Ll’acqua arruína ’e ponte e ’o vino ’a capa

Come l‘acqua danneggia i ponti con l’erosione, il vino danneggia la mente degli uomini.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Riguardo a quello che il proverbio enuncia, il liquido di base è sempre l'acqua, che nella sua pura essenza, è famosa per come ha la meglio anche sulla pietra, che ci ricorda, come detto antico: "gutta cavat lapidem, non vi sed saepe cadendo", per come ha la meglio su qualsiasi roccia, non per la sua forza, ma per la costanza dello stillicidio della goccia. Ma quando fa da base alla spremuta fermentata del frutto caro a Bacco, i suoi effetti sono molto più veloci e deleteri, per chi non si attiene a sobrie libagioni e ne fa un uso irresponsabile e smodato, con un'ebbrezza che gli offusca l'intelletto, a discapito di un normale ed equilibrato raziocinio umano.
L'alcol prodotto dalla fermentazione della bevanda usuale in paesi a clima temperato come il nostro, produce l'effetto che ha dato luogo all'antico detto latino: "In vino veritas", per come rende a una persona alticcia i freni inibitori rilassati e può facilmente rivelare fatti e pensieri veritieri che da sobrio non direbbe mai.
E non solo poi, perché mostra il vero carattere della persona, che riesce a celare quando è sobria, assumendo una veste fittizia, che è del tutto cancellata dall'ebbrezza, tanto da far capire, a chi la osserva, se è una persona affidabile, o il contrario e un concetto a tal riguardo, l'ha ben espresso Charles Baudelaire:
"Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere."
Così da poter dire che un astemio i suoi segreti li tiene in cassaforte.
L'allegria mostrata in seguito a eccessive libagioni, purché non sia smodata, mette in luce la piacevolezza che caratterizza la persona, come al contrario può far scoprire un carattere che va dal tragico, al malevolo, o al violento, non più celati dai freni inibitori.
Una delle prime sbronze che ci viene riportata dalla storia, fu quella di Noè, che pur essendo prediletto dal Signore, evidentemente, non si tratteneva dall'alzare il gomito, indulgendo in libagioni dilettevoli, anche se si tramanda che, neofita nella coltivazione di un vigneto, non era ancora tanto pratico della bevanda ottenuta con le viti.
Pensiamo agli scenari in cui è protagonista il vino, da cantine, o enoteche rinomate, in cui esperti sommelier, armati di decanter e tastevin, dispensano pregiate vinicole bevande a celebri e sofisticati degustatori, in convegni riportati dalle cronache mondane, di contro a bettole e osterie, dove specialmente un tempo, la bevanda spesso adulterata era l'unica droga concessa al popolino, con la violenza che spesso produceva l'ubriachezza, nel rendere tragiche tante disgraziate convivenze famigliari, un fenomeno che ho rilevato di persona come in alcuni casi continui a essere tragicamente attuale.
A specifica del nome sommelier, esso deriva dal francese saumalier, che identificava i conducenti di bestie da soma, prima che il significato assurgesse a tenutario di viveri e cantine e si perfezionasse nella veste attuale.
Se da una parte il vino, sia tanto decantato che osteggiato, abbia fatto nascere, con l'aiuto di componenti ancor più alcolici, leghe antialcoliche e associazioni di alcolisti anonimi, dall'altra, c'è da dire che se non avesse avuto l'importanza che gli è attribuita, Gesù Cristo non gli avrebbe dedicato il suo primo miracolo!
E rincara, riguardo al nettare di Bacco, il già citato Charles Baudelaire:
"Oh gioie profonde del vino, chi non vi ha conosciute? Chiunque abbia avuto un rimorso da placare, un ricordo da evocare, un dolore da annegare, o abbia fatto castelli in aria, tutti hanno finito per invocarti, o dio misterioso celato nelle fibre della vite."
Il vino che si presta a celebrar incontri e a rallegrar convivi, con chi gli chiede il dono almeno temporaneo dell'oblio delle tristi vicissitudini in cui versa e chi, nel congedarsi, si concede il decantato bicchiere della staffa, espressione che si vuole nata nell'Ottocento, quando i signori che che uscivano dalle locande, nelle quali si erano intrattenuti in cameratesche vinicole degustazioni, bevevano l'ultimo bicchiere quando già avevano un piede nella staffa, pronti per montare a cavallo, sempre che riuscissero a ricordare qual'era il cavallo e come montargli in sella, al vino dicevamo, ben si addice quanto scrisse in merito il poeta tardo-romantico Friedrich Rückert:
"A ben riflettere, si può bere il vino per cinque motivi: primo per far festa, poi per colmare la sete, poi per evitare di avere sete dopo, poi per fare onore al buon vino e, infine, per ogni motivo."
Perché se non c'è alcun motivo di bere del vino, basta inventarlo, e dopo qualche bicchiere, l'invenzione diventa una più che certa e incontrastata convinzione.

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