San Leone I Magno

Oggi - 10 novembre 2024 - XXXII domenica del tempo ordinario, Pasqua settimanale che ha la preminenza sulle altre celebrazioni, la Chiesa ricorda San Leone I detto “Magno” (cioè “Grande”), papa e dottore della Chiesa. Di Leo (Leone), questo il suo nome in latino, si hanno poche notizie precedenti la sua elezione al Soglio Pontificio, anche perché egli non amava scrivere di sé né gradiva che altri lo facessero. Le informazioni che lo riguardano provengono per lo più dal “Liber Pontificalis” (“Libro dei papi”), attraverso il quale sappiamo che nacque verso il 390 (ma secondo altre fonti il 400 circa), verosimilmente a Volaterrae, in quella che fu l’antica Etruria, compresa all’incirca tra il Lazio settentrionale e la Toscana centro-meridionale, al centro circa della Penisola Italiana territorio metropolitano dell’Impero Romano (oggi Volterra, in provincia di Pisa, regione Toscana), da una famiglia cristiana che lo fece educare a Roma. Tuttavia, secondo alcuni agiografi, potrebbe essere nato nella stessa Roma da genitori volterrani. Rivelò fin da ragazzo fede e ingegno non comuni, che più tardi applicò con vigore alla scienza sacra, facendosi stimare sia dal popolo sia dai potenti, tanto che il celebre monaco e scrittore San Giovanni Cassiano (360-435) gli dedicò il suo libro “L’incarnazione del Signore”, mentre il pontefice San Celestino I (dal 422 al 432), lo nominò Arcidiacono. Ciò nonostante, Dio l’aveva destinato a cose ben più grandi, tanto è vero che, nel 440, mentre si trovava in Gallia (odierna Francia) per dirimere un’aspra e difficile contesa fra altolocati signori locali, morì papa San Sisto III (dal 432 al 440) e, il 29 settembre 440, i cardinali concordi lo elessero al Soglio di Pietro. Tornato nella città eterna, umile e confidante nel Signore, abbracciò la sublime e ardua missione di Pastore della Chiesa universale, in modo talmente mirabile da meritarsi presto il titolo di “Magno”, primo in assoluto tra tutti i pontefici. Aveva un'idea altissima della sua missione e del suo ruolo, consapevole di come incarnassero la dignità, il potere e la sollecitudine di Pietro, capo degli Apostoli. Le sue attività furono sempre contraddistinte dal massimo zelo, soprattutto nell'istruzione del popolo e nella santificazione del clero, che erano le sue maggiori preoccupazioni, mentre, col concorso di ricche e aristocratiche famiglie, fece edificare molte chiese nell’urbe. Fu soprannominato “Il martello degli eretici”, per la sua strenua lotta contro ogni forma di eresia. Combattè i seguaci del Manicheismo, religione radicalmente dualista, con due princìpi, luce e tenebre, coevi, indipendenti e contrapposti, influenti in ogni aspetto dell'esistenza e della condotta umana. Ancora, smascherò l'eresia di Eutiche, superiore di un monastero di rito greco ortodosso a Costantinopoli, capitale dell’Impero romano d’oriente, fondatore del Monofisismo, secondo cui, nell'unica persona di Gesù Cristo, dopo l'incarnazione, vi era la sola natura divina, scuotendo i fondamenti del cristianesimo. Infine pose argine a Nestorio (dal 428 al 431), teologo e già patriarca di Costantinopoli, fondatore della dottrina che da lui prese nome di Nestorianesimo, asserente che, alla duplice natura divina e umana di Cristo, corrisponderebbero due distinte persone. Nel 451, nel concilio da lui indetto a Calcedonia, località in Bitinia sul mar di Marmara (oggi nella Turchia asiatica), dove per suo ordine si erano radunati ben 630 vescovi, le eresie di Eutiche e di Nestorio furono confutate e condannate, principalmente con la pubblica esposizione di una lettera-manifesto che egli inviò al patriarca di Costantinopoli San Flaviano (morto nel 449), considerata un capolavoro tra gli scritti