Chi nun po’ mangnà carne, veve brodo.

Per vivere bene basta accontentarsi di ciò che si ha.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Un altro proverbio che si contrappone al consumismo odierno, in un periodo caratterizzato da spese, da regali e da festeggiamenti, che aumenta la tristezza di chi vive nell'indigenza e non possiede le minime risorse. che soddisfino la sua capacità di accontentarsi del poco che dispone.
Anche se in un'interpretazione letterale, chi non dispone della carne per il brodo, non può che sopperirvi con un dado, che tanto benefico non è.
A meno che non si contenti delle erbe che si uniscono alle carni, aggiungendoci tutta la verdura e gli aromi che possono concorrere al sapore più gradevole.
Ben s'accompagna al tema del proverbio, un altro detto a suo tempo presentato:
"É mmeglio poco ca niente."
Per come in caso di necessità è meglio accontentarsi del poco che non avere nulla.
In una società improntata ad un consumismo spesso esagerato, il proverbio ci esorta alla semplicità del vivere, felici del poco che si ha, rispetto al nulla e gli fa eco il detto "chi si contenta, gode", rispetto a chi, pur conducendo una vita più che agiata, non è mai sazio dei beni che possiede, come scrisse a suo tempo
William Shakespeare:
“Si soffre molto per il poco che ci manca e gustiamo poco il molto che abbiamo.”
Chi sa vivere in modo morigerato e sobrio, a prescindere dai beni che possiede, prediligendo una vita improntata alla semplicità, è ricco anche se povero di mezzi.
Rispetto alla metafora rappresentata dall'ottimista e dal pessimista, nel vedere il bicchiere mezzo pieno, o mezzo vuoto, c'è chi è più che soddisfatto se il contenuto del bicchiere riesce a placare la sua sete.
Per quanto si possa soffrire o disprezzare una vita trascorsa in ristrettezze, la persona accorta e saggia, la reputa come il miglior tirocinio offerto dal destino, avendogli insegnato a saper apprezzare e a contentarsi di ciò che è essenziale e a non curarsi di quello che è superfluo.
Un'altra dote che possiamo attribuire a tale figura idealizzata, è quella che gli basta pensare a chi sta peggio di lui per godere ancora di più degli anche pochi beni che possiede e che, nella miglior luce in cui ci si dovrebbe comportare nella vita, la trovi a prodigarsi nei centri di assistenza e nelle mense per i poveri, per aiutare chi versa in condizioni peggiori delle sue.
Purtroppo spesso è comune, a certi esseri umani, di stancarsi di quello che possiedono, cercando il meglio e peggiorando la loro situazione, che li porta a sperare che non succeda il peggio, come accade a chi fa il passo più lungo della gamba.
La scienza dell'economia distingue i beni in primari e secondari, gli uni al primo gradino che fa da base alla ideale piramide economica, e consistenti nell'alimentarsi, nel coprirsi ed avere un tetto sulla testa, mentre i secondi, nei soprastanti gradini che vanno a restringersi, definiti anche di civiltà, soddisfano i bisogni culturali, sempre però che i primi siano stati soddisfatti.
Nella varietà poi, che contraddistingue gli esseri umani, c'è chi rinuncia a qualche bene primario, per soddisfare il bisogno di cultura e chi si cura poco di tale necessità, prediligendo il lusso del superfluo.
Per chi, pur da profano, si diletta nell'acquisire cognizioni in merito, accenno alla famosa piramide di Maslow, che può leggere qui:
https://www.andreaminini.com/marketing/piramide-maslow
In un altro detto, che troviamo nell'elenco dei proverb di Gianni Polverino, leggiamo:
"Chi s’accuntenta, campa a lluongo."
Per come il sapersi accontentare, non solo è benefico per la mente, per come essa si prodiga in tale stato a migliorare anche la salute, rispetto a chi si lamenta in continuazione del poco che dispone, così che alla povertà dei mezzi, si accompagna il rendere più esigua l'aspettativa futura della vita.
Riguardo al sapersi accontentare di quello che si ha, scegliamo due figure che furono d'esempio, dimostrando quali sono i beni essenziali della vita, che spesso è rovinata dal desiderio incessante dei superflui.
Una rappresentata da filosofo Diogene di Sinope, che da 2400 anni fa, ci manda a dire che le persone più ricche del mondo sono quelle che hanno bisogno solo dell'essenziale per vivere.
Magari esagerava, vivendo in una botte, recandosi al mercato per divertirsi ad osservare tutti i prodotti dei quali non aveva bisogno e, visto un ragazzo bere a una fontana con le mani a coppa, scoperse di avere un altro oggetto inutile e gettò il recipiente che gli serviva per bere.
Il miglior arredamento di cui poteva disporre, ce l'aveva nella mente e non intorno a sé.
Al filosofo Aristippo che lo biasimava nel vederlo pasteggiare con un misero piatto di lenticchie, dicendogli che se fosse stato ossequioso con il re, avrebbe potuto vivere molto meglio, rispose all'interlocutore che se avesse imparato ad accontentarsi di un piatto del genere, non avrebbe avuto bisogno di piegarsi ad adulare il re, tanto Diogene era capace di non chiedere e ancora meno di elemosinare, perché l'adulatore che cerca di ottenere dei favori, giusto assomiglia a un mendicante.
Un uomo che non aveva nemmeno bisogno di "possedere" una nazionalità, proclamandosi cittadino del mondo.
Ci pensiamo che se tutti gli esseri viventi sulla terra la pensassero così, diminuirebbero le guerre?
L'altra figura eccelsa, a tal riguardo, fu rappresentata dal filosofo Epicuro, per il quale, una vita piacevole, non includeva né lussi né stravaganze. Se lo scopo della vita è la rimozione di tutto il dolore, il modo più efficiente per assicurarsi una vita il più possibile priva di dolore, consiste nel rimuovere tutti i desideri che non sono assolutamente naturali e necessari.
I bisogni che per abitudine sono definiti naturali, ma che non sono necessari, possono produrre soltanto un piacere effimero, nell'istante di riuscire ad ottenerli, un piacere che purtroppo dura poco, facendo spazio alla sofferenza fatta sorgere da altri desideri. Dunque occorre liberarsi di essi e appagare i soli bisogni effettivamente necessari, non solo accontentandosi, ma sapendone godere, e in questo, secondo Epicuro, consiste il liberarsi dal timore del dolore e raggiungere la felicità.
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