Oggi - 22 gennaio 2025 - mercoledì della II settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di San Vincenzo, conosciuto anche con la specificazione “di Saragozza” (che ne indica la più probabile città di provenienza), diacono e martire. Di Vincentius (Vincenzo), questo il suo nome in latino, esistono poche e non sempre comprovate notizie. Nacque nel III secolo, probabilmente nel settentrione della provincia romana della Hispania Citerior (corrispondente grosso modo alla parte centro-orientale dell’odierna Spagna), forse a Osca (oggi Huesca), sulle propaggini iberiche dei Pirenei, ma, secondo altre fonti, a Saragozza o Valencia (pure entrambe nell’attuale Spagna, la prima in Aragona e la seconda in Catalogna). Di nobile famiglia cristiana, figlio del console Eutichio e della matrona Enola, ancora fanciullo fu affidato al vescovo Valerio della città di Caesaraugusta (odierna Saragozza), per fargli avere una formazione culturale e religiosa adeguata al suo rango. In quel centro abitato, sotto la guida dell’autorevole maestro, fu finemente istruito in ogni campo dello scibile, maturando anche una forte fede. In seguito fu consacrato arcidiacono ed ebbe l'importante incarico, nonostante fosse molto giovane, di predicare in sostituzione del vescovo, quando questi, che lo considerava il suo “braccio destro”, era impossibilitato a farlo. Nell'anno 303, cominciò una tremenda persecuzione contro i cristiani, mossa dall’imperatore Diocleziano (dal 284 al 305) e da Massimiano (dal 286 al 305), cesare e poi augusto dell’impero (entrambe cariche apicali sottoposte all’imperatore). Nelle provincie iberiche, tra i persecutori, si distinse per crudeltà il governatore Daciano, il quale ordinò che tutti i cristiani della sua giurisdizione fossero arrestati, instaurando un clima di terrore. Da quel momento, si moltiplicarono carcerazioni, torture e condanne a morte dei seguaci di Gesù, oltre che gli incendi degli edifici di culto, dei libri e degli arredi sacri. Ogni cristiano che rivestiva una carica pubblica fu immediatamente destituito, mentre vigeva l’obbligo per tutti di sacrificare pubblicamente agli dei. Ciò nonostante, Vincenzo e il suo vescovo Valerio, continuarono imperterriti ad annunciare il Vangelo, fino a quando, com’era prevedibile, furono arrestati. Condotti al tribunale di Valencia, furono giudicati dal governatore Daciano, che capì subito come, tra i due, il vero nemico da combattere e il più pericoloso avversario fosse proprio Vincenzo. Condannò così il vescovo a un lontano esilio e concentrò tutte le sue arti persecutorie su di lui, che, fedele al Signore, non si piegava assolutamente a nessun compromesso. Infatti, benché aspramente torturato, ebbe il coraggio di dire al governatore che si sarebbe stancato prima lui di tormentarlo, piuttosto che lui di soffrire, mandandolo su tutte le furie. Daciano gli inflisse prima di tutto la pena dello stiramento delle membra e poi della fustigazione con i “flagelli”, il che gli fu fatto con tanto strazio che alla fine si videro scoperte le ossa. Infine fu sottoposto al supplizio del fuoco, legato a una graticola posta sulla fiamma, ma non si piegò minimamente, giungendo per grazia divina a invitare i propri carnefici - come tramanda la tradizione - a girarlo sulla graticola, poiché dal lato in cui si trovava incatenato era ormai “cotto”. Il governatore, colmo d’ira per non essere riuscito a piegarlo, lo rimandò in carcere più morto che vivo, facendolo gettare con i ceppi ai piedi in una cella buia, il cui pavimento era cosparso di appuntite schegge di vasi rotti. A dispetto di ciò, Vincenzo, che ormai contemplava il paradiso, non si lamentava per niente e sembrava non sentire il dolore, manifestando agli sgherri di avere sempre desiderato suggellare col sangue la propria fede in Gesù. Mentre gli angeli vennero a confortarlo e a cantare con lui le lodi al Signore, i carcerieri lo sentirono chiaramente, anche così orrendamente straziato, innalzare a Dio la sua fervorosa preghiera dalla tetra cella. Daciano, intanto, si era reso conto che quella di Vincenzo era una voce da far zittire in fretta, visto che molti si erano già convertiti a Cristo per merito suo, tra questi anche il suo feroce carceriere, che ricevette di lì a poco il battesimo. I fratelli nella fede, intanto, andavano sempre più numerosi a visitarlo in carcere, ormai moribondo, baciandogli le ferite dalle quali raccoglievano il sangue con piccoli panni che poi ritenevano come preziose reliquie, fino a quando Vincenzo spirò il 22 gennaio 304 nella città di Valencia. Il governatore dovette sudare anche per sbarazzarsi del suo corpo, che, fatto gettare in pasto alle bestie selvatiche, fu prodigiosamente difeso da un corvo. Scaraventatolo allora in un fiume, legato dentro un sacco insieme con un grosso macigno, esso miracolosamente non affondò, galleggiando e tornando a riva, dove finalmente i cristiani lo raccolsero per dargli onorata sepoltura. I suoi resti, a causa dell’invasione musulmana, furono trasferiti nella regione dell’Algarve in Portogallo e da qui, il 15 settembre 1173, trasportati solennemente nella cattedrale di Lisbona (capitale del Portogallo). Oggi Vincenzo è il martire più popolare della Spagna.
IMMAGINE: "San Vincenzo in gloria che protegge la città di Bergamo", olio su tela dipinto, verosimilmente nel 1640, dal pittore lombardo Carlo Ceresa (1609-1679). L'opera si trova nella grande cappella dedicata al medesimo santo e papa San Giovanni XXIII, all'interno della basilica di Sant'Alessandro, duomo della città di Bergamo (regione Lombardia).
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