Santa Teresa di Calcutta

Oggi - 5 settembre 2024 - giovedì della XXII settimana del tempo ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, Santa Teresa di Calcutta, vergine, comunemente nota come “Madre Teresa” o “Madre Teresa di Calcutta”. Anjezë (Agnese) Gonxhe (“Bocciolo” o “Germoglio”), questi i due nomi albanesi ricevuti dai genitori (il primo in onore di Sant’Agnese, il secondo in ossequio alla tradizione locale di imporre anche un nome floreale alle bambine), nacque il 26 agosto 1910 a Skopje, città multietnica della Macedonia all’epoca appartenente alla Serbia (oggi capitale della repubblica di Macedonia del Nord, nella parte meridionale dei Balcani, al confine con la Grecia). Agnese - come venne sempre e solo chiamata fin da piccola - venuta alla luce nella benestante e cattolicissima famiglia Bojaxhiu, di etnia e madre lingua albanese, crebbe nella tribolata terra di Macedonia, dove convivevano, non sempre nel modo migliore, popoli diversi, di religione cattolica, ortodossa e musulmana. Fin da piccola respirava, in quella autentica “Chiesa domestica” che era la sua famiglia, aria di preghiera e carità evangelica. I suoi genitori elargivano carità a piene mani a tutti i bisognosi, mentre preghiera e Santo Rosario quotidiano erano il loro collante. In questo clima familiare di grande spiritualità, si sviluppò in lei una precoce vocazione religiosa, che la indusse, nel 1928, a diciotto anni, a entrare nella Congregazione delle Suore Missionarie di Nostra Signora di Loreto della sua città. Nello stesso anno partì per l’Irlanda, dove completò la propria formazione, prima di essere destinata a Calcutta, nella parte orientale della colonia britannica dell’India, ove giunse nel 1929. Qui, nel 1931, emise i primi voti, prendendo il nome religioso di suor Maria Teresa del Bambin Gesù, perché molto devota della mistica carmelitana Santa Teresina di Lisieux (1873-1897). Per quasi vent’anni insegnò storia e geografia alle giovani di famiglie facoltose, principalmente di origine anglosassone, nel collegio delle Suore di Loreto a Entally (nella zona est di Calcutta). Durante questo periodo, tuttavia, il Signore fece sperimentare alla sua anima la dura prova spirituale della cosiddetta “notte oscura” o “buio dell’anima”, con la sofferenza per l’improvviso apparente “silenzio” del Signore, che le pareva quasi essersi allontanato da lei. Questo particolare “fenomeno”, infatti, è un periodo di buio interiore assoluto, nel quale non si avverte alcuna percezione della presenza di Dio, con conseguente tristezza, paura, angoscia, confusione e solitudine, anche se è tuttavia molto utile per potersi maggiormente avvicinare al Sommo Creatore. Alla fine, però, la prova finì e dal Cielo le fu donata quella che lei considerava la sua autentica vocazione. Era il 10 settembre 1946 quando avvertì, mentre si recava in treno a un corso di esercizi spirituali nella vicina città di Darjeeling, la voce di Cristo che la chiamava a vivere in mezzo agli ultimi degli ultimi, fondando una nuova congregazione di suore. Lei stessa, nella corrispondenza epistolare con i superiori, riportò la richiesta fattale dalla “voce”: “… Voglio Missionarie indiane, Suore della Carità, che siano il mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a Me, e le sorelle che offrissero la loro vita come vittime del Mio amore porterebbero a Me queste anime …”. Ottenuto il benestare della Santa Sede, lasciò allora il prestigioso collegio del quale era diventata la direttrice, non senza difficoltà, dopo quasi vent’anni di permanenza, incamminandosi da sola a piedi, vestita con un “sari” (tradizionale indumento femminile del subcontinente indiano, composto di un telo leggero avvolto sul corpo) di colore bianco (quello del lutto in India) bordato di azzurro (colore mariano), per i bassifondi di Calcutta, in cerca dei dimenticati, dei “parìa” (gli ultimi della società indiana, i “fuori casta” o “quinta casta” nel sistema sociale e religioso induista), dei malati e dei moribondi, che andava a soccorrere e raccogliere, mentre giacevano circondati dai topi o coperti dagli insetti, persino nelle fogne a cielo aperto. Iniziò così la sua nuova vita solitaria al servizio dei “più poveri tra i poveri”, con sole cinque rupie, ma un’incrollabile fede nella Divina Provvidenza. A poco a poco, attratte dal suo carisma e dal suo luminoso esempio, si aggregarono a lei alcune sue ex-allieve e altre ragazze ancora, di ogni ceto sociale. Il suo nome era diventato sinonimo di una carità sincera e disinteressata, vissuta direttamente alla sequela di Cristo e insegnata a tutti. Dal primo gruppo di giovani che la seguirono, sorse così a Calcutta la “Congregazione delle Missionarie della Carità”, che giunse al riconoscimento diocesano il 7 ottobre 1950. In questo frangente adottò il nome più semplice di Madre Teresa, al quale presto tutti fecero seguire la specificazione “di Calcutta”, che ne indicava la provenienza. Bambini e anziani disabili, barboni, lebbrosi, malati mentali, orfani, prigionieri, prostitute, ragazze madri, tossicomani, uomini e donne di ogni religione, tutti gli esclusi e che si sentivano non amati dalla società iniziarono a trovare conforto fisico e spirituale nella Congregazione di Madre Teresa, da lei dedicata, con