Oggi - 25 novembre 2024 - lunedì della XXXIV settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di Santa Caterina d’Alessandria, vergine e martire. Di Aikaterine o Catharina (Caterina), questi i suoi nomi rispettivamente in greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e latino, si hanno poche e non sempre sicure informazioni. Queste provengono per lo più da un passio greco risalente alla seconda metà del X secolo, posteriore più di seicento anni dalla vita della Santa e caratterizzato da accrescimenti e omissioni, come mostra il gran numero di versioni conservatesi nella tradizione latina, a partire dall’XI secolo. Si ritiene che Caterina sia nata tra la fine del III e l’inizio del IV secolo, forse verso il 287, ad Alessandria d’Egitto, grande metropoli portuale multiculturale sulla costa mediterranea della Provincia Romana dell’Egitto (oggi nella repubblica omonima dell’Africa settentrionale). Nelle sue linee essenziali, la tradizione costituitasi intorno all’originario passio, parla di lei come di una ragazza di rara bellezza e intelligenza, nata in un’illustre famiglia della città, casta, pia e dedita allo studio della filosofia e delle arti liberali. Dopo la prematura morte del padre si convertì al cristianesimo, rifiutandosi di continuare a offrire sacrifici agli idoli pagani. L’imperatore romano Massenzio (dal 306 al 312), che la conobbe durante un suo viaggio ad Alessandria, ne rimase talmente affascinato - per la non comune bellezza, la grande cultura e la magnifica eloquenza - che benché fosse cristiana la protesse, facendola partecipare a una pubblica disputa filosofica con i più dotti pensatori pagani del posto, i quali però, ascoltandola, a loro volta finirono per convertirsi a Gesù. Furioso per l’esito del dibattito, Massenzio offrì a Caterina la salvezza a condizione che si fosse concessa carnalmente a lui e avesse abiurato la fede, cose che lei rifiutò decisamente. Imprigionata senza cibo né acqua per dodici giorni, durante la reclusione ricevette la visita inattesa dell’imperatrice, accompagnata da Porfirio, comandante della Guardia Imperiale, i quali volevano saggiarne la fedeltà a Cristo con lusinghe e minacce. Caterina, tuttavia, non solo convertì entrambi, ma anche i duecento pretoriani della Guardia. Durante la dura preclusione, nonostante la mancanza di acqua e cibo, nutrita prodigiosamente da un angelo in sembianza di colomba, si mantenne fresca come una rosa. Massenzio, allora, decise di sottoporla alla tortura della duplice ruota dentata, strumento di supplizio che sarebbe diventato poi l’attributo iconografico della giovinetta, ma i chiodi della ruota non la sfiorarono nemmeno, giacché un altro angelo la spezzò con la spada. L’imperatore ordinò allora che fosse subito decapitata. Era circa il 304 quando, giunta sul luogo dell’esecuzione, Caterina pregò ardentemente il Signore, chiedendogli che il suo corpo venisse sepolto integro e non smembrato in reliquie e che chiunque avesse chiesto la sua intercessione vedesse esaudita la sua richiesta. Al momento stesso della decapitazione, dalla ferita uscì prodigiosamente latte invece che sangue. Gli angeli trasportarono infine il suo corpo in un monastero ai piedi del monte Sinai, all’altezza di 1500 metri sul livello del mare, in una tomba da dove presto cominciarono a stillare latte e olio che guarivano da molti mali. In questo luogo, oggi monastero di rito greco-ortodosso, tuttora il corpo è venerato con pia devozione. Un’altra tradizione, tuttavia, afferma che verso la metà dell’XI secolo i suoi resti furono miracolosamente trasferiti a Rouen nel Ducato di Normandia, sotto il Regno dei Franchi (oggi Francia settentrionale), dal santo monaco del Sinai Simeone che li depose nell’abbazia benedettina della Santissima Trinità, che poco più tardi prese da lei il nome di Santa Caterina. A queste accreditate tradizioni venne aggiunto, nel corso del Medioevo, l’episodio del matrimonio mistico di Caterina con Gesù Bambino che, apparsole in grembo alla Vergine, le infilò al dito l’anello nuziale.
IMMAGINE: "Santa Caterina d'Alessandria", olio su tela dipinto, tra il 1595 ed il 1596 circa, dal pittore milanese Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610). L'opera si trova attualmente presso il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid (Spagna).
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