’Ncopp’ ô cuotto, acqua vulluta.

Quando ad un danno se ne aggiunge un altro peggiore.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Il proverbio rammenta il fenomeno di quando le disgrazie, che provocano danni, non vengono mai sole, sottolineando una triste realtà secondo la quale, quando si entra in una spirale negativa, è difficile venirne fuori, per cui i problemi sembrano sommarsi, un concetto che si adatta al detto antico: “nulla calamitas sola”.
Leggiamo, nel web, come un danno possa essere la conseguenza di un'azione o di un evento, che causa la riduzione quantitativa o funzionale di un bene, un valore, un attrezzo, una macchina, un immobile o qualsiasi altra cosa abbia un valore economico, affettivo, morale.
Ma ci sono danni che poco hanno a che fare con oggetti materiali, riguardo alle infermità alle quali si può essere soggetti nella vita e che, nella tarda età, arrivano a sommarsi, tanto da poter dire che un altro malanno che si aggiunge, diventa la goccia che fa traboccare il vaso, per i danni irreversibili che può provocare.
E varia è quindi la visuale nella quale può apparire un danno, che sia per la salute, oppure morale o esistenziale, riguardo all'onore e alla riservatezza, quando non sia un danno patrimoniale, che faccia ridurre rovinosamente le possibilità economiche alle quali si era abituati.
Leggiamo in Arthur Bloch, Leggi di Murphy:
"Se esiste anche una sola possibilità che un numero di cose vada male, ad andare male è sicuramente quella destinata a provocare il danno maggiore."
C'è chi riesce a consolarsi dei danni che subisce, rammentando come il peggio non sia mai morto, ma come leggiamo in uno scritto di Camilo José Cela, non è detto che non sia in agguato:
"Alla disgrazia uno non si può abituare, mi creda, perché sempre abbiamo l’illusione che quella che stiamo sopportando debba essere l’ultima, sebbene in seguito, con l’andare del tempo, incominciamo a persuaderci – e con quanta tristezza! – che il peggio deve ancora venire."
Riguardo all'allocuzione attribuita ad Aristotele:
"La bellezza dell’anima risplende quando un uomo sopporta con atteggiamento serio una pesante sventura dopo l’altra, non perché egli non le sente, ma perché egli è un uomo di tempra elevata ed eroica."
Si dimostra molto più accomodante Esopo, nell'asserire:
"È meglio diventare saggi per le disgrazie degli altri che per le tue proprie."
Mentre riguardo all'empatia che si può provare verso il prossimo, come sentimento profondo e non superficiale, si mostra rilevante il concetto espresso da Fabrizio Caramagna:
“Mettersi nei panni negli altri” è una espressione che non mi piace. Si resta comunque in superficie. Preferisco “mettersi nei danni degli altri”.
Un sentimento che difficilmente prova chi preferisce ignorare le disgrazie altrui e fa di tutto per evitare chi vi versa.
Pensiamo ai disastri odierni provocati dal clima e dall'incuria, per chi ne subisce il danno con le possibilità economiche di potervi fare fronte, mentre per chi già versava nei danni provocati dalle disagiate condizioni, i danni si sono accavallati e il risolverli diventa impresa ardua, se non del tutto impossibile.
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