Oggi - 12 novembre 2024 - martedì della XXXII settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Giosafat, normalmente indicato anche con il proprio cognome Kuncewycz, vescovo e martire. Jan o Ivan (Giovanni) - questo il suo nome di battesimo, rispettivamente in lingua polacca e ucraina (quest’ultimo nella sua traslitterazione nel nostro alfabeto) - nacque nel 1580 a Vladimir (oggi Volodymyr, nel nord-ovest dell’Ucraina), nella Volinia, regione storica dell'Europa centro-orientale appartenente all’epoca al Regno di Polonia (oggi situata all’incirca tra la zona orientale della Polonia e quella occidentale della Bielorussia e dell’Ucraina), dalla nobile famiglia di religione cristiano-ortodossa Kuncewycz (in polacco) o Kuncevič (in ucraino traslitterato). Da ragazzo studiò a Vilnius, capitale del Granducato di Lituania, pure dipendente dal Regno di Polonia (oggi capitale della Lituania), in un periodo storico molto difficile, caratterizzato dallo scontro religioso tra i cristiani ortodossi tradizionalisti e quelli cattolici di rito greco della cosiddetta Chiesa “Uniate”, denominazione comunemente usata per indicare le Chiese che riconoscono l'autorità papale, i dogmi e il catechismo cattolico, ma conservano la liturgia bizantina, molto simile a quella praticata dalla Chiesa ortodossa. Gli Uniati, dopo il concilio ecumenico di Firenze del 1451-1452, si erano invero ricongiunti alla Chiesa Cattolica riconoscendo al papa un ruolo di preminenza sugli altri vescovi (il termine “Uniate”, infatti, deriva proprio dalla parola “unione”). La Chiesa Uniate, pertanto, incontrò l'approvazione del cattolico re di Polonia Sigismondo III (dal 1587 al 1632) e del pontefice Clemente VIII (dal 1592 al 1605). In questo clima turbolento, Giovanni, fino allora ortodosso, dopo tanto studio, profonda riflessione e accurato discernimento spirituale, fu ispirato ad aderire ai greco-cattolici (Uniati). Dopo la conversione, verso il 1604, entrò nell’antico monastero dedicato alla Santissima Trinità sito in Vilnius, retto dall'Ordine di San Basilio Magno e aderente alla Chiesa Uniate, di cui divenne monaco assumendo il nome religioso di Giosafat. Visse per alcuni anni da eremita nella povertà più assoluta, andando addirittura a piedi nudi nonostante il rigore dell'inverno, non mangiando mai carne e non bevendo mai vino se non per ubbidienza. Inoltre si mortificò con un doloroso cilicio, che tenne addosso fino al giorno della sua morte e custodì illibato il giglio della purezza che ancor ragazzo aveva consacrato a Maria Santissima. In pochi anni di vita monastica, la fama della sua virtù e della sua dottrina crebbe talmente che, sebbene giovane, fu eletto abate del suo monastero, che il suo esempio popolò di nuovi monaci, tanto che dovette fondarne altri nelle vicine località di Byten e, nel 1613, di Zyrowice, entrambe nella regione allora chiamata Rutenia (oggi tutte e due in Bielorussia). Infine, fu designato dal popolo come degno di reggere la sede arcivescovile di Polvez o Polock, nella medesima regione. Innalzato a questa onerosa dignità, senza cambiare nulla dell’umile e semplicissimo tenore della vita precedente, non pensò che al culto divino e alla salvezza delle anime affidategli. Nel 1617, nel monastero basiliano di Vilnius, Giosafat iniziò la riforma che portò alla rifondazione dell'Ordine Basiliano in un ramo che in seguito, in suo onore, assumerà la specificazione “di San Giosafat”, intraprendendo contemporaneamente una riforma dei costumi monastici della regione rutena, migliorando così la Chiesa Uniate, della quale fu il grande difensore. Scrisse anche alcune opere per dimostrare l’origine cattolica della Chiesa Rutena e la sua dipendenza primitiva dalla Santa Sede e per propugnare la riforma dei monasteri di rito bizantino e il celibato del clero. Energico difensore dell’unità e della verità cattolica, si adoperò con tutte le forze per ricondurre alla Sede di Pietro eretici e scismatici. Non cessò mai di difendere il papa e la pienezza della sua autorità dalle ingiurie e dagli errori degli avversari. Fu il più zelante promotore dell'unione della Chiesa di rito greco con quella latina. Erogò tutte le sue rendite nella costruzione di chiese, conventi ed opere pie e fu tanta la sua generosità verso i poveri che, non avendo un giorno più nulla per soccorrere una vedova, impegnò il suo pallio episcopale, simbolo della sua dignità di Pastore. I continui progressi della fede cattolica, però, accesero d’odio alcuni scismatici ostinati, i quali ordirono una congiura per assassinarlo. Il 12 novembre 1623, mentre Giosafat si trovava nella città di Vitebsk (odierna Bielorussia) per una visita pastorale, i cospiratori ortodossi assaltarono e devastarono il locale palazzo vescovile, massacrando e ferendo quanti incontrarono. Avutane notizia, prontamente Giosafat, uscito dalla chiesa dove aveva celebrato messa, andò incontro ai capi degli aggressori, domandando il perché di quella terribile violenza e dicendo loro che, se avessero avuto qualcosa contro la sua persona, era solo con lui che dovevano prendersela. Quelli, per tutta risposta, lo bastonarono violentemente fino alla morte, gettando poi il suo corpo nel fiume Dvina. Aveva solo quarantatré anni. In seguito le sue spoglie, che le cronache descrivono ammantate di una meravigliosa luce soprannaturale, furono recuperate, esposte alla venerazione dei fedeli e poi degnamente sepolte. Dal 1963 riposano nella Basilica di San Pietro in Vaticano a Roma, nell’altare di San Basilio Magno, dentro un sarcofago che è il più vicino alla tomba dell’apostolo San Pietro. Il pontefice Beato Pio IX lo ascrisse solennemente nell'albo dei Santi il 29 giugno 1877 e il papa Leone XIII ne estese il culto a tutta la Chiesa cattolica
IMMAGINE: "San Giosafat", icona a tecnica mista tempera e oro su legno, realizzata da ignoto autore di ambito greco-cattolico (probabilmente un monaco basiliano) orientativamente nella seconda metà del XVII secolo. L'opera si trova nel Monastero della Santissima Trinità, retto dall'Ordine di San Basilio Magno, a Vilnius (capitale della Lituania).
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