Oggi - 17 ottobre 2024 - giovedì della XXVIII settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di Sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire. Di Ignatios o Ignatius (Ignazio) - questo il suo nome rispettivamente in greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e in latino - si conosce pochissimo prima della sua ordinazione episcopale. Si ritiene sia nato attorno al 35 dopo Cristo, forse nella metropoli multietnica di Antiochia di Siria, terza per grandezza dell’Impero Romano, sita nella provincia romana di Siria, nei pressi della foce del fiume Oronte sul mare Mediterraneo (oggi Antakya, nella parte più meridionale della Turchia asiatica, presso il confine con la Siria). La sua famiglia d'origine era di etnia sira ma di cultura ellenista, priva della cittadinanza romana e di religione pagana. Nella sua città si convertì al cristianesimo da adulto, grazie alla predicazione dell’apostolo San Giovanni, di cui divenne il discepolo prediletto, a tal punto da essere soprannominato “Teoforo” (che in greco antico significa “Portatore di Dio” o “Colui che porta Dio”) e “Illuminatore”. Secondo la tradizione comunemente accettata, nel 69 o nel 70 fu eletto vescovo di Antiochia, divenendo il secondo successore nell’episcopato dell’apostolo Pietro, che aveva instaurato la diocesi. Di quest’ultimo, Ignazio seguì degnamente le orme, diventando un pilastro di quella primitiva Chiesa locale, così come la città stessa lo era culturalmente del mondo antico. Da vescovo si distinse per le sue rare doti umane e pastorali. Fu pieno di Spirito Santo, a tal punto che la sua parola era accolta dai fedeli quale oracolo del Cielo. Zelantissimo pastore e padre di anime, ebbe molto da combattere, nella sua opera di evangelizzazione, contro l’ostilità di molti ebrei e il furore anticristiano della maggior parte dei pagani. Ciò nonostante, col digiuno, la preghiera, l’esempio luminoso e la salda dottrina, riuscì a dissipare le tenebre dell'errore e dell'eresia. Anelava a donarsi completamente al Signore, anche col martirio se necessario, mentre la sua opera di evangelizzazione era inarrestabile. Intanto erano riperse le persecuzioni contro i seguaci di Gesù e, verso il 107, fu arrestato quale “capo dei cristiani”, proprio nel periodo in cui si trovava in visita in Siria il regnante imperatore Traiano (dal 98 al 117). La vessazione, attuata anche attraverso l’ignobile istituto della delazione anonima, privò innanzitutto la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più brillanti di fama e santità, i quali seppero fino all’ultimo mantenersi fedeli al Signore. Secondo la tradizione, Traiano stesso, già bene informato sulla fiorente Chiesa di Antiochia e della provincia di Siria, durante la sua visita, avrebbe deciso di condannare a morte il vescovo Ignazio e altri cristiani a lui più vicini, almeno che non avessero abiurato la fede e sacrificato agli dei pagani. Egli, pertanto, fece condurre Ignazio alla sua presenza e lo interrogò personalmente, tentando inizialmente, con lusinghe e minacce, di convincerlo all’abiura. Dovette ben presto costatare, però, come la fede del pastore fosse forte e ben radicata, ricevendo da lui la risposta chiara che mai avrebbe tradito Gesù e abbandonato il gregge a lui affidato. Impotente a vincerlo, l’imperatore dispose, dato l’alto rango gerarchico di Ignazio, che fosse incatenato e tradotto a Roma - dove si stavano allestendo feste in suo onore, quale Imperatore vittorioso nella guerra in Dacia (corrispondente pressappoco all’odierna Romania) - per essere dato in pasto alle fiere nell’arena. Forte nella fede, Ignazio non si scompose, ringraziò il tiranno e, incatenato come l’ultimo dei criminali, partì per Roma via terra, scortato da legionari che lo tormentavano in ogni modo. Durante il lungo e penoso viaggio che lo avrebbe condotto allo straziante martirio, attraversando varie città dell’Asia e della Grecia, pur incatenato come un criminale, riuscì sempre ad edificare le relative comunità cristiane, i cui membri lo avvicinavano per quanto fosse loro possibile. Lungo il percorso, conscio della propria imminente fine terrena, mentre Roma era sempre più vicina, scrisse sette lettere pastorali alle varie comunità cristiane incontrate sul suo cammino, considerate dagli agiografi non inferiori a quelle di San Paolo Apostolo, ardenti di misticismo come le altre sono sfolgoranti di carità. Queste missive esprimono calde parole d'amore a Cristo e alla Chiesa. In esse, appare per la prima volta l'espressione “cattolica", riferita alla Chiesa, un neologismo creato da lui. Il termine “cattolico” deriva dal greco e significa “che si riferisce alla totalità”, “generale”, “universale”, proprio come Cristo ha voluto che fosse la Chiesa, dicendo: “… Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura …” (cfr. Mc 16, 15). Pertanto, la frase di Ignazio in cui appare il termine “cattolica”, mostra chiaramente il legame tra la natura della Chiesa e la missione che Cristo le ha affidato. Dov’è Gesù Cristo, lì c’è la Chiesa cattolica. È questo il significato profondo della Chiesa cattolica: essere la presenza universale di Gesù. Le lettere di Ignazio sono una finestra aperta per conoscere le condizioni e la vita della Chiesa del suo tempo. In esse, ormai vicino alla morte, incitava tutti a rimanere saldi nella fede e umilmente soggetti ai propri Pastori, raccomandando anche di fuggire il peccato e di mantenere l'unità della Chiesa. Raccomandò anche di guardarsi dall’errore dello Gnosticismo, l’eresia di origine orientale e “sincretistica” (nata dalla fusione o mutuazione di elementi fra religioni diverse), poi diventata un’eresia cristiana, che negava la creazione, l’incarnazione e la salvezza come opera della grazia che purifica la natura. Scrisse, infine, avvicinandosi l’ora della sua fine, una lettera alla comunità cristiana di Roma, chiedendo apertamente di non intervenire in suo favore per tentare di salvarlo dalla morte, dato che egli null'altro bramava che il martirio per il Signore Gesù. Giunse a Roma nello stesso anno 107 e, dopo poco, venne condotto nell'anfiteatro unitamente ad altri cristiani, dove fu sbranato vivo da feroci ed affamate fiere. I suoi miseri e martoriati resti furono raccolti da alcuni fedeli e riportate ad Antiochia. Successivamente, a seguito dell'invasione islamica della Siria (tra il 634 ed il 638 circa), le reliquie furono ricondotte a Roma e lì sepolte nel 637 presso la basilica di San Clemente al Laterano, dove tuttora riposano.
Immagine: "Martirio di Sant'Ignazio di Antiochia", olio su tela dipinto, nel 1650 circa, dal pittore pugliese Cesare Fracanzano (1605-1651). L'opera si trova presso la Galleria Borghese di Roma.
Home page ARGOMENTI
Commenti
Posta un commento
Non inserire link cliccabili altrimenti il commento verrà eliminato. Metti la spunta a Inviami notifiche per essere avvertito via email di nuovi commenti al post.