani coetanei, cresciuti insieme e uniti da una profonda amicizia, entrambi provenienti da nobili famiglie pagane, nati probabilmente sul finire del I o all’inizio del II secolo a Brixia, nel settentrione della Provincia Romana d’Italia, corrispondente all’incirca all’omonima penisola (oggi Brescia, capoluogo di provincia nella regione Lombardia). Intrapresero ambedue la carriera militare, distinguendosi e giungendo alla dignità di “equites” (“cavalieri”), oltre che a una posizione di rango nell’amministrazione cittadina. Entrati in contatto con la locale comunità cristiana, grazie a una lunga amichevole frequentazione con il vescovo del posto, Apollonio (nato e morto a cavallo tra il I e il II secolo), futuro santo, si convertirono al cristianesimo, venendo battezzati proprio da quest’ultimo. Furono subito attivi nella collettività cittadina dei credenti in Gesù, contraddistinguendosi per l’efficace predicazione, la carità e l'esempio di vita, tanto che Apollonio nominò Faustino presbitero e Giovita diacono. L'efficacia delle loro catechesi, dimostrata dalle tante conversioni ottenute, sollevò però l'ostilità dei pagani, soprattutto dei molti potenti della città che temevano la diffusione del cristianesimo, tanto più se promossa, come loro facevano apertamente, anche negli ambienti sociali di elevata responsabilità civile e militare. Così, alcuni influenti personaggi pubblici pagani, approfittarono della terza persecuzione contro i cristiani ordinata dall’Imperatore Traiano (dal 98 al 117) e invitarono Italico, governatore della regione della Raetia (Rezia) cui Brixia apparteneva, ad arrestare i due. L’alto funzionario imperiale, considerando il lignaggio dei due cavalieri, si rivolse direttamente al nuovo imperatore Adriano (dal 117 al 138), approfittando della sua presenza nella vicina Mediolanum (Milano). Udite le accuse, quest’ultimo ordinò di arrestare i due e perseguitare tutta la comunità cristiana di Brescia, intenzionato a mantenere in tutte le province l'assoluta obbedienza agli dei, da cui, riteneva, gli imperatori traevano autorità e rispetto. Entrambi furono così incatenati e condotti innanzi al governatore di Brescia, che, come di prassi, li invitò a rinnegare pubblicamente la loro fede e a sacrificare agli dei pagani, sotto minaccia di decapitazione, ottenendone un netto rifiuto. Proprio in quel frangente, visitò la città lo stesso imperatore, che, sollecitato ancora da Italico, impose ai due l’atto di devozione al dio Sole. Tuttavia, gli eroici giovani rifiutarono di nuovo e colpirono una statua della divinità pagana, venendo subito condannati a essere dati in pasto alle belve affamate. Il giorno dell’esecuzione, però, condotti nella locale arena alla presenza dell’imperatore, miracolosamente non subirono danno alcuno dalle bestie feroci, che restarono mansuete ai loro piedi, mentre tutti e due, col viso illuminato da una gioia sovrumana e gli occhi rivolti al cielo, a gran voce pregavano e invitavano alla conversione gli spettatori. Il prodigio spinse molti bresciani a convertirsi a Cristo. Tra questi persino la coraggiosa Afra, moglie del governatore Italico, che in seguito giunse pure fino al martirio e alla gloria degli altari, oltre a Calogero (o Calocero), ministro del palazzo imperiale di Roma, che rivestiva anche il ruolo di comandante della Corte Pretoria, la guardia personale dell’imperatore. Adriano sentì in grave pericolo la sua stessa autorità e ordinò che i giovani fossero scorticati vivi e messi al rogo. Tuttavia, i carnefici non riuscirono nel loro orribile intendimento e pure le fiamme, cui alla fine furono consegnati, prodigiosamente non riuscirono nemmeno a lambire le loro vesti. Le conversioni in città ebbero ancora più larga diffusione e l’imperatore, allora, decise di far condurre i giovani lontano da Brescia, a Milano. Nel corso della prigionia in quest’ultima città, le torture procedettero incessanti e tremende, accanto al verificarsi di eventi miracolosi. Vista l'inutilità di ogni ferocia i due giovani furono trasferiti a Roma, dove furono ancora inutilmente offerti alle belve del Colosseo. Si decise infine di esiliarli a Neapolis (Napoli) imbarcandoli su una nave colà diretta, ma una terribile tempesta, durante il viaggio, stava ormai per fare affondare la nave, quando essi con la preghiera calmarono immediatamente le acque, permettendo alla nave di giungere al porto. Nonostante la vasta serie di prodigi e le tante conversioni scaturite, le angherie verso i due continuarono, fino alla decisione di abbandonarli al loro destino in alto mare, soli su una barchetta senza remi e vele che, però, fu incredibilmente riportata a riva. L'imperatore, sempre più meravigliato e contrariato, ordinò allora di chiudere definitivamente la questione con la decapitazione, da eseguire nella loro natia città, nella quale furono ricondotti. Così, un 15 febbraio compreso tra il 120 e il 134 circa, il neo nominato prefetto imperiale di Brescia, fece decapitare i due giovani eroi cristiani fuori dalle mura cittadine, poco oltre Porta Matolfa (chiamata poi Porta Cremona). La sepoltura avvenne in un’area che prenderà il nome di cimitero di San Latino, nel luogo in cui successivamente il vescovo Faustino (dal 360 al 381), altro personaggio destinato alla santità, farà edificare la chiesa di “San Faustino ad Sanguinem”. Le sante reliquie dei giovani martiri, recuperate, sono oggi conservate a Brescia, nella basilica a loro dedicata. Il culto dei Santi Faustino e a Giovita si diffuse verso l'VIII secolo. Risale a questo periodo la narrazione della loro coraggiosa testimonianza. I Longobardi diffusero la devozione per i due santi in tutta l'Italia. Brescia confermò con maggior forza il loro patronato sulla città dopo la prodigiosa apparizione dei due santi sulle mura della città, nel corso dei decisivi combattimenti che portarono i milanesi a levare un feroce assedio, il 13 dicembre 1438. Si narra che sulle mura di Brescia, stretta in assedio dalle truppe milanesi di Niccolò Piccinino, assoldate dal Ducato di Milano per riconquistare Brescia da poco entrata nei domini della Repubblica di Venezia, apparvero sugli spalti del Roverotto, il settore nord-est dell'antica cinta muraria, le loro figure in difesa della città. I due respinsero le palle delle cannonate a mani nude e, secondo la tradizione, il condottiero assediante sospese l’attacco, stupito e spaventato, affermando che lui “combatteva contro i fanti e non contro i santi”. Il 17 dicembre l’esercito milanese cessò definitivamente l’assedio e lasciò la città, libera, al suo destino. La gioia per lo scampato pericolo si trasformò subito in festa per tutti i bresciani. La festa per i Santi patroni Faustino e Giovita fu stabilita proprio in quel giorno straordinario e, di comune accordo, il comune gli innalzò, al Roverotto, appunto nel luogo della loro apparizione, il monumento che ne ricorda l’intervento miracoloso.
IMMAGINE: "Pala della Mercanzia", pala d'altare dove si vedono i Santi Faustino e Giovita rispettivamente al fianco destro e sinistro della Madonna con Bambino. Olio su tela realizzato, sul finire del XV secolo, dal pittore bresciano Vincenzo Foppa (1427/1430 circa-1515 circa). L'opera è esposta nella Pinacoteca Tosio Martinengo, a Brescia (capoluogo dell'omonima provincia della regione Lombardia).
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