La fortuna è paragonata ad una ruota che gira, ora in un senso ed ora nell’altro.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
La fortuna e il suo contrario caratterizzano gli eventi della vita, con le scelte fatte e le vicende a cui hanno dato seguito le circostanze fortunate o sfortunate nelle quali si è incorsi, con i luoghi e le famiglie in cui ci si è trovati a crescere, con le persone che abbiamo scelto e con quelle che ci sono capitate.
Un proverbio che si accompagna a un altro detto che troviamo nell'elenco curato da Gianni Polverino, che recita:
"’O munno è ’na rota: ogge a mme… dimane a tte!"
Il mondo è una ruota. Oggi a me... domani a te!
Un adagio che ci esorta all'umiltà, nell'accogliere la vita come viene e senza esultare delle disgrazie altrui, anche se vi incorrono persone che ci hanno fatto del male, o che semplicemente ci guardano dall'alto in basso, per l'importanza che ritengono di avere rispetto a noi.
Viviamo con modestia e gratitudine gli eventi fortunati, augurandoli a chiunque vive in peggiori condizioni, perché il cielo non ha preferenze e non sappiamo mai ciò che ci serba.
Il guerriero intento a combattere la più importante battaglia della vita, che non è altro che la sua esistenza, è umile nelle vittorie e sereno nelle sconfitte, che accoglie come le migliori lezioni che la vita gli concede.
A fronte di persone che passano il tempo a lamentarsi per qualunque futilità, il saggio, in qualsiasi stato versa, accoglie ogni giorno come il più bel regalo che la sorte gli ha concesso.
Tutto cambia, niente è duraturo e basta già la brevità della nostra vita a dimostrarcelo.
Pensiamo alla buona sorte e alla disgrazia caratterizzate dal vissuto in un contesto famigliare, per cui può dirsi veramente fortunato chi vive in una famiglia unita e solidale, come poi ogni comunità famigliare dovrebbe essere, un fenomeno che è presentato dalla pubblicità con la classica famiglia del Mulino Bianco, rispetto a una realtà che spesso è ben diversa.
La fortuna è cieca e la sfortuna, che poi si dica sfiga o jella, siamo lì, avrebbe gli occhi d'aquila.
Una metafora dovuta al fatto che se tutto va bene, ci si fa caso poco, ma se le circostanze volgono al peggio, i disagi e le sofferenze che ne derivano, rendono il fenomeno molto più evidente.
Circostanze nelle quali chi nella superficialità di una credenza poco profonda e molto relativa, esclama "Dio c'è!" se è incorso in un evento fortunato, ma se succede una disgrazia passa ad esclamare "Esiste Dio? E dov'è?", mentre chi è profondo nella sua osservanza, ringrazia sempre il cielo che non gli sia successo qualcosa di peggiore.
Rispetto a chi ha avuto la fortuna di avere tutto quello che può servire nella vita, ricordiamo sempre che può risolversi in una fortuna spesso relativa, perché rende fragile il privilegiato, che se si trova ad incontrare anche un ostacolo banale, lo vive come se fosse chissà quale tragedia, mentre chi ha avuto la sfortuna di essere stato sottoposto a patimenti, vuoi d'indigenza che di malattia, basta un nonnulla per renderlo grato alla buona sorte che glie l'ha concesso
Una persona attiva e laboriosa, può essere vista come fortunata, per i successi che riesce a conseguire, dall'invidioso pigro e inconcludente, che fa solo caso ai risultati e non all'impegno e alla fatica che ci sono voluti per raggiungerli.
Vista in una certa prospettiva, la fortuna assomiglia ai guai, riguardo a chi vi incorre e a chi li cerca, così che mentre l'ottimista di natura vive un evento fortunato con tutta la naturalezza che gli permette il suo carattere, il pessimista riesce a rovinarlo, preventivando tutte le possibilità suscettibili di cambiare la fortuna in mala sorte, cosa che spesso e volentieri gli succede, perché anche la legge universale di attrazione può avere un suo cinismo.
