Cu ll’èvera molla ognuno s’annetta ’o culo

Con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere. Chi è privo di carattere non è tenuto in nessuna considerazione e tutti se ne approfittano.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Una metafora che molto elegante non si mostra, nel paragone di usare l'erba come carta igienica che può riportare a usi non più seguiti come un tempo, con certi bisogni soddisfatti dove capitava, a mo' d'esempio di come il grullo rappresentato dalla tenera erbetta, sia sempre alla mercé di chi se ne vuole approfittare.
Come il filosofo Diogene asseriva di cercare l'uomo, con tanto di lanterna, a chi gli chiedeva perché andasse in giro in tale modo, così l'approfittatore è alla perenne ricerca dello sprovveduto, dal carattere debole e malleabile, che è preda facile per chi è sempre alla ricerca di chi si presta a essere sfruttato per i propri comodi.
Spesso quella che alcuni scambiano per debolezza, non è dovuta a un carattere arrendevole e facile da manipolare, quando si tratta di bontà e di altruismo verso il prossimo, ma che purtroppo è interpretata in tale modo, in una società che spinge all'egoismo e alla noncuranza verso i bisogni altrui.
A una debolezza di carattere, sono molteplici i fattori che vi possono concorrere, dalla timidezza, alla scarsa capacità di organizzazione, alla difficoltà a esprimersi in pubblico o alla tendenza a rimandare al domani sia gli impegni ordinari, che quelli urgenti.
Un fenomeno, quello rappresentato dalla vulnerabilità e dall'arrendevolezza, che può presentarsi come una vera e propria sindrome, quando è rappresentata dal desiderio di compiacere sempre gli altri, che può essere il risultato di un'infanzia e di un'adolescenza trascorse in una famiglia autoritaria e prevaricatrice, che ha condizionato il soggetto a un continuo bisogno di approvazione, sempre pronto a cambiare idea, se hanno punti di vista diversi le persone con le quali ha a che fare.
La persona caratterizzata da tale comportamento, si usa dire che non ha spina dorsale, per la scarsa autostima che gli è propria, per come si scoraggia e si deprime facilmente, sempre lungi dall'assumersi delle responsabilità, con sbalzi di umore che vanno dall'euforia alla depressione, se soffre anche di quello che è definito disturbo bipolare, e molto spesso afflitta dal timore di essere derisa, criticata e rimproverata.
Uno stato d'essere, quello presentato, a cui può essere utile una terapia psicoanalitica, come anche una persona paziente e persuasiva, che induca il soggetto a una continua introspezione che lo renda cosciente delle sue manchevolezze, fino ad assumersene una responsabilità che lo faccia riuscire a cancellare la convinzione rappresentata dalla frase:
"Io sono fatto così e non ci posso fare niente"
Ad un tempo una consapevolezza, ma anche il rifuggire da qualsiasi responsabilità.
E, infine, a consolazione di chi ha letto questo testo e si è identificato anche in minima parte nel tema presentato, leggiamo nel web:
"Né tra le beatitudini proclamate nei vangeli, né tra le tante altre disseminate nella Bibbia, se ne trova una che suoni esplicitamente «Beati i deboli!». È vero che potremmo trovarla implicitamente contenuta nella beatitudine dei poveri, degli afflitti, dei miti… tutta gente “debole”. Però, senza presumere di suggerire qualcosa al Signore, osiamo pensare che avrebbe fatto bene, a noi malati di maturismo e di autonomismo, trovare bella e chiara nella Sacra Scrittura la beatitudine della debolezza. Possiamo supporre allora che il Signore non ci rimproveri se proclamiamo da soli la beatitudine dei deboli, assumendoci naturalmente il compito di specificarne il significato e di giustificarne il perché. Per deboli intendiamo non tanto coloro che sono deboli (saremmo in realtà tutti beati!), ma coloro che si sentono deboli, sono coscienti di esserlo e agiscono tenendo conto della loro debolezza. Ogni beatitudine dice perché qualcuno è dichiarato beato: «Beati… perché…», quindi, se ci felicitiamo con coloro che sono coscienti della propria debolezza, abbiamo il dovere di spiegarne la ragione. Ce n’è più di una ed è dal rendercene conto che capiremo perché i deboli sono beati. "
Con il resto a seguire in:

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