Oggi - 4 settembre 2024 - mercoledì della XXII settimana del tempo ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, Santa Rosalia, vergine ed eremita di Palermo. Rosalia nacque nel 1128 circa a Palermo, quando la città era capitale della Contea di Sicilia, esistita dal 1071 al 1130, anno in cui le subentrò il Regno di Sicilia (oggi capoluogo della regione Sicilia). Molto magre sono le notizie sulla sua vita, raccolte per la prima volta dal Padre Gesuita Giordano Cascini nel 1631, su mandato del senato cittadino, nella sua opera “De vita et inventione Sanctae Rosaliae virginis panormitanae commentarium breve”, agiografia ufficiale. Da questa e dalle poche altre fonti, si apprende che era molto probabilmente figlia del Conte Sinibaldo de’ Sinibaldi, Signore della Quisquina e del Monte delle Rose, vicino a Girgenti [corrispondenti agli attuali territori dei comuni di Santo Stefano Quisquina e Bivona, oggi in provincia di Agrigento (l’antica Girgenti), regione Sicilia], mentre sua madre era la Nobile Maria Guiscardi, imparentata con la Corte Normanna. Non si ha nessuna notizia certa sulla sua casata, ma la tradizione vuole, tuttavia, che il nucleo familiare paterno vantasse una nobiltà di antiche origini, risalente addirittura al primo Imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo Magno (dall’800 all’814), proseguente per il figlio di quest’ultimo Pipino Re dei franchi e d’Italia (dal 773 all’810), fino ad arrivare al Conte Teodino, suo nonno e genitore del Conte Sinibaldo suo padre. A riprova di tale alto lignaggio, il religioso e storico Padre Costantino Gaetani o Caetani (1568-1650) narra, nel 1619, come Rosalia fosse stata damigella d’onore della Regina Margherita, figlia del Re di Navarra e moglie del Re di Sicilia Guglielmo I detto “il Malo” (dal 1154 al 1166). Il periodo che Rosalia visse presso la corte reale della sua Palermo, tra il 1130 e il 1170, fu un momento d’intensa spiritualità cristiana, caratterizzata, dopo la fine della dominazione arabo-musulmana avvenuta con la caduta di Noto nel 1091, dal risveglio del monachesimo bizantino e occidentale, accolto con entusiasmo dai re normanni che ora governavano l’isola. In quest’ambiente - attratta fortemente dalla vita religiosa e desiderosa di vivere alla sequela di Cristo - Rosalia, nonostante la sua condizione privilegiata, si dedicò all’eremitaggio, poiché la scelta di una vita solitaria in preghiera e contemplazione, espressione più alta della sensibilità religiosa di quel tempo, corrispondeva pienamente al suo sentimento interiore. Si narra che, intorno ai tredici o quindici anni, il padre, per obbedienza al sovrano, le chiese di sposare il Conte Baldovino, ottenendone un netto rifiuto e l’aperta manifestazione del desiderio di darsi alla vita religiosa. Rosalia, allora, abbandonò la casa paterna e, accolta dalle Monache Basiliane, scelse la vita eremitica, vivendo per circa dodici anni nei boschi delle proprietà paterne della Quisquina, presso una piccola cavità carsica che si trova ora incorporata nell’eremo a lei dedicato nel bosco stesso, oltre Bivona (Agrigento), a mezza costa di un dirupo di circa 900 metri d’altezza che domina la necropoli di contrada Realtavilla (Agrigento). Ad avvalorare questa tradizione esiste una scritta, trovata il 24 agosto 1624, sulla parete destra dell’ingresso della piccola grotta, la quale recita in latino che in quella grotta sarebbe vissuta Rosalia Sinibaldi. Nella parte bassa della scritta, a sinistra, compare anche la cifra “12” che dovrebbe indicare il numero degli anni in cui Rosalia visse in quel luogo. Abbandonata la grotta della Quisquina, Rosalia tornò a Palermo, soffermandosi per breve tempo nella casa paterna, nel quartiere Olivella. In seguito, verso il 1152, si rifugiò presso una grotta ricca d’acqua, accanto ad un antico altare, prima pagano e poi dedicato alla Madonna, sul vicino Monte Pellegrino da tempo immemore ritenuto un monte sacro dai palermitani, dove Rosalia visse in eremitaggio per circa otto anni, fino alla morte. Narrano talune tradizioni che, nell’ultimo periodo della sua vita, forse qualche mese prima di rendere l’anima a Dio, sentendo arrivare l’ora della sua morte si fece murare all’interno della grotta, dove poi morì il 4 settembre del 1160 o più probabilmente 1170. Altre fonti, invece, sostengono che, il 4 settembre 1165, fu trovata morta dai pellegrini all’interno della medesima spelonca. Erano passati quasi cinquecento anni dalla dipartita terrena di Rosalia, quando, il 7 maggio 1624, nel porto di Palermo giunse un vascello i cui occupanti erano portatori della micidiale peste che già imperversava nel