Ci sono figure alle quali le credenze e le superstizioni popolari hanno attribuito doti di porta fortuna, oppure porta jella, due delle quali le troviamo nella gustosissima commedia di Eduardo De Filippo, nella quale il commendatore Gervasio Savastano, che è superstizioso oltre ogni limite, attribuisce influssi negativi al suo impiegato, Belisario Malvurio, per come gli affari vanno male. Ma ecco che in azienda si presenta un giovane che si chiama Alberto Sammaria e pare essere gobbo e con il suo arrivo gli affari ricominciano di colpo a girare per il verso giusto. Non è che un raggiro, perché il Sammaria è il fidanzato della figlia e si è finto gobbo sapendo quanto è superstizioso il padre.
Il Sammaria non fa altro che rappresentare il gobbo, detto anche ‘O Scartellato, che è una nota figura popolare della tradizione napoletana ed al contrario della scartellata (femmina), si dice porti fortuna se gli si tocca la gobba.
Una persona che rappresenterebbe un vero e proprio fenomeno, nella veste di amuleto ambulante.
E a tal riguardo, il rituale che tanto simpatico non è per chi ne è fatto oggetto, a meno che non abbia un senso dell'ironia molto sviluppato, è quello di accarezzare la gobba del poveraccio definito appunto "scartellato", da farsi in modo lieve e non violento, come l'usanza esige.
Un rito che risalirebbe all'antica Grecia, quando si credeva che la gobba di un uomo, “kartos”, contenesse oggetti preziosi, e quindi nel toccarla, si propiziava l'abbondanza e la fortuna.
Alla figura di Belisario Malvurio, che invece è visto dal commendatore come un porta jella, fa eco Rosario Chiàrchiaro, un uomo scacciato dal banco dei pegni per essere stato considerato uno iettatore, che è il protagonista della famosissima novella di Luigi Pirandello, La patente.
Il povero disgraziato, visto com'è considerato, cerca di sfruttare la nomea che gli è stata attribuita, ottenendo la patente di iettatore con cui pretendere di essere pagato per evitare i suoi malefici, per riuscire almeno a vendicarsi della schifosa umanità che lo circonda, sfruttando la superstizione popolare, imponendo una tassa che nessuno al suo passaggio rifiuterà di pagare.
La figura dell'uccello del malaugurio, è un attributo che abbiamo visto come possa essere affibbiato, e del tutto immeritato, a personaggi dello spettacolo, ad esempio, che hanno suscitato invidia per il successo conseguito.
Dire che qualcuno porta sfortuna dovrebbe essere considerato un reato pari al tentato omicidio e punito di conseguenza, diceva Luciano De Crescenzo, di un vero e proprio crimine, purtroppo con contemplato dalla legge.
Leggiamo come tra i riti scaramantici napoletani più curiosi, c’è l’usanza di mangiare uva e lenticchie, dopo la mezzanotte del primo gennaio, come simbolo di prosperità e ricchezza, perché chi le mangia avrà più possibilità di passare un anno fortunato, anche se poi è tradizionale credenza d'altre parti che le lenticchie portino quattrini, ma solo se mangiate a capodanno.
C'è chi usa purificare casa dagli influssi malefici bruciando incenso o salvia, con tutta l'attenzione che richiede la seconda, perché se usata in modo esagerato, produce un fumo tale da indurre i vicini a chiamare i vigili del fuoco.
Un altro protagonista, che propizia la fortuna o il suo opposto, è il sale, specialmente poi se è grosso, come quando era l'unico modo di acquistarlo, che se caduto in terra, fa il paio con l'olio, ad attirare le disgrazie, dai tempi in cui le due sostanze avevano un costo tale, che il sale acquistava addirittura la veste di valuta.
Ecco quindi il rituale di gettare tre pizzichi di sale, che sia poi caduto oppure no, oltre la spalla sinistra, per allontanare la sventura, con buona pace di chi dovrà spazzarlo.
Si dice che la fortuna è cieca e certo è, che qualsiasi espediente c'inventiamo, affinché posi il suo desiderato sguardo su di noi, non ha ancora prodotto l'oculista che abbia conseguito tale specializzazione.