dell'antichità cristiana sul dogma dell'Incarnazione. Nel 452, dovette affrontare il problema della discesa in Italia del re Attila, detto “Flagello di Dio”, alla guida delle sue orde di Unni (popolo “barbaro” proveniente dall’Europa orientale), procace di stragi e devastazioni. Dopo che l'imperatore bizantino Marciano (dal 450 al 457) fuggì dinanzi a loro con il suo esercito, impotente a respingerli, Leone partì da Roma per fermare egli stesso, senza armi, il sovrano barbaro e le sue schiere. Confidando solo nell'aiuto dell’Onnipotente, gli si recò personalmente incontro con un’apposita delegazione ecclesiale, raggiungendolo nella pianura padana, sulle rive del fiume Mincio (oggi in Veneto), senza alcuna scorta e brandendo la sola croce papale, riuscendo a far retrocedere il fiero e sanguinario conquistatore, che convinse a ritirarsi oltre il Danubio. Fu un incontro che è ancora oggi uno dei grandi misteri della storia e della fede. In ogni caso non fu il solo, infatti, non molto tempo dopo, riuscì anche a fare risparmiare Roma, minacciata di totale distruzione dal re dei Vandali Generico alla guida del suo esercito. L’eccezionale carisma e la grande forza morale, per cui Papa Leone s'imponeva pacificamente perfino ai sovrani e ai capi più crudeli, per grazia di Dio, erano frutto delle sue doti di umiltà, carità e dolcezza, che lo facevano amare e rispettare non solo dal popolo, dai prìncipi e dagli imperatori, ma anche dai barbari e persino dagli stessi eretici. Fu scrittore insigne e profondo, in particolare quale autore di 69 omelie e 173 lettere pervenute fino a noi, monumenti autentici della sua pietà e del suo ingegno. Celebre la sua “Lettera dogmatica”, contenente l'esposizione della dottrina cattolica imperniata sulle due nature di Cristo in una sola persona. Il 18 agosto 460, un anno prima di morire, scrisse una famosa lettera al vescovo bizantino Timoteo, Patriarca di Alessandria d’Egitto (dal 457 al 460), offrendo preziosi consigli per il buon governo della Chiesa alla sequela di Cristo, che sono lo specchio della sua vita, quella di un Pastore che non si accanisce contro le pecore ribelli, ma usa la carità e la fermezza per ricondurle all’ovile. Il suo pontificato fu il più significativo e importante dell'antichità cristiana, guidando il destino della Chiesa romana in un periodo in cui stava sperimentando grandi ostacoli al suo progresso in conseguenza della rapida disintegrazione dell'Impero Romano d'Occidente, mentre l'oriente era profondamente agitato da controversie dogmatiche. Il 10 novembre 461, dopo un pontificato glorioso di ben ventuno anni, spirò e andò a ricevere il premio da quel Dio che aveva tanto amato e glorificato. Fu sepolto nel vestibolo della primitiva basilica di San Pietro sul colle Vaticano di Roma. Nel 688 papa Sergio I fece traslare il corpo all'interno della basilica e vi fece erigere sopra un altare. Nel 1715 i suoi resti furono trasferiti nell’odierna basilica romana di San Pietro, sotto l'altare della cappella della Madonna della Colonna, a lui dedicato, dove si trovano tuttora. Nel 1754 papa Benedetto XIV lo proclamò Dottore della Chiesa, poiché fu anche un grande scrittore, infatti tutti i suoi scritti si segnalano per la profondità e la chiarezza teologica oltre che per la rara eleganza della esposizione.
IMMAGINE: "L'incontro tra papa Leone Magno e Attila" (dove il pontefice è a cavallo, sulla sinistra), affresco a tempera su intonaco murale, dipinto, nel 1514, dal pittore di Urbino (regione Marche) Raffaello Sanzio, conosciuto come Raffaello (1483-1520). L'opera si trova nella Stanza di Eliodoro, all'interno del Palazzo Apostolico della Città del Vaticano (Roma).
Roberto Moggi
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