resto d’Italia e in Europa, la quale si diffuse in tutta città in breve tempo, causando migliaia di morti. Il 26 Maggio successivo, giorno di Pentecoste, una pia popolana dal nome di Girolama La Gattuta, per adempiere un voto in precedenza fatto per ottenere la guarigione da una brutta malattia, forse la peste stessa, salì in pellegrinaggio sul Monte Pellegrino. Giunta alla grotta che fu abitata ben quattrocentocinquanta anni prima da Rosalia, bevve dell’acqua che gocciolava dalla roccia e, guarita immediatamente, ebbe una visione della Vergine Maria in compagnia di Santa Rosalia. Le fu indicato un punto preciso in fondo alla grotta, dove si sarebbe trovato “un tesoro” e “una Santa”. Di seguito, insistendo per alcuni giorni con alcuni parenti e frati del convento vicino, ottenne che s’iniziassero gli scavi. Così, il 15 luglio 1624, nel luogo indicatole durante la visione, sotto una grande lastra di marmo, furono ritrovate ossa umane che emanavano un intenso profumo di fiori. Memori della storia della santa i resti furono individuati per quelli di Santa Rosalia. Sul monte cominciarono a salire molte persone che pregavano e bevevano l’acqua, ottenendo molto spesso guarigioni miracolose, del corpo e dell’anima. Le ossa, pertanto, furono pulite e portate in città, dove furono deposte nella cappella privata dell’Arcivescovo Giannettino Doria, che, però, non era convinto dell’autenticità delle reliquie e desiderava avere una qualche certezza in tal senso. Intanto, in data 27 luglio 1624, Rosalia fu proclamata Patrona di Palermo dal Senato della città, spinto dal volere popolare. L’anno successivo, il 13 febbraio 1625, il fabbricante di sapone Vincenzo Bonelli, disperato per aver perso la giovane moglie a causa della peste, si camuffò da cacciatore per sfuggire ai controlli imposti per motivi di sanità pubblica e, con il cane e il fucile, salì sul Monte Pellegrino con l’intenzione di suicidarsi gettandosi giù dalla cima. Tuttavia, ecco che gli apparve Rosalia col volto splendente “come un Angelo” e, fermando la sua intenzione suicida, lo condusse verso la grotta dicendogli che si sarebbe dovuto confessare e comunicare; riferendo all’Arcivescovo Doria di non dubitare più dell’autenticità delle ossa trovate e di portarle in processione per la città, perché solo così sarebbe finita la pestilenza, poiché la Madonna le aveva promesso che la peste sarebbe cessata al passaggio delle sue ossa in città al momento del canto del “Te Deum Laudamus”. Contestualmente gli predisse anche che sarebbe morto a breve dello stesso morbo (peste) della sua sposa. Bonelli fu effettivamente colpito dal contagio, come Rosalia gli aveva predetto e, in punto di morte, all’alba del 18 febbraio 1625, raccontò tutto al suo confessore chiedendogli di informare subito l’Arcivescovo della visione. Il mattino dello stesso giorno Bonelli morì, subito dopo aver raccontato al suo confessore e anche ad altri due frati tutto ciò che gli era stato rivelato in visione da Santa Rosalia sul Monte Pellegrino. Il 22 febbraio 1625, il cardinale, colpito dal racconto di Vincenzo, dopo la sua morte, riconvocò la commissione dei teologi e dei medici. Questi certificarono che tra i reperti vi era un corpo “ingastato in densa pietra” e una piccola testa, certamente di giovane donna. Poiché si sapeva che l’unica donna vissuta sul monte era Rosalia, fu dichiarata l’autenticità dei resti trovati. Finalmente, il 9 giugno 1625, si svolse la richiesta processione delle ossa di Santa Rosalia con la partecipazione di numerosissima gente. Al passaggio delle ossa, nel preciso momento in cui s’intonò il canto del “Te Deum Laudamus”, gli ammalati guarirono prodigiosamente dalla peste, sotto gli occhi di tutti e il contagio si arrestò in breve tempo. A riprova di ciò, gli scrivani del re annotarono nei registri comunali il nome, l’età, il luogo della guarigione e ogni dato di tutte le persone guarite. Il 3 settembre 1625, a poco più di un anno dal ritrovamento delle ossa, si ottenne l’estinzione completa dell’epidemia grazie alla miracolosa intercessione di Santa Rosalia. Fu canonizzata nel 1170 circa (secondo la tradizione subito dopo la morte) da Gualtiero Offamilio Vescovo di Palermo, tramite la "canonizzazione vescovile" e inserita poi nel Martirologio Romano il 26 gennaio 1630 da Papa Urbano VIII.
Immagine: "Santa Rosalia in gloria", olio su tela realizzato, circa tra il 1620 ed il 1647, dal pittore siciliano Pietro Novelli, detto Il Monrealese (1603-1647). L'opera si trova attualmente presso la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, a Madrid (Spagna).
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