Conversione di San Paolo, apostolo

Oggi - 25 gennaio 2025 - sabato della II settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la festa della Conversione di San Paolo, apostolo. Questa ricorrenza, come chiaramente indica il nome, commemora il passaggio dell’apostolo Paolo dall’ebraismo al cristianesimo e - in particolare - dallo stato di fiero persecutore dei seguaci di Gesù a quello di uno degli apostoli più influenti nella storia cristiana, così come raccontato negli Atti degli Apostoli (At 9, 1-9) e in alcune lettere scritte dal medesimo. Gli accenni sommari alla conversione contenuti in queste ultime, tuttavia, non descrivono esplicitamente l'evento come negli Atti, ma si riferiscono genericamente a una “chiamata” e “scelta” dell’apostolo. Queste epistole, scritte in greco tra il 50 e il 60 circa, sono le lettere ai Galati (Gal 1, 11-17); ai Filippesi (Fil 3, 3-17); la Prima a Timoteo (1 Tim 1, 12-17) e, infine, ai Romani (Rm 7, 7-25), nella quale Paolo è così generico da non essere chiaro se si riferisca o meno alla propria vicenda personale. Il nome dell’apostolo, alla nascita era Saulo e non si sa bene perché l’abbia in seguito cambiato in Paolo. Probabilmente - come sostengono alcuni studiosi - lo avrebbe fatto in onore del proconsole romano di Cipro Sergio Paolo, che, come riferito negli Atti degli Apostoli, si era convertito al Cristianesimo (cf At 13, 6-12) e che egli aveva conosciuto e stimato (cf At 13, 9). Paolo era un ebreo ellenizzato della tribù di Beniamino e di cittadinanza romana, nato a Tarso, nella provincia imperiale della Cilicia, sulla costa mediterranea della Penisola Anatolica (oggi Turchia asiatica), presso il confine con la Siria), fra il 5 e il 10 dopo Cristo circa. Trasferitosi da adolescente a Gerusalemme, dove già risiedeva una sua sorella sposata e madre di un figlio (cf At 23, 16), entrò nella rinomata scuola del rabbino Gamaliele detto “il Vecchio” (cf At 22, 3), maestro “stimato presso il popolo” (At 5, 34), imparando bene l’antica legge ebraica e le relative molteplici minuziose applicazioni nella vita quotidiana. Si entusiasmò talmente da diventare “integralista”, finendo per aderire alla setta detta dei “Farisei” (nome derivante da un’antica parola ebraica che significa “separato”), che predominò nella vita religiosa e civile giudaica al principio dell'età cristiana, distinguendosi per l’accentuato rigorismo etico e lo scrupoloso formalismo nell'osservanza della legge e della tradizione mosaica. Non si hanno indizi di un qualche suo contatto diretto con Gesù, anche se non si esclude che, quando il Signore fu crocefisso, Saulo fosse a Gerusalemme in occasione della Pasqua giudaica. In ogni caso, sappiamo che sentì parlare per la prima volta di Cristo nella stessa città, attraverso la testimonianza di appartenenti al gruppo dei cristiani giudeo-ellenisti che facevano capo a Stefano (che sarà il primo martire cristiano). Per lui che era un fariseo “zelante” (Lettera ai Filippesi 3, 6), risultava impossibile accettare i cristiani, che - dal suo punto di vista di allora - erano ebrei che avevano abbandonato la fede dei padri per seguire un nuovo “cammino religioso”, che poneva al centro della vita non più la legge mosaica, ma la persona di Gesù, un ebreo che fu crocefisso, che i cristiani asserivano essere risorto e figlio di Dio, dal quale proveniva anche la remissione dei peccati. I seguaci di Gesù, infatti, erano per lui soliti “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio” (At 6, 1), cosa che non poteva tollerare. Il suo passaggio dalla polemica verbale all’azione punitiva nei confronti dei cristiani giudeo-ellenisti, in particolare di Gerusalemme, Damasco (Siria), Tarso e Antiochia di Siria (entrambe sulla costa orientale anatolica del mare Mediterraneo), fu molto veloce e sarà così descritto da lui stesso dopo la conversione: “… Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri …” (Gal 1, 13). Quella da lui attuata, divenne una persecuzione sempre più furente e devastante, come ricorderà ancora: “… In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli con le torture a bestemmiare e, infuriando all’eccesso contro di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere …” (At 26, 11; cf At 8, 3 e 9, 10-21). In preda al fanatismo, arrivava a flagellare e a percuotere i cristiani (cf At 22, 4-19 e 26, 11), infliggendo loro i patimenti che lui stesso subirà dopo la conversione. A distanza di anni da quelle persecuzioni, proprio perché aveva oppresso la Chiesa di Dio, si riterrà “l’infimo degli apostoli” (1 Cor 15, 9) e il suo radicale cambiamento lo porterà a morire martire a Roma fra il 64 e il 67 (cf 2 Cor 11, 24). Il primo