Santa Verdiana

Oggi - 1° febbraio 2025 - sabato della III settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, Santa Verdiana (o Veridiana, o Viridiana), vergine e “reclusa” (parola che, in senso religioso, indica una consacrata dedita a una forma estrema di vita penitenziale, consistente nel rinchiudersi in solitudine in un uno spazio ristretto, sia per un periodo di tempo limitato che per sempre, normalmente presso un monastero, una chiesa o altro idoneo ambiente). Verdiana nacque probabilmente nel 1178 a Castel Fiorentino, grosso paese della Val d'Elsa a una trentina di chilometri circa da Firenze (oggi in provincia di quest’ultima città, che è il capoluogo della regione Toscana). La sua famiglia d’origine era al servizio dell'antica e nobile casata degli Attavanti o Altavanti, a quel tempo già decaduta, con la quale forse era imparentata (anche se, secondo alcuni studiosi, apparteneva direttamente alla stessa altolocata famiglia). Sin dall'infanzia lavorò duramente nei campi o pascolando pecore e buoi, facendo a tutti presagire, per pia condotta, spirito di penitenza e assiduità alla preghiera, i grandi disegni che Dio aveva su di lei. Desiderosa di raccoglimento e solitudine, si appartava spesso nelle compagne, per immergersi nella preghiera. Portava sempre sulla nuda carne un ruvido cilicio, praticava rigorosi digiuni, passava lunghe notti in orazione e si comportava in modo talmente soave da dare ovunque motivo per magnificarne l'anima candida e bella. I suoi compaesani, ammirandone la precoce virtù, la circondavano di rispetto e benevolenza. Le sue doti non passarono inosservate nemmeno agli Attavanti, che, verso il 1190, quando aveva dodici anni, la sollevarono dai lavori agricoli e la accolsero come domestica in casa. Jacopo, il capo famiglia della nobile se pur decaduta casata, uomo ricco ma timorato di Dio, la destinò al servizio personale di sua moglie. Quest’ultima, poi, si affezionò talmente che giunse al punto di cederle con fiducia la direzione delle varie attività domestiche e di tutta la servitù, trattandola con grandissimo rispetto e deferenza. I due coniugi riposero bene la loro fiducia ed ebbero sempre nuovi motivi di godere della sua saggia e onesta amministrazione. Non tardò molto a farsi manifesta con miracoli la predilezione di Dio per la virtuosa fanciulla. Durante una terribile carestia, seguita a una micidiale epidemia di peste, Jacopo Attavanti aveva messo prudentemente da parte una gran quantità di fave secche, ma lei, commossa dai patimenti dei poveri, dispensò in un sol giorno l'intera provvista agli infelici che si accalcavano alla porta del palazzo, ignorando che erano già state vendute a un mercante che le aveva pagate in anticipo e doveva passare a ritirarle. Arrivato il momento di consegnare al compratore i legumi e trovato vuoto il magazzino, Jacopo montò su tutte le furie e la rimproverò aspramente. Verdiana, addolorata, passò la notte intera pregando e confidando le sue pene al Padre Celeste, fino a quando, venuto il mattino, si trovarono le dispense miracolosamente piene di più fave di prima. Dio aveva premiato la disponibilità e la carità di Verdiana, facendo ritrovare intatto e anzi aumentato il raccolto di fave dispensato in beneficenza. In seguito, sentì forte la chiamata a compiere pellegrinaggi, che furono per lei impulso verso la santità e modo d’espiazione, tanto da trasformarsi poi nel pellegrinaggio interiore della vita eremitica. Intraprese così il famoso “Cammino di Santiago”, nella regione spagnola della Galizia, giungendo fino a Santiago de Compostela alla tomba dell’apostolo San Giacomo e forse, in seguito, anche a Roma presso le tombe dei martiri. Tornata al paese natio fortemente arricchita spiritualmente, sentì fortissimo in lei il desiderio di donarsi completamente a Dio come vittima, in espiazione dei peccati del mondo, quale “reclusa”. I suoi concittadini, avendo appreso tale sua inclinazione spirituale, accondiscendenti, le edificarono allo scopo, appena fuori delle mura cittadine e nei pressi del fiume Elsa, una celletta adiacente al preesistente Oratorio di Sant’Antonio abate, normalmente usato come lazzaretto per gli appestati. In quel minuscolo locale, entrò trentenne la prima domenica d’Avvento del 1208 e vi rimase reclusa per ben trentaquattro lunghi anni, in costante preghiera e meditazione, con la sola compagnia del Signore cui si era donata e che tanto amava. Da una piccola finestra assisteva alla messa officiata per lei nei pressi, parlava con i visitatori e riceveva il frugale cibo di cui si nutriva, provento della carità del popolo. Attraverso questo misero spiraglio sul mondo, necessario anche per darle un po’ d’aria, la tradizione vuole che abbia potuto conoscere o comunque vedere San Francesco d’Assisi (1182-1226) che passava nella Val d’Elsa e, sicuramente, vide prima di morire la mole della chiesa francescana che stava sorgendo poco distante. Verso il 1221, lo stesso Poverello d’Assisi la ammise nel suo Terz’Ordine. Senza mai uscire fino alla morte, attraverso detto pertugio, ebbe numerosi colloqui con il vescovo di Firenze Ardingo o Ardengo, figura di grande riformatore che, come fosse stato l’ultimo dei suoi fedeli, ascoltò umilmente e con grande interesse le parole e i consigli di Verdiana, ispirati dallo Spirito Santo, improntando a essi il servizio pastorale della diocesi. Si dice che, negli ultimi anni della sua vita, sia stata tormentata dalla presenza di due serpenti che s’introducevano nella cella, di cui mai ad alcuno lamentò la presenza. Questa tradizione, trova riscontro nella sua iconografia classica, che la ritrae sovente con due grossi serpenti. Rese la bella anima a Dio il 1° febbraio 1242, trapasso annunciato dal prodigioso simultaneo suono di tutte le campane della zona e fu verosimilmente sepolta presso la sua cella, dove sorse qualche decennio dopo una chiesa a lei intitolata (oggi chiesa-santuario di Santa Verdiana, nelle belle forme del rimaneggiamento avvenuto nei primi decenni del 1700, dove riposano le sue reliquie). Fu canonizzata nel 1533 da papa Clemente VII.
IMMAGINE: "Santa Verdiana", tempera e oro su tavola dipinta, nel XIV secolo, da ignoto pittore senese. L'opera si trova presso il Museo di Santa Verdiana, a Castelfiorentino (in provincia di Firenze).
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