parole sue: “… al Cuore Immacolato di Maria, causa della nostra gioia e Regina del mondo …”, perché, continuava: “… è nata (la Congregazione) su sua richiesta e grazie alla sua continua intercessione si è sviluppata e continua a crescere …”. Attraverso Maria, Teresa voleva portare Cristo ai poveri e i poveri a Cristo. Un moribondo, che aveva soccorso in una fogna, curato e ripulito dai vermi, le disse un giorno: “… Ho vissuto come un animale per la strada, ma sto per morire come un Angelo …”. Insegnava a orientare le proprie azioni di carità da chi c’è più vicino, dalle persone della nostra famiglia, specificando: “… da quelli che vivono vicino a me e che sono poveri, ma non per mancanza di pane, bensì perché non cercano Dio …”. Intanto, mentre anno dopo anno l’Istituto delle Suore della Carità cresceva e si allargava in tutta l’India e addirittura nel mondo, suor Teresa interveniva energicamente in tutti i campi della vita umana, laddove era presente il peccato in ogni sua forma, senza paura alcuna di affrontare anche i potenti. Particolarmente, adoperò parole toccanti e forti come riferimento al valore della famiglia, che definiva primo ambiente di povertà nell’età contemporanea. Inoltre, la “Piccola matita nelle mani di Dio”, per usare una sua celebre autodefinizione, intervenne più volte pubblicamente e con forza, anche di fronte a uomini politici e di Stato, con la condanna dell’aborto e dei metodi di contraccezione artificiali. Il 17 ottobre 1979, in riconoscimento della sua immane opera a favore dei poveri più poveri, le fu assegnato a Oslo (Norvegia) il Premio Nobel per la Pace e, nell’occasione, tenne un memorabile discorso, affermando di accettare quel riconoscimento esclusivamente “in nome dei poveri”. In quella circostanza, sorprese tutti con un suo nuovo durissimo attacco all’aborto, che presentò come la principale minaccia alla pace nel mondo, con parole che risuonano più attuali che mai: “… Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa (…). Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di uccidere te e a te di uccidere me …”. Sottolineò come la vita di un bambino non nato sia un dono di Dio, il maggior dono che Dio possa fare alla famiglia, aggiungendo: “… Oggi ci sono molti Paesi che permettono l’aborto, la sterilizzazione e altri mezzi per evitare o distruggere la vita fin dal suo inizio. Questo è un segno ovvio che tali Paesi sono i più poveri tra i poveri, poiché non hanno il coraggio di accettare nemmeno una vita in più. La vita del bambino non ancora nato, come la vita dei poveri che troviamo per le strade di Calcutta, di Roma o di altre parti del mondo, la vita dei bambini e degli adulti è sempre la stessa vita. È la nostra vita. È il dono che viene da Dio. […] Ogni esistenza è la vita di Dio in noi. Anche il bambino non nato ha la vita divina in sé …”. Nella medesima cerimonia di consegna del Premio Nobel, alla domanda che le fu posta dai giornalisti, su cosa si potesse fare per promuovere la pace mondiale, lei rispose senza esitare: “… Andate a casa e amate le vostre famiglie …”. Madre Teresa si addormentò nel Signore il 5 settembre 1997, nella casa madre della Suore Missionarie della Carità a Calcutta, con un rosario fra le mani, venendo sepolta nello stesso luogo, dove si trova attualmente. Questa “goccia d’acqua pulita”, questa “Marta e Maria inscindibili”, come venne anche definita, ha lasciato in eredità alla Congregazione tutte le sue “ricchezze”: un paio di sandali, due sari, una borsa di tela, tre quaderni di appunti, un libro di preghiere, un rosario e un maglioncino di lana. È stata beatificata da papa San Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003 e canonizzata da papa Francesco domenica 4 settembre 2016, alla presenza di oltre 120.000 fedeli e pellegrini di tutto il mondo. Quando si entra in una chiesa o cappella delle Missionarie della Carità, non si può non notare il crocefisso che sovrasta l’altare, al fianco del quale si trova la scritta in inglese (o nelle varie lingue locali secondo il Paese) “I thirst” (in italiano “Ho sete”), pronunciata dal Signore. In questo motto sta la sintesi della vita e delle opere di Teresa di Calcutta. Donna di fede, di speranza, di carità, d’indicibile coraggio, Madre Teresa aveva una spiritualità profondamente cristocentrica ed eucaristica, tanto che usava dire: “… Io non posso immaginare neanche un istante della mia vita senza Gesù. Il premio più grande per me è amare Gesù e servirlo nei poveri …”. Madre Teresa, l’inesauribile suora con il sari bianco e i sandali, passava almeno tre ore al giorno in preghiera e adorazione del Santissimo Sacramento, che erano il motore di tutta la sua carità contemplativa e operosa. Non era estranea a nessuno, credenti, non credenti, cattolici, non cattolici o anticlericali, si fece apprezzare, stimare e amare, ancor prima che nel ricco occidente, proprio nella “sua” India, dove i seguaci di Cristo sono la minoranza.
Immagine: Primo piano di Madre Teresa di Calcutta, in una foto scattata il 10 dicembre 1985, dal fotografo romano Manfredo Ferrari, durante una visita della santa al monastero camaldolese di San Gregorio al Celio, a Roma, ove l'originale è conservato.
Roberto Moggi
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