San Carlo Borromeo, vescovo

Oggi - 4 novembre 2024 - lunedì della XXXI settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Carlo Borromeo, vescovo. Carlo, questo il suo nome di battesimo, nacque il 2 ottobre 1538 nel castello che la propria nobile famiglia possedeva ad Arona, borgo sulla riva piemontese del Lago Maggiore di fronte alla Lombardia, allora appartenente al Ducato di Milano (oggi in provincia di Novara, regione Piemonte). Suo padre era il conte Gilberto II della potentissima casata Borromeo, vassallo del predetto Stato, per conto del quale era governatore del territorio Verbano, ove si trova Arona. Nonostante la ricchezza e il potere, il genitore era un uomo buono e magnanimo quanto solitario, che Carlo amava e rispettava moltissimo. La madre era la contessa Margherita de’ Medici di Marignano ed aveva due fratelli, uno più grande e uno più piccolo di lui. Fu educato cristianamente e ricevette un’accurata istruzione adeguata al suo lignaggio, in un ambiente che era oltretutto di alto livello culturale, manifestando fin da piccolo una grande predisposizione alla vita spirituale. Verso il 1550, quando aveva solo dodici anni, com’era frequente all’epoca per i nobili, l’influente famiglia ottenne la sua investitura alla dignità di abate con la relativa rendita di un'abbazia, che però fu da lui devoluta interamente in carità verso i poveri. Più tardi si trasferì a Pavia, seconda capitale del Ducato, per studiarvi diritto canonico nella famosa università, ove fu studente brillante. Nel 1554, alla morte del padre, su richiesta dei parenti dovette assumere il controllo degli impegnativi affari di famiglia, riuscendo comunque, in seguito, a riprendere gli studi e a laurearsi nel 1559. Nel 1560, a Pavia, mentre trascorreva la giovinezza mondanamente, sedotto dai piaceri della vita, pur non disdegnando l’impegno attivo nella carità, lo raggiunse la notizia dell’elezione al Soglio Pontificio dello zio materno cardinale Giovanni Luigi Angelo de' Medici, che assunse il nome di Pio IV (dal 1560 al 1565). Quest’ultimo non si scordò di lui e, lo stesso anno, lo fece venire a Roma presso la Curia, Qui, essendo egli notevolmente colto, intelligente e brillante, lo nominò cardinale e suo segretario personale. Nella capitale della cristianità non smise, comunque, di occuparsi dei poveri più disagiati e sofferenti e, il 20 aprile 1562, fondò una “accademia” secondo l'uso del tempo, detta “delle Notti Vaticane” per la consuetudine di tenere, in quella zona, quattro riunioni settimanali a tarda ora, nell’intento di non sottrarre tempo alle occupazioni ordinarie degli accademici, che ebbe regolare seguito fino al 14 settembre 1565. Nel 1562, con la prematura morte del fratello maggiore Federico, cominciò seriamente a riflettere sulla vanità delle cose umane. Così, divenuto docile alla voce di Dio, cambiò completamente vita, dandosi a un’esistenza austera, di penitenza e alla sequela di Cristo, fortificandosi nella fede. Intanto, come segretario del Pontefice, fu inviato a Trento, ove lavorò con zelo indefesso per l’omonimo Concilio, portato a conclusione il 4 dicembre 1563 e poi per la pratica attuazione dei relativi decreti. Lo stesso anno fu consacrato vescovo e assegnato alla Cattedra di Milano, ma solo nel 1565, morto lo zio Pontefice, poté lasciare Roma per stabilirsi nella sua sede arcivescovile, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere, ridotta in tale pessimo stato pastorale e spirituale da scoraggiare qualsiasi tentativo di cambiamento. Tuttavia Carlo non indietreggiò di fronte ai problemi. Con prudenza e con fortezza al tempo stesso, si diede ad attuare una grande riforma. Preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli, pubblicò celermente i decreti del Concilio di Trento, ai quali ottemperò egli per primo. Fondò seminari, edificò ospedali, ospizi e istituì la Congregazione degli Oblati, sempre utilizzando ogni ricchezza di famiglia in favore dei poveri. Per quanto concerne il governo della sua Chiesa, impose ordine all'interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali, eliminò dalla curia ogni sfarzo, ricchezza e lusso eccessivo, facendo vendere quanto era superfluo e dandone il ricavato ai mendicanti. Fu un'opera vastissima, resa possibile dalla Divina Provvidenza, che gli creò molti nemici, facendolo anche diventare obiettivo di un fallito attentato per togliergli la vita. Infiammato dall’amore di Dio e forte del suo zelo apostolico, percorse più volte la sua vasta arcidiocesi con proficue visite pastorali. Per non parlare dei suoi innumerevoli viaggi a Roma, in Piemonte, a Trento, nella Svizzera e dovunque vi fosse del bene da compiere. Visitava, inoltre, i più celebri santuari che incontrava sul suo cammino, lasciando ovunque segni di grande pietà. Successivamente, la sua grande carità e il suo zelo apostolico ebbero modo di mostrarsi durante la terribile pestilenza che colpì il territorio milanese nel biennio 1576-1577, da allora chiamata volgarmente proprio “Peste di San Carlo”. Durante l’epidemia, infatti, mentre il Governatore spagnolo del Ducato di Milano, i nobili ed i notabili lasciavano la città per luoghi più salubri e più sicuri, egli, allora a Lodi, rientrò subito nel capoluogo lombardo e, da quel momento, con l'autorità della sua carica, si prodigò con ogni mezzo per portare soccorso agli ammalati ed alla popolazione stremata, divenendo "unico refrigerio" di una Milano appestata. Organizzò capillarmente e funzionalmente l'assistenza agli appestati, il soccorso ai poveri e l'aiuto ai moribondi. Dappertutto era il primo, ovunque dava l'esempio. Per invocare l'aiuto divino, prescrisse preghiere, digiuni e indisse processioni di penitenza, alle quali partecipò a piedi scalzi. Alla peste, che decimò la popolazione, seguì la più grave miseria e il santo prelato, dopo aver dilapidato in elemosine e opere di carità quanto possedeva, vendette i mobili dell'arcivescovado, contraendo anche forti debiti. Stanco e indebolito dalla sua opera infaticabile, morì a Milano a soli quarantasei anni, consumato dalla malattia, il 3 novembre 1584. Il suo corpo fu deposto nella cripta del duomo di Milano, mentre il suo cuore venne simbolicamente conservato nella basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso a Roma, dietro l'altare maggiore. In seguito, nel 1606, i suoi resti sono stati spostati all’interno del cosiddetto “Scurolo” (cioè spazio poco illuminato) detto appunto “di San Carlo”, sotto l'altare maggiore del medesimo duomo del capoluogo lombardo. Fu proclamato beato nel 1602 e canonizzato il 1º novembre 1610 dal papa Paolo V.
IMMAGINE: "San Carlo Borromeo", olio su tela dipinto, nel 1610 circa, dal pittore e incisore romano Orazio Borgianni (1574-1616). L'opera si trova attualmente presso il Museo Nazionale Hermitage di San Pietroburgo (Federazione Russa).
Roberto Moggi
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