Oggi - 28 novembre 2024 - giovedì della XXXIV settimana del tempo ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giacomo, noto con la specificazione “della Marca” che ne indica la provenienza, religioso e sacerdote. Domenico, questo il suo nome di battesimo, nacque il 1° settembre 1393 o 1394 a Monteprandone, feudo appartenente al libero comune di Ascoli Piceno, nel territorio denominato Marca (oggi comune in provincia di Ascoli Piceno, regione Marche). Diciottesimo figlio della benestante famiglia Gangàla o Gangàle, studiò con profitto in varie città delle Marche e dell'Umbria, divenendo prima insegnante e più tardi “magistrato” (funzionario pubblico di rilievo) del suo paese d’origine. Tuttavia, nonostante il prestigio e il benessere conquistati, aderendo a una precoce vocazione spirituale, verso il 1415 decise di entrare nell’Ordine dei Frati Minori Osservanti (Famiglia Francescana), in un convento presso Firenze (Toscana), dove, nel 1418, pronunciò i voti assumendo il nome di Giacomo. In questa comunità religiosa, ebbe la grazia di avere come maestro il grande teologo Bernardino da Siena (1380-1444), futuro santo e dottore della Chiesa, che lo formò egregiamente. Verso il 1421, terminati gli studi a Perugia (Umbria) e conseguito il dottorato a Firenze, fu ordinato sacerdote. Per capacità e intima predisposizione d’animo, divenne predicatore itinerante, mostrandosi degno erede del suo grande precettore Bernardino da Siena, che imitò nello zelo e nella santità. La sua vita fu sempre improntata a un’estrema penitenza, tanto da sottoporsi a privazioni, come fosse in Quaresima, durante tutto l’anno. Per più di trent'anni si spostò instancabilmente per campagne, villaggi e città per predicare, solitamente a piedi, mangiando solo un tozzo di pane, poche fave e qualche cipolla che portava con sè nella bisaccia. Il suo vecchio istitutore San Bernardino gli raccomandava spesso di nutrirsi, ma lui continuava a digiunare quasi ogni giorno. Dormiva pochissimo, un paio d'ore per sera e si levava sempre quando gli altri andavano a riposare, portando per dieci anni il cilicio sulla nuda carne e battendosi con la sferza a scopo di mortificazione. Durante tutta la sua vita religiosa osservò la castità in modo perfetto, benché tormentato per ben trent'anni da forti tentazioni carnali, dalle quali lo liberò l’intercessione della Beata Vergine di Loreto. Nelle sue molte peregrinazioni fu imprigionato varie volte, insultato, assalito e malmenato da eretici, ma non desistette mai dai suoi propositi evangelici e mai mostrò rancore verso i suoi nemici e persecutori, perdonandoli sempre, pur combattendo strenuamente i loro errori. Sempre malaticcio e sofferente, resistette nella faticosa vita dei predicatori viaggianti, temendo solo che il dolore fisico lo distraesse dalla preghiera e dal suo apostolato. Dalla modalità oratorie del suo maestro Bernardino, mutuò tecniche vocali, gestuali, contenuti e struttura dei sermoni, prediligendo la trattazione di temi etici e politici e facendo ampio uso di esempi, spesso presentati in forma drammatizzata, utilizzando per lo più la lingua “volgare” del popolo. S’impegnò a diffondere la devozione al Nome di Gesù e nelle prediche insistette su alcuni obiettivi polemici ricorrenti, quali le pratiche superstiziose, il lusso, il gioco, la bestemmia e l’usura. Le sue omelie erano tuoni che svegliavano anche gli spiriti più recalcitranti, forti di riferimenti biblici ma anche di spunti della scrittura dantesca. Nessuno poteva sonnecchiare o distrarsi quando assisteva a queste prediche di formidabile efficacia, dall’andamento teatrale, ma che raggiungevano lo scopo di convertire. Signorile, sicuro e determinato, sapeva conciliare carità e fuoco del Giudizio di Dio, quale teologo e moralizzatore severo ma pietoso. La sua predicazione, oltre a suscitare apprezzamento ed entusiasmo da parte del popolo, si tradusse in riforme degli Statuti di alcune città ove teneva sermoni e nella fondazione di numerose confraternite. Dal 1423 al 1425 predicò nella vicina zona di Jesi (odierna provincia di Ancona), dov’erano presenti gruppi aderenti alla setta detta “dei Fraticelli” (ex frati francescani scomunicati che, nel XIV secolo, si erano ribellati all'autorità dei loro superiori e della Chiesa). Il successo fu talmente grande che, nel 1426, papa Martino V (dal 1417 al 1431) lo incaricò di predicare contro tale setta e ogni altro gruppo eretico anche nel resto della Penisola Italiana, affiancato dal confratello San Giovanni da Capestrano (1386-1456). Giacomo iniziò così i suoi viaggi apostolici