Oggi - 4 febbraio 2025 - martedì della IV settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giuseppe da Leonessa, religioso e sacerdote. Eufranio, questo il suo nome di battesimo, nacque l’8 gennaio 1556 a Leonessa, nella provincia abruzzese de L’Aquila appartenente all’allora Regno delle Due Sicilie (oggi in provincia di Rieti, regione Lazio). Rampollo della nobile famiglia Desideri, nel 1568 perse prematuramente entrambi i genitori a breve distanza tra loro, quando lui aveva solo dodici anni, venendo affidato allo zio paterno. Fu indirizzato agli studi umanistici prima a Viterbo e poi a Spoleto, entrambe città dello Stato della Chiesa (oggi rispettivamente nel Lazio e nell’Umbria), mentre maturava una solida vocazione spirituale. Tra il 1571 e il 1572, ammalatosi e tornato in paese per la convalescenza, venne in contatto con i religiosi francescani dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che vi avevano istituito un convento, rimanendone profondamente colpito. Così, nel 1572, appena sedicenne, entrò nel conventino dei Frati Minori Cappuccini detto delle "Carcerelle" ad Assisi, il paese di San Francesco (in provincia di Perugia, regione Umbria), dove fece il noviziato, emettendo la professione religiosa l'8 gennaio 1573 e assumendo il nome religioso di fra Giuseppe. I parenti provarono in ogni modo a ostacolarlo, ma, contro la sua fede sincera e il suo temperamento forte a nulla valsero i tentativi per riportarlo a casa. Si preparò al sacerdozio con un serio apprendimento della teologia, della Sacra Scrittura e della morale, sempre attento ai dettami del Concilio di Trento (1545-1563), che si era concluso appena un decennio prima. Durante gli studi, s’interesso particolarmente alla spiritualità del confratello San Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274), futuro dottore della Chiesa, vedendo in esso un’armoniosa sintesi tra contemplazione e apostolato. Ordinato sacerdote ad Amelia (in provincia di Terni, regione Umbria) il 24 settembre 1580, continuò la sua preparazione nel vicino convento di Lugnano in Teverina (stessa odierna provincia e regione). Pur sentendosi fortemente attratto dalla vita contemplativa, superò il dilemma “azione-contemplazione” al modo di San Francesco, anch’egli convinto che colui che ama la vita di contemplazione ha il dovere di uscire nel mondo a predicare, soprattutto quando si hanno idee confuse e sulla terra abbonda l'iniquità. Il 21 maggio 1581, ricevette finalmente la patente di predicazione dal vicario generale dell'Ordine e si dedicò immediatamente a evangelizzare le più povere popolazioni dei villaggi di campagna disseminati sui monti umbri, laziali e abruzzesi. Nel 1587, al fine di portare aiuto ai cattolici perseguitati, fu inviato con altri confratelli a Costantinopoli, l’antica e gloriosa capitale dell’Impero Romano d’Oriente che, da circa un secolo, conquistata dai turchi musulmani e ribattezzata Istanbul, era divenuta capitale dell’Impero Ottomano. Qui gli invasori turchi - per mera opportunità e dietro serrati controlli e limitazioni - avevano lasciato al loro posto il patriarca e i vescovi della locale Chiesa ortodossa (purtroppo separata da quella di Roma in seguito al “Grande scisma” del 1054), mentre colpivano e allontanavano i vescovi cattolici, poiché fedeli al papa. I pochi cristiani sopravvissuti ancora legati al romano pontefice, vi erano frequentemente ridotti in schiavitù e comunque erano isolati o dispersi, mentre i loro edifici sacri erano ormai in rovina. In questa preoccupante situazione, Giuseppe e i confratelli si spesero con tutte le loro energie per dare assistenza ai correligionari in prigionia e malati, e nel collegare tra loro le svariate “comunità” di cattolici occidentali che si trovavano nella città, soprattutto per motivi di commercio. Tuttavia, Giuseppe pensò bene di rivolgersi direttamente al Sultano Murad III (regnante dal 1574 al 1595), che risiedeva in loco, al fine di persuaderlo a cessare la condotta repressiva verso i cristiani e i cattolici in particolare, spingendosi anche ad annunciare il Vangelo agli stessi musulmani. Nel 1589, infatti, sprezzante del rischio per la propria vita, si recò al palazzo imperiale, conosciuto come “Yeni Saray” (“Nuovo Serraglio” o semplicemente “Palazzo”, attuale Palazzo o Serraglio “Topkapi”), riuscendo effettivamente - narra la tradizione - a parlare con il sultano. Egli rimproverò apertamente Murad III per l’ingiustificabile persecutorio trattamento riservato soprattutto ai fedeli al papa, ma non ottenne alcun risultato e, anzi, fu arrestato e condannato al “tormento del gancio”, appeso per tre giorni con una mano e un piede a una trave, sotto la quale era acceso un fuoco, prima di essere incarcerato. Nonostante tutto, fu liberato nello stesso anno ed espulso, in modo che rimane oscuro, riuscendo a tornare nella Penisola Italiana. Qui, da quel momento, riprese la sua prediletta predicazione itinerante, attraverso monti, valli, campagne e città d’Abruzzo, Umbria e Lazio. I compagni che lo seguivano erano messi a dura prova e difficilmente resistevano a quelle continue marce forzate, anche nelle più avverse condizioni climatiche e con poco cibo. Giuseppe predicava più volte al giorno e in luoghi sempre diversi, insegnando anche il catechismo ai poveri e ai bambini. Si dedicò, in pratica, a fare il predicatore itinerante nello stile Cappuccino, muovendosi sempre a piedi. S’impose ritmi quasi incredibili, che sfiancarono i suoi compagni di missione: anche sei o sette prediche in un giorno solo e pochissimo riposo, perché per lui era importantissimo portare la Parola di Dio anche a una sola persona. Non pago di fare il bene, dedicava tutto se stesso anche ai condannati a morte, restando accanto a quegli sventurati, nelle tetre celle delle carceri, per tutte le loro ultime ore di vita. Per i malati, si sforzò di far sorgere piccoli ospedali e ricoveri, alla costruzione dei quali, spesso, lavora con le proprie braccia. Infine, combatté l’usura che dissanguava le famiglie, facendo nascere Monti di Pietà e Monti “Frumentari” (da “frumento”, “grano”), per elargire il piccolo credito a tasso sopportabile. Così, per tutti i villaggi, paesi e città che attraversa e scuoteva con le sue mirabolanti prediche, diventò un portavoce degli “ultimi” e una bandiera. Dopo una brevissima permanenza nella sua Leonessa, sfinito dalle fatiche, logorato dalla penitenza e tormentato da un male inguaribile, trascorse gli ultimi giorni nel convento di Amatrice (oggi provincia di Rieti, Lazio), dove a cinquantasei anni incontrò la morte il 4 febbraio 1612. Qui fu seppellito e le sue spoglie riposarono fino al 1639, quando furono trasportate nella natia Leonessa, dove tuttora si trovano nel santuario a lui dedicato. Fu beatificato da papa Clemente XII il 22 giugno del 1737 e canonizzato il 29 giugno del 1746 dal pontefice Benedetto XIV.
IMMAGINE: "San Giuseppe da Leonessa", olio su tela dipinto, orientativamente tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, da ignoto pittore dell'Italia centrale. L'opera si trova nel museo comunale di Leonessa (in provincia di Rieti, regione Lazio).
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