Oggi - 5 febbraio 2025 - mercoledì della IV settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di Sant’Agata, vergine e martire. Agatha (Agata) questo il suo nome in latino - nacque verosimilmente tra il 229 e il 235, nella Provincia Romana di Sicilia, nel territorio dell’attuale città di Catania, alle pendici del vulcano Etna e in prossimità della costa orientale sul mar Ionio (zona oggi identificabile nel quartiere periferico San Giovanni di Galermo di Catania, capoluogo dell’omonima provincia della regione Sicilia). Era una bellissima ragazza, erede di una nobile famiglia cristiana, nella quale visse fino all’adolescenza in perfetta castità, sentendo sin da piccola l’ardente desiderio di appartenere totalmente a Cristo. Così, quando giunse circa ai quindici anni, si consacrò a Dio nelle mani del locale vescovo, divenendo una vergine consacrata al Signore. Serviva altresì la comunità cristiana cittadina quale diaconessa, come evidenziato nei documenti del suo martirio e dalla tradizione orale catanese, che attestano il suo alacre impegno nella locale collettività dei seguaci di Gesù, con il compito, fra gli altri, d’istruire i catecumeni e prepararli al battesimo, alla prima comunione e alla cresima. In seguito, durante le ricorrenti persecuzioni contro i cristiani, fu arrestata e condotta, con altri sventurati fratelli di fede, nel Palazzo Pretorio di Catania, alla presenza di Quinziano, proconsole romano della città. Questi, al solo vederla, conquistato dalla sua grande bellezza, s’invaghì perdutamente di lei e tentò in ogni modo di sedurla e di farle abiurare la fede, ma senza ottenere alcun risultato. Il funzionario imperiale, allora, mise in atto un programma di vera e propria “corruzione morale” nei suoi confronti, affidandola ad Afrodisia, una fidata cortigiana di facili costumi, affinché la spingesse forzatamente al meretricio, rendendola disponibile alle sue morbose e peccaminose attenzioni. Agata trascorse un intero mese a resistere alle immorali pressioni d’ogni genere alle quali era sottoposta, con festini, divertimenti osceni, banchetti e quant’altro, corroborati dalle minacce più spaventose. Agata, tuttavia, resistette indomita e salvaguardò la propria verginità, rimanendo sempre fedele al Signore, costringendo alla resa la prostituta Afrodisia. Appresa la notizia, il rappresentante dell’imperatore, furioso, la fece tradurre ancora innanzi a lui, vedendola comparire vestita dei semplici abiti di una schiava, in segno di profonda umiltà. Alla domanda rivoltale dall’aguzzino, sul perché avesse osato presentarsi a lui abbigliata come una serva, pur essendo libera, ricca e nobile, lei rispose che la nobiltà suprema consiste nell’essere servitori di Cristo. Vani furono i tentativi di farla retrocedere e abiurare la fede in Gesù. Fu incarcerata e, durante i ripetuti interrogatori, le furono stirate le membra, le fu lacerata la carne con pettini di ferro usati per cardare la lana, fu ustionata con lamine infuocate e sottoposta ad altre raccapriccianti torture, ma ogni tormento, per grazia di Dio, invece di spezzarne la resistenza, sembrava darle nuova forza. Allora Quinziano, al colmo della rabbia, le fece strappare i seni con grandi tenaglie. Ricondotta in cella più morta che viva, verso mezzanotte le apparve l’apostolo San Pietro, accompagnato da un Angelo che portava una lanterna, il quale le risanò seduta stante le mammelle amputate. Trascorsi alcuni giorni, fu riportata alla presenza del proconsole, che, vistole i seni miracolosamente riattaccati e le ferite rimarginate, le domandò incredulo cosa mai fosse accaduto, sentendosi rispondere che era stata guarita da Cristo. Ormai Agata costituiva una sconfitta bruciante per Quinziano, la cui insana passione si era tramutata in aperto e viscerale odio, tanto da ordinare che la giovane fosse bruciata viva su un letto di carboni ardenti, cosparsa anche di lamine arroventate e punte infuocate. Durante l’atroce supplizio, prosegue la cronaca tramandataci, mentre il fuoco le consumava le carni, non bruciava però il velo, portato come segno di riconoscimento dalle vergini consacrate a Dio, che lei fieramente continuava a indossare. Mentre Agata stava ormai morendo bruciata, un forte terremoto scosse la città di Catania e fece crollare parzialmente il Pretorio, seppellendo alcuni tra i carnefici e consiglieri di Quinziano. Allora la folla spaventata, avendo compreso che il Cielo aveva in grande considerazione la giovane vergine, si ribellò al proseguimento dell’atroce condanna, alla quale fu imputata la collera divina. Il proconsole, per evitare una vera e propria rivolta, fu costretto a far togliere Agata dalla brace e a farla riportare agonizzante in cella, dove però rese l’anima a Dio qualche ora dopo, il 5 febbraio del 251. Il 17 agosto 1126, dopo varie peripezie, le reliquie di Agata entrarono nel duomo di Catania, dove sono tuttora conservate, parte all'interno di un prezioso busto d’argento (un pezzo del cranio, del torace e alcuni organi interni) e parte dentro i reliquiari posti in un grande scrigno, anch'esso argenteo (braccia e mani, femori, gambe, piedi e la mammella). Anche il “velo di sant’Agata”, miracolosamente salvatosi e oggi custodito in quest’ultimo scrigno, diventò una delle sue reliquie più preziose. Esso, nel corso dei secoli, è stato portato più volte in processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, durante le eruzioni del vulcano, avendo il potere di fermarle. Si ricorda come, a un anno esatto dalla sua morte, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania, Così i cittadini cristiani e pagani, congiuntamente, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò subito. Da allora Sant’Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli incendi.
IMMAGINE: "Il martirio di sant'Agata", olio su tavola dipinto, nel 1520, dal pittore veneziano Sebastiano Luciani, noto come Sebastiano del Piombo (1485-1547). L'opera si trova presso il Museo di Palazzo Pitti, a Firenze.
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