in tutta Italia, dove, oltre a combattere con successo le eresie, predicò quaresime, illustrò concili e congressi con la sua presenza e l'autorità della sua parola. Nel 1443 fu nominato dal nuovo Pontefice Eugenio IV (dal 1431 al 1447) legato pontificio (una sorta di ambasciatore), col compito di predicare a favore della Crociata che si andava preparando contro i Turchi. Nell’agosto del 1446, dopo che il succeduto pontefice Niccolò V (dal 1447 al 1455) lo aveva nominato inquisitore d’Austria e Ungheria con ampi poteri, promosse una vasta azione antiereticale in questi due Paesi e nei Balcani, con grande frutto di conversioni. Poi, fu inviato nell’Illiria (regione corrispondente alla parte occidentale della penisola balcanica, verso la costa sud-orientale sul Mare Adriatico della Dalmazia), in Germania e in Valacchia (regione meridionale della Romania). Girò l'Europa e specialmente l'Ungheria, l'Austria e la Boemia, fondando pure dei conventi. Ovunque predicò, combatté eresie e promosse la riunione degli scismatici, sempre obbediente alla volontà dei vari pontefici, che lo “spostavano” da un posto all’altro secondo le necessità pastorali. L’appoggio del papa e dell’imperatore bizantino Costantino XI Paleologo (1405-1453), oltre al titolo di legato al XVII concilio ecumenico di Basilea in Svizzera (terminato nel 1449), non furono però sufficienti a garantirgli l’intoccabilità e la sicurezza, tanto che non solo ricevette gravi persecuzioni da una parte del clero dei luoghi ove operava, che tentò addirittura di ucciderlo più volte, ma subì anche una scomunica da parte di Simone, arcidiacono di Bacs (diocesi dell’Ungheria). Gli fu proposto di diventare vescovo dell’arcidiocesi di Milano (Lombardia), ma rifiutò l’incarico per umiltà. Tra le attività dell’ultima fase della sua vita, va ricordata la costituzione della biblioteca del convento di Santa Maria delle Grazie di Monteprandone, suo paese natale, nella quale riuscì a raccogliere circa duecento preziosi codici, costituenti una vera e propria “enciclopedia del predicatore”. Oratore ardente, si scagliò soprattutto contro i vizi dell'avarizia e dell'usura. Proprio per combattere quest'ultima piaga, Giacomo ideò i “Monti di Pietà” - ancora oggi tanto diffusi e utili - dove i poveri potevano ottenere un prestito impegnando i propri pur miseri averi o animali, non più all'esoso tasso preteso dai privati, che comunemente erano veri e propri usurai, ma a un interesse minimo, talvolta simbolico. Narrano gli agiografi che, nella città dell’Aquila (Abruzzo), dove si era recato per visitare la tomba del suo amato maestro Bernardino da Siena, colà morto e sepolto nel 1444, pregando nel nome di Gesù, ottenne sulla pubblica piazza, presente una moltitudine di popolo, decine di miracoli, tanto da dovere poi rimanere nascosto per ordine del vescovo locale, il quale temeva gli eccessi della folla entusiasta. Già di salute cagionevole, nella vecchiaia fu travagliato da molti mali e acciacchi che a volte rischiarono di portarlo alla tomba, tanto che per ben sei volte gli fu somministrata l'Estrema Unzione. Nella prova della malattia, tutto sopportò con rassegnazione e gioia per imitare Gesù anche sul Calvario, edificando sempre chi lo assisteva e curava con la sua umiltà e preghiera. Nel 1472 fu chiamato a Napoli, capitale di quello che allora era l’omonimo regno, dove, già debilitato per la vita di penitenza e colpito da coliche fortissime, morì il 28 novembre 1476. In quest’ultima malattia, sentendo ormai la morte vicina, chiese e ottenne i sacramenti e si spense col nome di Gesù sulle labbra, invocando dai presenti il perdono dei suoi peccati. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di Santa Maria la Nova a Napoli, ma, nel 2001, è stato trasferito nel natio borgo di Monteprandone (Ascoli Piceno), all’interno del Santuario Santa Maria delle Grazie e San Giacomo della Marca, da lui stesso fondato e fatto costruire nel 1449. Fu beatificato da papa Urbano VIII nel 1624, due anni dopo venne dichiarato compatrono di Napoli e, il 10 dicembre 1726, fu fatto santo dal pontefice Benedetto XIII. Auguri a chi porta questo nome e ne festeggia oggi l’onomastico.
IMMAGINE: "Beato Giacomo della Marca", tempera su tela dipinta, tra il 1512 e 1515 circa, dal pittore umbro Pietro Vannucci o Vanucci, comunemente noto come Pietro Perugino o semplicemente "Il Perugino" (1446-1452). L'opera si trova presso la Galleria Nazionale dell'Umbria nel Palazzo dei Priori di Perugia (capoluogo della regione Umbria).
Roberto Moggi
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