San Roberto Bellarmino, vescovo

Oggi - 17 settembre 2024 - martedì della XXIV settimana del tempo ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa. Roberto Francesco Romolo, questi i suoi tre nomi di battesimo, ma chiamato solo col primo, nacque il 4 ottobre 1542 a Montepulciano, paese all’epoca sottoposto alla città di Firenze governata dalla famiglia Medici (oggi in provincia di Siena, regione Toscana). La sua famiglia d’origine era di nobili natali, sia da parte paterna che materna, anche se in via di declino e con scarsi beni. Era terzogenito dei dodici figli (cinque maschi e sette femmine) del magistrato e gonfaloniere cittadino Vincenzo Bellarmino (casato la cui grafia originale è Bellarmini) e di Cinzia Cervini, pia e devota, sorella del cardinale Marcello (che divenne Papa Marcello II per soli ventidue giorni, dal 9 aprile 1555 al 1° maggio 1555), la quale seppe infondergli quel seme di bontà e timor di Dio che presto sarebbe sbocciato in una precoce vocazione religiosa. Fu battezzato dal cardinale fiorentino Roberto Pucci, in rispetto del quale gli fu probabilmente imposto il primo nome, così come il secondo lo fu in onore di San Francesco d'Assisi, festeggiato il giorno della sua nascita, mentre il terzo proveniva da un glorioso antenato. Fu istruito in modo adeguato al suo lignaggio, nel collegio Gesuita di recente fondato nella sua città. Nello studio dimostrava le sue ottime capacità intellettive e, ispirandosi agli autori classici come Virgilio, compose diversi piccoli poemi sia in lingua volgare che in latino. Il 20 settembre 1560, dopo adeguato discernimento e in pieno accordo con la famiglia, si trasferì a Roma, dove entrò, presso la struttura annessa alla chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, nel noviziato della “Compagnia di Gesù” (in latino “Societas Iesu”), i cui membri sono detti Gesuiti, ordine religioso allora molto recente, essendo stato fondato nel 1534 a Parigi (Regno di Francia), dal sacerdote spagnolo e futuro santo Ignazio di Loyola (1491-1556) con alcuni compagni. Nell’Urbe, fino al 1563, oltre a portare avanti gli studi per divenire sacerdote, si dedicò anche a quelli di filosofia presso l’autorevole Collegio Romano e, ottenuto il diploma, iniziò a insegnare materie letterarie dapprima a Firenze (Toscana) e poi a Mondovì presso Cuneo (Piemonte). Nel 1567, ancora seminarista, intraprese pure l’apprendimento della filosofia presso la prestigiosa Università di Padova, nella Serenissima Repubblica di Venezia (oggi capoluogo di provincia della regione Veneto), ma, nel 1569, la Compagnia di Gesù lo inviò a completarli nell’ateneo di Leuven (Lovanio) nelle Fiandre olandesi (oggi nel Belgio fiammingo). Qui, il 19 marzo 1570, fu ordinato presbitero e guadagnò rapidamente fama sia come insegnante sia come predicatore. In quest’ultima veste, a lui congeniale, era capace di attirare al pulpito ingenti folle, sia di cattolici sia di protestanti, persino da località lontane, al punto che, nella stessa università, divenne membro del corpo docente e destinato all’insegnamento della teologia con il compito anche di predicare in latino agli studenti. Intanto, a Lovanio e nelle Fiandre, il clima si era “surriscaldato” a causa delle teorie del teologo belga Michel de Bay (in Italia noto come Michele Baio, 1513-1589), fondatore del “Baianismo”, dottrina che sosteneva tesi molto vicine a quelle di Lutero e Calvino, potendosi perciò classificare essa stessa come eretica. Bellarmino, per tutta risposta, portò avanti il suo insegnamento prendendo come libro di testo la “Summa theologiae” (“Somma teologica”) di San Tommaso d’Aquino e il successo fu immediato. Grazie alla sua conoscenza sbalorditiva della teologia e comportandosi sempre con grande carità e umiltà, confutò egregiamente la dottrina del Baio, tanto che questi più tardi abiurò i suoi errori. Nel 1576, infine, poté tornare in Italia, chiamato a essere il primo professore della recentissima cattedra denominata “di Controversie” (ovvero di apologetica, l'attività