racconto della conversione di San Paolo è stato steso da San Luca evangelista (circa 10 - circa 93), che traccia nei suoi Atti degli Apostoli la cronaca della Chiesa nascente, presentando nella prima parte gli episodi che hanno per protagonista San Pietro e riservando la seconda alle vicende di Paolo, l’apostolo delle Genti. San Luca ebbe il privilegio di accompagnarlo in diversi viaggi missionari, collaborando con lui alla diffusione del Vangelo e assistendolo con affetto filiale e perizia medica nelle sue frequenti infermità. L’affetto e la stima tra i due erano reciproci, tanto che Paolo definirà Luca “il carissimo medico, mio collaboratore”. Luca era quindi in grado di conoscere direttamente o di venire a sapere da testimoni sicuri le informazioni su Paolo che ci trasmette negli Atti degli Apostoli. Nell’opera, è raccontato l’episodio specifico della conversione di Paolo, spiegando come egli intraprese un viaggio a Damasco, in Siria, con lo scopo di smascherare e imprigionare gli ebrei aderenti alla nuova fede cristiana colà rifugiatisi. Il Sinedrio di Gerusalemme (il massimo organo preposto all'emanazione delle leggi e alla gestione della giustizia fra i giudei), infatti, aveva giurisdizione anche sui compatrioti residenti al di fuori della Palestina e, pertanto, Paolo poté presentarsi al sommo sacerdote e ottenere dei “mandati” formali giustificanti la sua missione, da consegnare alle sinagoghe di Damasco. Tali lettere erano veri e propri “ordini di cattura”, che lo autorizzavano a tradurre incatenati, a Gerusalemme, i cristiani che avesse trovato. Forte di tali missive, infervorato per quella che riteneva “una giusta causa”, Paolo partì alla guida di un gruppo di farisei per la sua missione nella capitale siriana, pronto ad affrontare un viaggio di circa 250 chilometri, che poteva durare anche una settimana. Proprio su tale via, nel corso del viaggio, un evento prodigioso fu l’artefice della sua conversione: mentre si avvicinava a Damasco unitamente ai suoi accompagnatori, probabilmente a cavallo, verso mezzogiorno di un giorno non meglio precisato, fu improvvisamente abbagliato da un portentoso fulgore del cielo, come da Luca raccontato negli Atti degli Apostoli (cf At 22, 3-15). Al riguardo si apprende, dalle stesse sue parole: “… Caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?». Io risposi: «Chi sei, o Signore?». Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti». Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: «Che devo fare, Signore?». E il Signore mi disse: «Alzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia». E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco …” (At 22, 7-11). In questa città fu ospitato nella casa di un certo Giuda, cristiano che abitava nella strada chiamata "La Diritta", attraversante il centro abitato da oriente a occidente. A quel punto il Signore andò in sogno da Anania, uomo giusto, timorato di Dio ed influente membro della locale comunità cristiana, dicendogli di andare da Paolo e di guarirlo dalla sua cecità. Anania, conoscendo di fama l’ostilità di quell’uomo per i seguaci del Vangelo, chiese a Gesù perché avrebbe dovuto salvarlo, sentendosi rispondere che Egli aveva scelto proprio quell’uomo, che gli sarebbe stato utile per farsi conoscere dagli stranieri, dai re e dai figli di Israele, a cui avrebbe mostrato quanto avrebbe dovuto soffrire per Lui. Anania obbedì e si recò nella casa di Giuda, impose le mani sugli occhi di Paolo ed egli recuperò immediatamente la vista. Questo il racconto della Conversione di San Paolo, tanto famoso da essere divenuto proverbiale, al punto che anche ai giorni nostri è d’uso comune l’espressione “folgorato sulla via di Damasco”, per indicare qualcuno che abbia una repentina e radicale conversione di fede e condotta di vita. Paolo, da acerrimo nemico di Cristo a suo leggendario apostolo. Poco alla volta, quello che fu un terribile persecutore, riprese le forze e crebbe prodigiosamente nella fede in Gesù, tanto che fu battezzato con il nome di Paolo, come inizialmente evidenziato. Divenuto noto come Paolo “di Tarso”, è stato definito l'apostolo “delle genti” o “dei gentili" (termine che traduce in lingua italiana il plurale del latino gentes con il significato di “pagani, non cristiani”), per la sua grande attività di “missionario del Vangelo” tra i pagani greci e romani.
IMMAGINE: "Conversione di San Paolo sulla via di Damasco", olio su tela dipinto, tra il 1600 ed il 1601 circa, dal pittore milanese Michelangelo Merisi, detto Caravaggio (1571-1610). L'opera si trova all'interno della basilica di Santa Maria del Popolo a Roma.
Roberto Moggi
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