Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni

Oggi - 20 settembre 2024 - venerdì della XXIV settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria dei Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni, martiri, noti anche come “Martiri coreani”. Andrea e Paolo, questi i rispettivi nomi assunti nel battesimo cattolico, si ricordano congiuntamente ai loro compagni, per un totale di centotre martiri dell’allora Regno di Corea, nell’omonima penisola asiatica (oggi divisa nelle due repubbliche indipendenti della Corea del Nord e del Sud). Si tratta di religiosi e laici che testimoniarono coraggiosamente la fede in Gesù fino all’effusione del sangue, nelle persecuzioni anticristiane avvenute in quel Paese tra il XVIII e il XIX secolo. Questi santi martiri sorsero dal popolo coreano in quel lungo periodo di vessazioni, ma particolarmente nelle persecuzioni degli anni 1839, 1846, 1866 e 1867. Fra essi si segnalano i due capilista del gruppo, Andrea Kim Taegon (o Tae-gon), primo sacerdote originario di quella nazione e ardente pastore di anime, con l'insigne apostolo laico Paolo Chong Hasang (o Ha-sang). Tutti gli altri, fra cui si distinguono ben tre vescovi e otto sacerdoti, unitamente alla grande maggioranza di laici - uomini e donne, sposati e celibi, vecchi, giovani e bambini - associati nel martirio, sigillarono con il sangue la meravigliosa primavera della Chiesa coreana. Quest’ultima, ha la caratteristica, forse unica, di essere stata fondata e sostenuta proprio da laici, nell’assoluta mancanza di ministri consacrati. Invero, agli inizi del 1600 la fede cristiana comparve in quella penisola grazie ai funzionari delle delegazioni coreane che ogni anno visitavano Pechino, capitale della confinante Cina, che, al loro ritorno in patria, diffondevano il messaggio di Cristo che vi avevano appreso. Essi portarono nel loro Paese anche una copia del libro “La vera dottrina di Dio”, verosimilmente tradotta in cinese o coreano, del grande missionario gesuita italiano e Servo di Dio padre Matteo Ricci (1552-1610). Accadde così che Lee Byeok, laico coreano, uomo di cultura e grande pensatore, dopo averlo letto ne trasse ispirazione e fondò una prima comunità cristiana molto attiva, senza la presenza di pastori consacrati e guidata da laici. Intorno al 1780, Lee Byeok invitò il suo amico Lee-sunghoon, che faceva parte della solita delegazione culturale in partenza per la Cina ed era un innamorato di Gesù, a farsi battezzare (giacché a Pechino si trovavano già dei sacerdoti) e, al ritorno, a portare con sé libri e scritti religiosi adatti ad approfondire la nuova fede. Nella primavera del 1784, finalmente l’amico tornò a casa, battezzato, con il nuovo nome cristiano di Pietro, sufficientemente catechizzato e con tanti libri e pubblicazioni cattoliche, dando all’ancora piccola comunità cristiana coreana un forte impulso. Tuttavia, non conoscendo bene la struttura della Chiesa, in assoluta buona fede, il gruppo si organizzò con una gerarchia propria, impartendo anche i sacramenti del battesimo, della cresima e dell’eucaristia. Vennero, però, presto informati, dal vescovo di Pechino, che, per avere una gerarchia ecclesiale e somministrare i sacramenti, occorreva una “successione apostolica”. Preso atto, lo pregarono pertanto d’inviare loro, al più presto, dei sacerdoti. Furono accontentati con l’invio del prete Chu-mun-mo, talmente solerte e alla sequela di Cristo che la comunità coreana crebbe in poco tempo, giungendo a contare varie migliaia di fedeli. Purtroppo, fin dal 1785 anche in Corea si scatenò la persecuzione contro i seguaci di Gesù, che incrudeliva sempre più, finché nel 1801 anche quell’unico prete fu ucciso, senza che si riuscisse, però, a bloccare la crescita della comunità cristiana. Il Re della Corea nel 1802 emanò un editto di stato, in cui si ordinava addirittura lo sterminio dei cristiani. Rimasti soli e senza guida spirituale, i cristiani coreani chiedevano continuamente, di nascosto, al vescovo di Pechino e anche al papa tramite rapporti epistolari, di avere dei sacerdoti, ma le condizioni locali lo permisero solo nel 1837, quando furono inviati in Corea un vescovo e due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi (Francia), i quali penetrarono clandestinamente nel Paese alimentando e consolidando la fede con la predicazione dei missionari e la celebrazione dei sacramenti, ma furono martirizzati due anni dopo, nel 1839. Un secondo tentativo, organizzato verso il 1844-1845 da Andrea Kim Taegon, probabilmente all’epoca ancora diacono, andò a buon fine, riuscendo a fare entrare occultamente nella nazione il vescovo francese Ferréol e un sacerdote, così che, da quel momento, la presenza di una gerarchia cattolica in Corea non mancò più, sopravvivendo nel 1866 alla persecuzione più accanita, fino ad arrivare al 1882, quando, infine, il nuovo governo