Sant’Ilario di Poitiers

Oggi - 13 gennaio 2025 - lunedì della I settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di Sant’Ilario, noto anche con le specificazioni di “vescovo” o “di Poitiers”, vescovo e dottore della Chiesa. Hilarius (Ilario) - questo il suo nome in latino - nacque probabilmente nel 310, nella parte centro-occidentale della Provincia Romana della Gallia Celtica, verosimilmente a Pictavium (oggi Poitiers, nella regione della Nuova Aquitania, Francia centro-occidentale). La sua famiglia d’origine, agiata, illustre e di religione pagana, gli diede una solida formazione culturale e letteraria, il cui spessore ben trasparirà in quelli che saranno i futuri suoi scritti. Pur provenendo da un ambiente politeista, era molto interessato alla religione cristiana, che aveva avuto modo di conoscere attraverso la locale comunità dei fedeli. Egli stesso, nei suoi scritti, ci parla di un lento cammino volto alla ricerca della verità, che lo condusse man mano al riconoscimento del Dio creatore e incarnato, morto per salvarci e donarci la vita eterna. Al riguardo, la tradizione narra che un giorno, mentre leggeva la Bibbia, giunto alle parole: “Ego sum qui sum” (“Io sono colui che sono”), rimase come "folgorato" e s’impressionò molto. Continuò a leggere e, divinamente illuminato sull’onnipotenza di Dio, si decise ad aprirgli il proprio cuore e adorarlo. Convertitosi, cominciò a frequentare assiduamente la comunità dei credenti nella propria città, ricevendo il battesimo verso il 345. Da quel momento, modellò la sua vita sulle massime del Vangelo, in modo così zelante e pio da spingere anche altri ad abbracciare la fede in Gesù. La sua vita era irreprensibile sotto ogni aspetto ed era dedito al bene e alle opere di carità. Dai suoi concittadini era stimato grandemente, tanto da giungere, attorno al 353-354, a essere eletto vescovo a grande maggioranza, nonostante tutte le sue titubanze, dovute a mera umiltà. Una volta insediato nella sede episcopale, tuttavia, assolse il proprio ministero senza alcun tentennamento, predicando con zelo instancabile e muovendo i peccatori alla conversione. Negli anni successivi, Ilario scrisse la sua prima opera, il “Commento al Vangelo di Matteo”, il più antico commento in lingua latina che ci sia pervenuto di questo testo. Teneva in enorme considerazione la verità ed era pronto a tutto quando si trattava di difenderla e testimoniarla. Inoltre, consacrò tutta la sua vita alla difesa della divinità di Gesù Cristo dalla dottrina eretica Ariana, che Lo considerava una semplice creatura umana sia pure eccellente. Nel 356, quale vescovo, partecipò nel sud della Gallia al sinodo di Baeterrae (oggi Béziers, nel sud della Francia), che egli definì “Sinodo dei falsi apostoli”, poiché fu dominato dai vescovi filo-Ariani. Questi “Falsi apostoli”, di rimando, riuscirono a giungere fino all’imperatore romano Costanzo II (dal 337 al 361), al quale chiesero congiuntamente, ottenendola, la condanna all’esilio di Ilario. Così egli fu costretto a lasciare la Gallia durante l’estate del 356, deportato nella lontana provincia della Frigia, regione dell'Anatolia centrale (oggi nel centro circa della Turchia asiatica), ma il popolo della sua diocesi non si dimenticò mai di lui nonostante la lontananza, alla quale Ilario suppliva con contatti epistolari. Durante gli anni dell'esilio, non si lamentò mai dei nemici e della sua ingiusta condanna, offrendo tutto al Signore. Anzi, impiegò il tempo a scrivere varie opere dotte, tra le quali il “Trattato della Trinità”, in cui difende la consustanzialità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo così bene da essere poi chiamato “Dottore della Trinità”, all’atto della sua nomina a dottore della Chiesa. Nell’opera, dimostrando che la Chiesa è una, fa vedere come tutti gli eretici siano fuori da essa e spiega inoltre come l'Arianesimo non sia la vera dottrina, perché non fu rivelata a San Pietro. Altra opera da lui composta è il “Libro sui sinodi”, per spiegare i termini di cui si servivano gli Ariani, dimostrandone le contraddizioni. Intanto, nel 359, si radunò in Seleucia Ctesifonte, nella Mesopotamia (oggi corrispondente circa all’Iraq), un concilio di eretici per annullare i canoni di quello di Nicea del 325. Decaduta la condanna all’esilio, Ilario riuscì a recarvisi per difendere la vera fede, ma poi, sconvolto dalle terribili falsità che vi si dicevano contro la divinità di Gesù Cristo, non potendo adeguatamente contrastarle in loco, preferì ritirarsi a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente. Qui tenne in pubblico delle conferenze, dei veri e propri “pubblici confronti” con l'eretico Saturnino che soggiornava in quella metropoli. Gli Ariani se ne intimorirono e, tacciandolo di essere imbroglione e perturbatore della pace, pur di sbarazzarsene, riuscirono a farlo tornare nella sua diocesi in Gallia, dove giunse nel 360 o 361, accolto dalla più grande gioia popolare. Morì nel 367 o 368. Negli scritti che ci ha lasciati, traspare il suo stile nobile, fiorito, sublime, ma, più che altro, il suo grande spirito di pietà. Egli non ebbe altro fine che far conoscere il nome santo di Dio, infiammando i cuori con la sacra fiamma del suo amore. Fu dichiarato dottore della Chiesa dal Papa Pio IX nel 1851.
IMMAGINE: "Sant'Ilario che calpesta il drago" (che simboleggia l'eresia ariana, contro la quale Ilario scrisse il libro La Trinità), olio su tela dipinto, nel 1866, dal pittore francese Fortuné Viguier (1841-1916). L'opera si trova nella chiesa di Saint-Hilaire a Payré, Vienne (Francia centro-orientale).
Roberto Moggi
Home page   ARGOMENTI

Commenti