Home page ARGOMENTI
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
La fortuna e il suo contrario caratterizzano gli eventi della vita, con le scelte fatte e le vicende a cui hanno dato seguito le circostanze fortunate o sfortunate nelle quali si è incorsi, con i luoghi e le famiglie in cui ci si è trovati a crescere, con le persone che abbiamo scelto e con quelle che ci sono capitate.
Un proverbio che si accompagna a un altro detto che troviamo nell'elenco curato da Gianni Polverino, che recita:
"’O munno è ’na rota: ogge a mme… dimane a tte!"
Il mondo è una ruota. Oggi a me... domani a te!
Un adagio che ci esorta all'umiltà, nell'accogliere la vita come viene e senza esultare delle disgrazie altrui, anche se vi incorrono persone che ci hanno fatto del male, o che semplicemente ci guardano dall'alto in basso, per l'importanza che ritengono di avere rispetto a noi.
Viviamo con modestia e gratitudine gli eventi fortunati, augurandoli a chiunque vive in peggiori condizioni, perché il cielo non ha preferenze e non sappiamo mai ciò che ci serba.
Il guerriero intento a combattere la più importante battaglia della vita, che non è altro che la sua esistenza, è umile nelle vittorie e sereno nelle sconfitte, che accoglie come le migliori lezioni che la vita gli concede.
A fronte di persone che passano il tempo a lamentarsi per qualunque futilità, il saggio, in qualsiasi stato versa, accoglie ogni giorno come il più bel regalo che la sorte gli ha concesso.
Tutto cambia, niente è duraturo e basta già la brevità della nostra vita a dimostrarcelo.
Pensiamo alla buona sorte e alla disgrazia caratterizzate dal vissuto in un contesto famigliare, per cui può dirsi veramente fortunato chi vive in una famiglia unita e solidale, come poi ogni comunità famigliare dovrebbe essere, un fenomeno che è presentato dalla pubblicità con la classica famiglia del Mulino Bianco, rispetto a una realtà che spesso è ben diversa.
La fortuna è cieca e la sfortuna, che poi si dica sfiga o jella, siamo lì, avrebbe gli occhi d'aquila.
Una metafora dovuta al fatto che se tutto va bene, ci si fa caso poco, ma se le circostanze volgono al peggio, i disagi e le sofferenze che ne derivano, rendono il fenomeno molto più evidente.
Circostanze nelle quali chi nella superficialità di una credenza poco profonda e molto relativa, esclama "Dio c'è!" se è incorso in un evento fortunato, ma se succede una disgrazia passa ad esclamare "Esiste Dio? E dov'è?", mentre chi è profondo nella sua osservanza, ringrazia sempre il cielo che non gli sia successo qualcosa di peggiore.
Rispetto a chi ha avuto la fortuna di avere tutto quello che può servire nella vita, ricordiamo sempre che può risolversi in una fortuna spesso relativa, perché rende fragile il privilegiato, che se si trova ad incontrare anche un ostacolo banale, lo vive come se fosse chissà quale tragedia, mentre chi ha avuto la sfortuna di essere stato sottoposto a patimenti, vuoi d'indigenza che di malattia, basta un nonnulla per renderlo grato alla buona sorte che glie l'ha concesso
Una persona attiva e laboriosa, può essere vista come fortunata, per i successi che riesce a conseguire, dall'invidioso pigro e inconcludente, che fa solo caso ai risultati e non all'impegno e alla fatica che ci sono voluti per raggiungerli.
Vista in una certa prospettiva, la fortuna assomiglia ai guai, riguardo a chi vi incorre e a chi li cerca, così che mentre l'ottimista di natura vive un evento fortunato con tutta la naturalezza che gli permette il suo carattere, il pessimista riesce a rovinarlo, preventivando tutte le possibilità suscettibili di cambiare la fortuna in mala sorte, cosa che spesso e volentieri gli succede, perché anche la legge universale di attrazione può avere un suo cinismo.