e l'opera a difesa e dimostrazione del carattere divino della Rivelazione), nel Collegio Romano dell’Urbe, dove le sue lezioni, frequentate da un’utenza cosmopolita, ebbero vastissima risonanza addirittura in ambito europeo. Nel 1585 assunse proficuamente la direzione spirituale del futuro San Luigi Gonzaga (1568-1591), prima seminarista e poi sacerdote della Compagnia di Gesù, che seguì fino al 1602. Tra il 1586 e il 1593, pubblicò le famose “Disputationes de Controversiis Christianae Fidei”, note anche con il titolo “De Controversiis”, opera di teologia dogmatica di grandissimo successo, considerata “la più completa difesa del potere del Papa”, tanto che dopo la loro pubblicazione, fu ritenuto il massimo apologeta della dottrina cattolica del primato pontificio. Esse, infatti, costituiscono una solida difesa della dottrina cattolica secondo un procedimento basato sulla Scrittura, i Padri della Chiesa e la storia, così da potersi definire una Somma Teologica di nuovo stile, poiché attingono direttamente alle fonti con abbondanza, pertinenza e chiarezza esegetica. Nel 1592 fu eletto rettore del Collegio Romano, incarico che tenne fino al 1594, quando fu nominato Superiore della Provincia Gesuita di Napoli e si trasferì in quella città. Poi, nel 1599, fu richiamato a Roma dal Pontefice Clemente VIII (dal 1592 al 1605) come consultore del Sant’Uffizio, venendo anche nominato cardinale, dignità della quale, per umiltà, non riteneva d’essere degno. Intanto, la sua opera e il suo servizio nel Santo Romano Uffizio, con incarichi sempre più importanti, era vissuta nella disposizione d’animo di chi è più disposto a salvare il prossimo, piuttosto che a condannarlo. Questo ruolo lo portò a essere in prima linea nei processi più delicati di tutto il XVII secolo, contro il filosofo, scrittore e frate domenicano Giordano Bruno (1548-1600), il filosofo e frate domenicano Tommaso Campanella (1568-1639) e contro il fisico, astronomo, filosofo, matematico e accademico Galileo Galilei (1564-1642), considerato il padre della scienza moderna. Nel 1602, eletto Arcivescovo di Capua, non lungi da Napoli (oggi in provincia di Caserta, regione Campania), prese possesso della diocesi soggiornandovi per tre anni, fino al 1605, quando il nuovo Papa Paolo V (dal 1605 al 1621) lo volle ancora a Roma per importanti incarichi. Roberto Bellarmino, figura di grande intelligenza e integralità, difese energicamente e con successo l’ortodossia cattolica al tempo della Riforma Protestante, nelle sue correnti principali luterane e calviniste. Scrisse molte opere esegetiche, pastorali e ascetiche, collaborando anche alla revisione della "Vulgata" (La traduzione latina della Bibbia). Nel suo pensiero fuse scienza, fede e vita, rendendo palese la necessità di una visione integrale tra teologia, spiritualità e vissuto umano, mentre la dedizione ai poveri, nella più sentita fratellanza, fu la sintesi di tutto il suo pensiero. Ammirato per la sua carità e semplicità di vita, compose un Catechismo che ha insegnato le verità fondamentali della fede a tante generazioni di bambini. Dopo una vita interamente spesa nel servizio ai fratelli e alla Santa Chiesa, caratterizzata da una profonda umiltà e semplicità, prevedendo la propria imminente morte, Bellarmino ottenne dal Pontefice Paolo V di trasferirsi nel noviziato romano dei Gesuiti a Sant’Andrea al Quirinale, dove si spense, recitando il Credo e invocando il Signore, il 17 settembre 1621. Fu sepolto nella chiesa dei Gesuiti di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio, nel centro storico di Roma, dove la sua tomba si trova in quella cappella di San Gioacchino. Il pontefice Pio XI lo beatificò nel 1923, lo canonizzò nel 1930 e lo proclamò Dottore della Chiesa il 17 settembre 1931.
Immagine: Ritratto del cardinale Roberto Bellarmino, olio su tela dipinto, tra il 1622 ed il 1623 circa, da ignoto autore di ambito fiammingo. L'opera si trova nel Museo Plantin-Moretus di Anversa (Belgio).

Roberto Moggi
Home page   ARGOMENTI

Commenti