Oggi - 14 febbraio 2025 - venerdì della V settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la festa dei Santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo, ricordati, per la loro immane opera di evangelizzazione di quei popoli, come gli "Apostoli degli slavi". Kýrillos o Cyrillus (Cirillo) e Methódios o Methodius (Metodio) - questi i loro nomi, rispettivamente in greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e latino, assunti dopo essere diventati monaci cristiani di rito greco-bizantino - si chiamavano alla nascita Costantino (Cirillo) e Michele (Metodio). Erano fratelli carnali, nati entrambi a Tessalonica di Macedonia, nella Grecia appartenente all’Impero Romano d’Oriente (oggi Salonicco, nel settentrione della Grecia continentale), in una famiglia notabile di cultura superiore, rispettivamente ultimo e penultimo dei sette figli del magistrato imperiale Leone. Cirillo nacque tra l’826 e l’827. Intelligente e colto, imparò la lingua slava fin da ragazzo. All’età di quattordici anni fu mandato nella capitale Costantinopoli per esservi istruito finemente, avendo per compagno di studi il futuro imperatore Michele III (840-867). In quegli anni si addentrò nelle diverse materie umanistiche, fra le quali la dialettica, sotto la guida del grande Fozio I (810-891), patriarca di Costantinopoli per ben due volte. Dopo aver rifiutato un brillante matrimonio, ricevette gli ordini sacri e divenne bibliotecario presso il patriarcato. Poco dopo, a seguito di un profondo discernimento spirituale e desiderando ritirarsi in solitudine per dedicarsi alla preghiera, si ritirò a vita monastica nel grande e isolato monastero di Polychron sul monte Olimpo, nella regione della Bitinia, dall’altra parte dello stretto del Bosforo, nella penisola anatolica (oggi nella Turchia asiatica). Tuttavia, fu rintracciato dagli alti dignitari di corte, che, consapevoli della sua grandissima e non comune cultura, non volendo rinunciare ai suoi preziosi servigi, gli affidarono l’insegnamento universitario delle scienze sacre e profane a Costantinopoli, mansione che svolse così bene da guadagnarsi l’appellativo di “Filosofo”. Metodio, nato nell’815 circa, dopo una carriera amministrativa nella natia Macedonia si diede all’insegnamento, ma verso l’850 abbandonò anch’egli il mondo attratto dall’esempio del fratello, ritirandosi nello stesso cenobio sul monte Olimpo già scelto da Cirillo, del quale divenne poi l’igumeno (guida di un monastero nelle Chiese ortodosse, simile all’abate). Nell’861 circa, il governo imperiale incaricò Cirillo di un’importante missione presso l’impero dei Khazari (dalle parti dell’odierno Mare d'Azov. la parte del Mar Nero vicina alla penisola di Crimea), i quali chiedevano che fosse loro inviato un letterato colto e saggio, che sapesse discutere con gli ebrei e i musulmani. Cirillo partì con Metodio per questa missione. I due sostarono a lungo in Crimea, sede di comunità giudaiche della diaspora, dove impararono l’ebraico. Nell’occasione, qui ricercarono pure i resti del papa San Clemente I, detto “Clemente Romano” (35 circa-100 circa), che vi era morto martire in esilio e, trovatane la tomba, quando ripresero la via del ritorno, portarono con loro le preziose reliquie. Una volta fatto rientro a Costantinopoli, tra gli anni 862 e 863, i due germani furono inviati dall’imperatore Michele III nell’Europa centrale, nel territorio del ducato di Moravia, allora un’area vastissima, comprendente buona parte dell’Europa centrale, il cui duca Ratislao, al fine di sottrarsi all'imperialismo del re dei Franchi Ludovico “il germanico” (802 circa-876 circa), aveva chiesto l’invio di una missione evangelizzatrice, con sacerdoti che parlassero la lingua slava del suo Ducato. Così, Cirillo e Metodio, dopo avere imparato alla perfezione il locale idioma slavo, lavorarono alacremente, attorniati da un gruppo di fidati e capaci discepoli, al progetto di tradurre dal greco tutta la Sacra Scrittura, raccogliendola in libri redatti nella lingua slava del posto. Fu in quel frangente che apparve loro chiaramente l’esigenza di realizzare nuovi caratteri, corrispondenti a vocali e consonanti, che fossero più aderenti al suono della lingua parlata in loco. Nacque così, intorno all'anno 862 circa, l’alfabeto slavo cosiddetto “Glagolitico”, il più antico conosciuto e utilizzato allo scopo. Il nome, di origine tardo-slava, deriva dal sostantivo “glagolù” (“verbo”) o dal verbo “glagolati” (“parlare”). Questo nuovo alfabeto, in seguito modificato, fu poi designato col nome di “Cirillico” in onore di Cirillo, suo principale ispiratore e realizzatore. I due germani, infatti, erano convinti che i singoli popoli slavi non potessero ricevere pienamente la Rivelazione finché non l’avessero potuta veramente comprendere, udendola cioè nella propria lingua e leggendola nei caratteri propri del nuovo alfabeto coniato allo scopo. Fu quello un evento decisivo per lo sviluppo della civiltà slava in generale e la missione ebbe un grandissimo successo. Cirillo e Metodio, usando nella liturgia la lingua slava ormai da loro conosciuta perfettamente e i testi sacri tradotti e scritti nel nuovo alfabeto “Cirillico” da loro ideato, si guadagnarono seguito e grande simpatia presso quel popolo, con una conseguente prorompente evangelizzazione. Il loro successo, però, suscitò l’ostilità nei loro confronti da parte dei missionari provenienti dal Regno Franco, che protestò con la Santa Sede. Per questo motivo, nell’867 i due germani dovettero recarsi a Roma dal papa Adriano II (dall’867 all’872), chiamati per fornire chiarimenti. Durante il