Ci sono figure alle quali le credenze e le superstizioni popolari hanno attribuito doti di porta fortuna, oppure porta jella, due delle quali le troviamo nella gustosissima commedia di Eduardo De Filippo, nella quale il commendatore Gervasio Savastano, che è superstizioso oltre ogni limite, attribuisce influssi negativi al suo impiegato, Belisario Malvurio, per come gli affari vanno male. Ma ecco che in azienda si presenta un giovane che si chiama Alberto Sammaria e pare essere gobbo e con il suo arrivo gli affari ricominciano di colpo a girare per il verso giusto. Non è che un raggiro, perché il Sammaria è il fidanzato della figlia e si è finto gobbo sapendo quanto è superstizioso il padre.
Il Sammaria non fa altro che rappresentare il gobbo, detto anche ‘O Scartellato, che è una nota figura popolare della tradizione napoletana ed al contrario della scartellata (femmina), si dice porti fortuna se gli si tocca la gobba.
Una persona che rappresenterebbe un vero e proprio fenomeno, nella veste di amuleto ambulante.
E a tal riguardo, il rituale che tanto simpatico non è per chi ne è fatto oggetto, a meno che non abbia un senso dell'ironia molto sviluppato, è quello di accarezzare la gobba del poveraccio definito appunto "scartellato", da farsi in modo lieve e non violento, come l'usanza esige.
Un rito che risalirebbe all'antica Grecia, quando si credeva che la gobba di un uomo, “kartos”, contenesse oggetti preziosi, e quindi nel toccarla, si propiziava l'abbondanza e la fortuna.
Alla figura di Belisario Malvurio, che invece è visto dal commendatore come un porta jella, fa eco Rosario Chiàrchiaro, un uomo scacciato dal banco dei pegni per essere stato considerato uno iettatore, che è il protagonista della famosissima novella di Luigi Pirandello, La patente.
Il povero disgraziato, visto com'è considerato, cerca di sfruttare la nomea che gli è stata attribuita, ottenendo la patente di iettatore con cui pretendere di essere pagato per evitare i suoi malefici, per riuscire almeno a vendicarsi della schifosa umanità che lo circonda, sfruttando la superstizione popolare, imponendo una tassa che nessuno al suo passaggio rifiuterà di pagare.
La figura dell'uccello del malaugurio, è un attributo che abbiamo visto come possa essere affibbiato, e del tutto immeritato, a personaggi dello spettacolo, ad esempio, che hanno suscitato invidia per il successo conseguito.
Dire che qualcuno porta sfortuna dovrebbe essere considerato un reato pari al tentato omicidio e punito di conseguenza, diceva Luciano De Crescenzo, di un vero e proprio crimine, purtroppo con contemplato dalla legge.
Leggiamo come tra i riti scaramantici napoletani più curiosi, c’è l’usanza di mangiare uva e lenticchie, dopo la mezzanotte del primo gennaio, come simbolo di prosperità e ricchezza, perché chi le mangia avrà più possibilità di passare un anno fortunato, anche se poi è tradizionale credenza d'altre parti che le lenticchie portino quattrini, ma solo se mangiate a capodanno.
C'è chi usa purificare casa dagli influssi malefici bruciando incenso o salvia, con tutta l'attenzione che richiede la seconda, perché se usata in modo esagerato, produce un fumo tale da indurre i vicini a chiamare i vigili del fuoco.
Un altro protagonista, che propizia la fortuna o il suo opposto, è il sale, specialmente poi se è grosso, come quando era l'unico modo di acquistarlo, che se caduto in terra, fa il paio con l'olio, ad attirare le disgrazie, dai tempi in cui le due sostanze avevano un costo tale, che il sale acquistava addirittura la veste di valuta.
Ecco quindi il rituale di gettare tre pizzichi di sale, che sia poi caduto oppure no, oltre la spalla sinistra, per allontanare la sventura, con buona pace di chi dovrà spazzarlo.
Si dice che la fortuna è cieca e certo è, che qualsiasi espediente c'inventiamo, affinché posi il suo desiderato sguardo su di noi, non ha ancora prodotto l'oculista che abbia conseguito tale specializzazione.
Home page ARGOMENTI
Commenti
Posta un commento
Non inserire link cliccabili altrimenti il commento verrà eliminato. Metti la spunta a Inviami notifiche per essere avvertito via email di nuovi commenti al post.