decretò la libertà religiosa. Nelle varie persecuzioni del paese asiatico si ebbero complessivamente, secondo fonti locali, più di 10.000 martiri, dei quali per lo più i nomi sono noti solo a Dio. Tra questi, gli odierni centotre. Dei due capilista di questo gruppo, Andrea Kim Taegon e Paolo Chong Hasang, non si conosce molto. Andrea nacque a Solmoi in Corea (oggi Corea del Sud) il 21 agosto 1821, da una nobilissima famiglia già cristiana. Crebbe in un ambiente notevolmente ispirato ai principi evangelici, tanto che il padre, Ignazio, aveva trasformato la sua casa in una “chiesa domestica”, ove affluivano i cristiani e i neofiti della nuova fede per ricevere il battesimo, noncurante dei rischi delle persecuzioni, fino a che, scoperto, difese con forza la sua fede, morendo martire a quarantaquattro anni. Andrea aveva quindici anni quando, uno dei primi missionari francesi arrivati in Corea nel 1836, dopo averlo istruito e averne costatata la vocazione, lo inviò a Macao, colonia portoghese sulle coste della Cina (oggi parte della stessa nazione) per prepararsi al sacerdozio. Ritornò come diacono nel 1844, per organizzare l’entrata clandestina nel Paese del vescovo Ferréol, che, organizzando un’imbarcazione con marinai tutti cristiani, andò a prendere nella città portuale di Shanghai, in Cina. In quest’ultimo centro fu ordinato sacerdote e insieme al vescovo, di nascosto e con un viaggio avventuroso, penetrarono in Corea, dove lavorarono insieme alla diffusione del Vangelo, sempre in un clima di persecuzione. Con la nobiltà del suo atteggiamento, la carità e l’umiltà, agevolate dalla capacità di comprendere la mentalità locale e dalla padronanza della lingua, riuscì ad ottenere ottimi risultati d’apostolato. Nel 1846 il vescovo Ferréol lo incaricò di inviare delle lettere in Europa, tramite il suo omologo di Pechino, ma, durante il suo incontro in Cina con i cristiani locali giunti su alcune barche per ritirare le missive, fu scoperto, arrestato e ricondotto in patria in catene. Subì numerosi spostamenti di carcere e violenti interrogatori, prima con il governatore locale e poi, giacché era un nobile, con lo stesso sovrano. A tutti manifestò la fedeltà a Dio, rifiutando i tentativi di farlo apostatare, nonostante le atroci torture. Alla fine fu decapitato il 16 settembre 1846 a Seul (oggi capitale della Corea del Sud), primo sacerdote martire della nascente Chiesa coreana. Paolo Chong Hasang, eroico laico coreano, era nato nel 1795 a Mahyan in Corea anch’egli in una famiglia cattolica. Il genitore Agostino e il fratello Carlo erano stati martirizzati nel 1801 e lui si era fatto carico dei rimanenti membri del nucleo familiare - composto di lui, dalla madre Cecilia e dalla sorella Elisabetta - che era stato privato di ogni bene. Lui e le due donne furono costretti ad andare ospiti di un parente, ma appena gli fu possibile si trasferì con esse a Seul aggregandosi alla comunità cristiana, dove si distinse per apostolato, carità e fede purissima. Perlomeno quindici volte andò in Cina, a Pechino, in viaggi difficilissimi fatti a piedi, spinto dall’eroismo di una fede genuina, professata nonostante i gravi pericoli. Collaborò alacremente affinché un primo sacerdote fosse destinato e arrivasse in Corea e poi, dopo di lui, all’arrivo dei primi missionari francesi: il vescovo Imbert e i sacerdoti Maubant e Chastan, tutti della Società Missioni Estere di Parigi. Fu accolto, con la madre e la sorella, nella casa dello stesso Imbert, il quale desiderava farlo diventare sacerdote, ma la persecuzione infuriava e un apostata li tradì, facendoli imprigionare. Paolo fu interrogato e torturato per fargli abbandonare la religione di Gesù, considerata “straniera”, ma visto la sua grande fermezza, fu condannato a morte e decapitato il 22 settembre 1839, insieme al suo caro amico Agostino Nyon, anche lui firmatario di una petizione al papa per l’invio di un vescovo in Corea. Anche la madre e la sorella furono uccise dopo alcuni mesi. Il vescovo e i due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi, furono decapitati anche loro nel 1839. Andrea Kim Taegon e Paolo Chong Hasang, unitamente agli altri centotre martiri, furono beatificati in due gruppi distinti, rispettivamente nel 1925 e nel 1968, per essere poi canonizzati tutti insieme il 6 maggio 1984, a Seul (Corea del Sud), da papa San Giovanni Paolo II. Di questi solo dieci sono stranieri: tre vescovi e sette sacerdoti tutti europei, mentre gli altri sono catechisti e semplici fedeli coreani.
Immagine: Dipinto di origine devozionale raffigurante i Santi Martiri Coreani, olio su tela dipinto, da ignoto autore d'ambito locale, verosimilmente verso la fine del XIX secolo. L'opera si trova presso la Research Foundation of Korean Church History di Seul (capitale della Corea del Sud).
Roberto Moggi
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