viaggio dovettero fermarsi a Venezia, dove ebbero un’animata discussione con i sostenitori della cosiddetta “eresia trilingue” (asserente che vi fossero solo tre lingue in cui si potesse lecitamente lodare Dio: l’ebraica, la greca e la latina), alla quale si opposero con forza. Giunti a Roma, Cirillo e Metodio furono raggiunti lungo la strada da papa Adriano II, che andò loro incontro in processione per accogliere degnamente le reliquie del suo predecessore San Clemente I, che i due avevano condotto con loro. Il pontefice palesò subito di avere compreso la grande importanza della loro missione. Dalla metà circa del primo millennio, infatti, gli slavi si erano installati numerosissimi in quei territori posti tra le parti orientale e occidentale dell’Impero Romano, già in tensione tra loro. Il papa intuì che i popoli slavi avrebbero potuto giocare il ruolo di ponte, contribuendo così a conservare l’unione tra i cristiani dell’una e dell’altra parte dell’Impero. Egli quindi non esitò ad approvare la missione intrapresa dai due fratelli nella Moravia, accogliendo l’uso della lingua slava nella liturgia, così come l’uso dei Sacri Testi tradotti in quell’idioma con l’uso del nuovo alfabeto da Cirillo inventato, permettendo anche che la liturgia in tale lingua fosse celebrata nelle basiliche romane di San Pietro, Sant’Andrea e San Paolo. Purtroppo, a Roma Cirillo si ammalò gravemente e, sentendo avvicinarsi la morte, volle consacrarsi totalmente a Dio come monaco in uno dei monasteri greci della Città (probabilmente quello di Santa Prassede sul colle Esquilino, oggi basilica minore) e assunse ufficialmente il nome monastico di Cirillo con il quale è universalmente conosciuto. Poi pregò con insistenza Metodio di non abbandonare la missione in Moravia e di tornare tra quelle popolazioni a completare l’opera, rendendo quindi l’anima a Dio il 14 febbraio 869 a Roma. I suoi resti furono inumati nella basilica intitolata a San Clemente, non lontano dal Colosseo, ma andarono dispersi durante il periodo napoleonico. Oggi sono custodite in loco alcune sue reliquie provvidenzialmente ritrovate. Metodio, dopo essere stato consacrato vescovo lo stesso anno da papa Adriano II, a un anno dalla scomparsa di Cirillo, nell’870, fedele all’impegno assunto con il germano, tornò in Moravia e nella limitrofa Pannonia (oggi in Ungheria), ove incontrò di nuovo la violenta avversione dei missionari Franchi che lo fecero imprigionare. Non si perse d’animo e quando fu liberato, nell’anno 873, continuò alacremente la sua opera, adoperandosi attivamente nell’organizzazione di quella Chiesa e curando la formazione di un gruppo di discepoli fino alla sua morte, avvenuta il 6 aprile 885 nella località che oggi ha il nome di Staré Mesto (attuale quartiere della città di Praga, capitale della Repubblica Ceca), dove fu inumato. Grazie all’opera di Metodio, si poterono porre i presupposti della successiva affermazione di quella che alcuni studiosi chiamano “Idea cirillo-metodiana”, che accompagnò nei diversi periodi storici i popoli slavi, favorendone lo sviluppo culturale, nazionale e religioso. Fu merito di questi discepoli, sapientemente formati dai due fratelli, se poté essere superata la crisi che si scatenò dopo la loro dipartita terrena. Perseguitati e messi in prigione, alcuni di questi seguaci furono venduti come schiavi e portati a Venezia, dove furono riscattati da un funzionario di Costantinopoli, che concesse loro di tornare nei Paesi slavi dei Balcani. Benevolmente accolti nel territorio balcanico corrispondente all’odierna Bulgaria, poterono continuare nella missione, diffondendo poi il Vangelo fino alla lontana Russia. Dio nella sua misteriosa provvidenza si avvaleva così della persecuzione per salvare l’opera dei santi fratelli, della quale resta anche la documentazione letteraria. Basti pensare a opere quali l’Evangeliario, il Salterio o i vari testi liturgici in lingua slava, cui lavorarono ambedue i germani. Ai loro discepoli si deve, tra l’altro, il completamento definitivo della traduzione dell’intera Sacra Scrittura, del Nomocànone (nell’Impero Bizantino una raccolta antologica di scritti letterari, storici o giuridici) e del Libro dei Padri. Papa Pio XI, con la Lettera Apostolica “Quod Sanctum Cyrillum”, qualificava i due Fratelli: “Figli dell’Oriente, di patria bizantina, d’origine greca, per missione romani, per i frutti apostolici slavi”. Il ruolo storico da essi svolto è stato poi ufficialmente proclamato dal papa San Giovanni Paolo II che, il 31 dicembre 1980, con la Lettera Apostolica “Egregiae virtutis viri”, li ha dichiarati compatroni d’Europa unitamente a San Benedetto. In effetti, Cirillo, il “Filosofo”, più propenso alla contemplazione e Metodio, piuttosto portato alla vita attiva, costituiscono un esempio classico di ciò che oggi s’indica col termine “Inculturazione”, in altre parole quel principio per il quale ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di “traduzione” molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a proporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola Rivelata. Di ciò i due santi fratelli, detti “Apostoli degli Slavi”, hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione e orientamento.
IMMAGINE: "Santi Cirillo e Metodio" (rispettivamente Cirillo sulla destra e Metodio sulla sinistra), icona di scuola bizantina a tempera su tavola, realizzata da ignoto autore nel XX secolo, verosimilmente un monaco. L'opera si trova presso il monastero ortodosso della Santissima Trinità a Jordanville (New York, U.S.A.).
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