Chi cagna paese cagna furtuna

Chi cambia paese cambia fortuna.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Il proverbio che ci è mostrato oggi, presenta proprio la situazione attuale, in un tempo in cui l'emigrazione di appartenenti a popoli diversi è voce ricorrente nelle cronache.
Con gli incentivi diversi che fomentano il fenomeno, rappresentati da guerre e povertà, che spingono innumerevoli persone a lasciare, spesso con rimpianto, gli amati luoghi nei quali hanno vissuto la prima giovinezza.
Cambiando nazione, cambia anche la fortuna, dice il proverbio, ma chi la cerca, ne è del tutto privo quasi sempre, come non sempre riesce poi a trovarla e i primo risultato di tale fallimento, per molti, è rappresentato dal mare dove restano dispersi. Una fortuna, per tanti, per nulla trovata nel luogo in cui si arriva, diventando una manna per gli sfruttatori.
Un fenomeno, quello dell'emigrazione di gente disperata, che molti scrittori hanno assunto come tema dei racconti che hanno scritto e, fra i vari testi, ne ricordiamo uno che ha un titolo di per sè emblematico:
"Ama il prossimo tuo", di Erich Maria Remarque.
Uno scenario che riporta agli anni trenta, in cui si mischiano sentimenti di umanità, di crudeltà, di resistenza, di gioia, di amicizia e anche di amore, sotto la persecuzione del potere.
Nell'epoca attuale, la spinta che induce a fuggire dai luoghi natii, nasce in seguito a conflitti e carestie, mentre quella dei tempi in cui il romanzo è ambientato, era rappresentata dal nazismo.
È la Germania del 1935: ebrei e comunisti non sono più cittadini e quindi espulsi e condannati a vagare senza patria, senza pane e senza tetto.
Uno scenario reso ancor più terrificante dai paesi nei quali i disperati vorrebbero cercare la salvezza, ma Cecoslovacchia, Austria alla vigila dell'Anschluss, Svizzera, Francia, e non parliamo dell'Italia, che sarebbe la più pericolosa, ottusi come ogni sistema astratto, non sai se più feroci o più stupidi, li sbattono da una frontiera all'altra, anche se non proprio come oggi vengono brutalmente respinti gli immigranti.
Uno dei tanti romanzi sugli emigrati, gli immigrati, i profughi, mai accettati, sempre ricercati, sempre impauriti da ogni uniforme. Senza un popolo di cui sentirsi parte, senza diritti, senza protezione, praticamente senza nome, perché nel loro caso, la legge esiste soltanto per disconoscerli.
Alcuni luoghi del nostro cosiddetto "Bel Paese", che ben tutt'altro rappresentò per tanti, dal Veneto, alle Marche, al Meridione, si sono prestati a una emigrazione che ha spopolato tanti di quei paesi, dove sono restati a vivere gli anziani e le donne divise dai mariti emigrati in cerca di fortuna. Un fenomeno evindenziato a cavallo tra fine ottocento e primo novecento.
Visto poi l'idioma del proverbio, ben s'adegua al tema una canzone, che ascoltarla, fa venire le lacrime agli occhi di tanti napoletani e non soltanto loro, che vivono nelle nazioni più svariate, dall'Europa, alle Americhe e all'Australia:
Santa Lucia luntana è dedicata ai tantissimi emigranti partenopei che partivano dal porto di Napoli alla volta di terre lontane (quasi sempre alla volta delle Americhe); le parole del brano sono appunto ispirate ai sentimenti che questi provavano allontanandosi dalla terraferma, fissando il pittoresco panorama del borgo di Santa Lucia, ultimo scorcio della loro terra che riuscivano a vedere, sempre più piccolo, all'orizzonte.
Partene i bastimènde pe tèrre assaje lundane...
Candene à buorde:
so' Napulitane!
Candene pe tramènde
o golfe già scumbare,
e a luna, à miéze 'o mare,
nu poke 'e Napule
le fa vedé.
Santa Lucia!
Lundane 'a té,
quanda malingunìa!
Se gira o munne sane,
se va à cercà furtuna...
ma, quanne sponda a luna,
lundane 'a Napule
nun se po stà!
Una canzone che commuove, non solo chi è lontano dal tanto amato luogo in cui è nato, ma anche chi è restato.
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