Ci saranno sempre le diversità sociali.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Ci
è presentata la constatazione, da parte del proverbio, della situazione
che caratterizza qualsiasi società umana, con i diversi ruoli assegnati
ai partecipanti dal destino, oppure conseguiti nei modi più svariati.
Dalla notte dei tempi, le comunità umane,
da quelle estese, come l'egizia, alle polis greche, sono state
caratterizzate dalla diversità delle classi che formavano le società e
spesso in conflitto tra di loro, in una stabilità, se non minata
dall'interno, dovuta a guerre e invasioni.
In
Grecia intorno all'VIII secolo a.C. (700 a.C.) nascono molti piccoli
stati autonomi, chiamati poleis, quando comunità costituite da gruppi
famigliari, o da villaggi, si uniscono per difendersi dai nemici,
migliorare l'economia e amministrare la giustizia, e il popolo che vi si
formava, si riuniva alla pari nell'agorà, il luogo destinato ai
convegni.
Una parità che
non ci mette molto a trasformarsi in oligarchia, ovvero la
concentrazione del potere effettivo nelle mani di una minoranza, mentre,
nel 594 a.C., l'arconte Solone attua una riforma che divide la società
in quattro classi in base alla ricchezza: i grandi proprietari terrieri
aristocratici, i cavalieri, gli zeugiti (artigiani e contadini ricchi) e
i teti, i più poveri, una situazione che dimostra come l'evolversi di
una qualsiasi società, porta col tempo a una diversificazione e a una
diseguaglianza tra i componenti della stessa.
Se,
nell'evolversi dei successivi eventi, Atene piange la democrazia dei
primi tempi, Sparta fa di peggio, dividendo gli stanziali in spartani,
unici aventi diritto a governare, nei perieci, il gruppo autonomo di
persone libere, che non avevano alcun diritto, come cittadini, e quelli
messi peggio, rappresentati dagli iloti, i nativi del luogo che erano
stati sottomessi dai dori provenienti dall'Argolide, e trattati
letteralmente peggio degli schiavi, al punto da poter essere uccisi,
senza che ciò comportasse dei problemi.
Una
situazione che ci ricorda la sottomissione dei nativi americani agli
europei, con le stragi che ne derivarono, e quella dei nativi del Sud
Africa che furono sottomessi prima dagli Olandesi e successivamente
dagli Inglesi, dando luogo all'apartheid, la segregazione razziale
istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca del Sudafrica e rimasta
in vigore fino al 1991.
Roma
venne fondata nel 753 avanti Cristo, con una parità, tra i
partecipanti, che si dimostra diversa 259 anni dopo, nella
contrapposizione tra patrizi e plebei, con i secondi che si ribellarono,
abbandonando Roma e occupando il Monte Sacro per ottenere la
parificazione dei diritti con i patrizi, un'azione che passò alla storia
come "secessio plebis"
Con
un deus ex machina, in quel caso, rappresentato da Menenio Agrippa che,
con una metafora divenuta famosa come apologo, paragonò l'ordinamento
sociale al corpo umano, così che se le braccia (il popolo) si
rifiutassero di lavorare, lo stomaco (il senato) non riceverebbe cibo
ma, in tal caso, ben presto tutto il corpo, braccia comprese,
deperirebbe per mancanza di nutrimento.
La
storia che ci tramanda Tito Livio nel secondo libro degli "Ab Urbe
condita libri", vuole che i plebei ne furono convinti, facendo ritorno
alle loro occupazioni e scongiurando così la prima grande rottura fra
patrizi e plebei.
Ma
quello che in seguito influì su tale assetto, fu l'istituzione dei
tribuni della plebe e degli edili, col diritto di costituire una propria
assemblea, il concilium plebis, che eleggeva i tribuni e gli edili
plebei. Le delibere dei concilia plebis (plebisciti) avrebbero avuto
valore di legge per i plebei. Sia i tribuni che gli edili della plebe
erano inviolabili.
Tanto per dire che l'apologo sarà stato anche convincente, ma molto di più lo furono i diritti acquisiti dai plebei.
Per
quello che ricordo, col rammarico di non essere riuscito ancora a
rintracciarne il testo, ci fu un sovrano, nell'Est dell'Europa, che
realizzò come la realtà del paese fosse piuttosto deprimente, non
esistendo tra nobiltà e servi della gleba, una classe intermedia formata
da artigiani e commercianti, così che qualsiasi manufatto lo si poteva
reperire solo all'estero.
Di
conseguenza, incoraggiò l'immigrazione degli ebrei, per la varietà dei
mestieri esercitati, da fabbri, a sarti, a commercianti ed altro, che
favorirono la nascita di una borghesia nella quale, specialmente i primi
tempi, gli ebrei facevano la parte del leone e che, insediata tra la
nobiltà e il popolino, fece sentire i rappresentanti del secondo ancora
più allontanati dai quei pur pochi favori che potevano ricevere dalla
nobiltà, facendo sorgere un astio verso gli ebrei, che si è sommato ai
tanti pregiudizi provocati dalle organizzazioni giudaiche, spesso più
evolute degli ambienti nei quali si trovavano, dando origine ai pogrom,
come furono definite le sommosse sanguinose contro gli Ebrei,
considerati capri espiatori del malcontento popolare.
La
metafora presentata dal proverbio, con i diversi ruoli svolti in una
messa, ci rammenta come qualsiasi comunità che sorga nel modo più
paritario, tra i partecipanti, già si trasformi per i loro caratteri
diversi, dai leader ai gregari, agli autonomi, a quelli che si
astengono, alle fazioni che si formano, a quelli che si attengono alle
regole prodotte dal vivere in una società, rispetto a quelli che
trasgrediscono le norme istituite.
Concorrono
poi le diverse occupazioni svolte, tra la gestione del potere e la
produzione di beni e di servizi, che si differenzia per l'importanza
della loro utilità, a diversificare ancora di più lo status dei
partecipanti, in una trasformazione da gruppi, resi omogenei dalle
attività, in vere e proprie classi, delle quali alcune assumono un ruolo
più preponderante nella gestione della società, rispetto ad altre, che
possono essere costrette a una vera e propria sudditanza, per il regime
oligarchico esercitato dalle prime e che continua a essere presentato
come una democrazia.
Per
avere un'idea di come un gruppo improvvisato di persone, causato da
fortuite circostanze esterne, sia costretto a organizzarsi per
sopravvivere, con la diversità dei ruoli assunti in seguito ai caratteri
e alle capacità, un'opinione ce la possiamo fare leggendo il libro "Il
signore delle mosche", del premio nobel William Golding, con la morale
presentata tra il bene di una cooperazione costruttiva e il male della
coercizione esercitata da pochi verso gli altri, che mette in luce come
possa essere la seconda soluzione a prendere il sopravvento, per come il
male è connaturato alla natura e alla personalità dell'essere umano,
che al tempo stesso teme ed è affascinato dal suo lato violento e
animalesco.
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