Oggi - 9 settembre 2024 - lunedì della XXIII settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria facoltativa di San Pietro Claver, sacerdote. Pere o Pedro (Pietro), questo il suo nome rispettivamente nella natia lingua catalana e in quella spagnola, nacque nel 1580 a Verdù, piccolo centro dell’entroterra della Catalogna appartenente al Regno di Spagna, nella modesta famiglia Claver. Terminati gli studi, nel 1602 entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù, dove rimase per i primi due anni, per poi completare il seminario nel Collegio di Montesion, nell'isola mediterranea spagnola di Maiorca. Qui avvenne un provvidenziale incontro che segnerà per sempre la sua vita, rafforzandone la fede. In questo convitto, infatti, conobbe Alonso (o Alfonso) Rodríguez (1532-1617), un sacerdote anziano, semplice padre coadiutore e portiere, ma di una profondissima spiritualità e con il dono di saper leggere i cuori, che secoli dopo (nel 1888) fu canonizzato, divenendo una delle glorie dell'Ordine dei Gesuiti. Tra le due anime subito nacque un profondo e sovrannaturale rapporto. Il vecchio padre Alonso, che prese a seguirlo spiritualmente, non si accontentava di dargli dei semplici consigli, ma gli svelava gli illimitati orizzonti della carità e del sacrificio. Spesso gli parlava, affascinandolo, della necessità di darsi da fare sul serio da missionari, magari nella lontana America. Le ardenti parole del vecchio maestro accesero vampate di zelo che finirono per consumargli il cuore. Da quel momento, il giovane Pietro cominciò insistentemente a chiedere ai superiori di essere destinato in qualche missione d’oltremare. Il 23 gennaio 1610, il superiore provinciale, rispondendo alle tante sue richieste, lo inviò, infine, missionario in America del Sud. Così, alla fine dello stesso anno, dopo una lunga traversata, approdò nella città portuale di Cartagena de Indias, normalmente conosciuta solo come Cartagena, una delle più importanti dell'Impero Spagnolo d'oltremare, nella provincia di Nuova Granada (corrispondente all’incirca all’odierna Colombia). Terminati qui i suoi studi di teologia, nella locale casa di formazione dei Gesuiti, ricevette finalmente il Sacramento dell'Ordine il 19 marzo del 1616, celebrando la prima Messa davanti all’immagine della Vergine dei Miracoli, cui avrebbe professato per sempre un’ardente e filiale devozione. La città di Cartagena costituiva a quell'epoca uno degli snodi principali di commercio tra l'Europa e il nuovo continente e, insieme a Veracruz, nella colonia spagnola del Messico, era un porto adibito all'introduzione di schiavi africani nei territori dell’impero spagnolo in America latina. Si calcola che circa diecimila schiavi arrivavano annualmente in questa città, portati da mercanti, generalmente portoghesi e inglesi, che si dedicavano a questo vile e crudele commercio, trattandoli come oggetti. Questi poveri esseri umani, strappati dalle coste e dall’entroterra dell'Africa, dove professavano il paganesimo animista, erano trasportati nelle stive delle navi, senza attenzioni e riguardi, per poi essere venduti come semplice mercanzia al loro arrivo in America. Erano destinati al durissimo lavoro coatto nelle miniere e nelle grandi fattorie, dove, dopo una vita senza speranza, ricca solo di punizioni corporali anche tremende come l’amputazione, morivano miserevolmente senza neanche il conforto della fede. Aiutare, liberare e convertire questa moltitudine d’infelici, divenne la missione alla quale Pietro consacrò tutta l’esistenza. Pertanto, nel 1622 circa, arrivato l’atteso momento di pronunziare i voti solenni, con i quali s’impegnava a essere obbediente, casto e povero fino alla morte, firmò il relativo documento con una formula che da quel momento sarebbe stata la sintesi della sua opera: “Petrus Claver, aethiopum semper servus” ["Pietro Claver, schiavo degli etiopici (intendendo in generale gli africani) per sempre"]. Quando una nave carica di schiavi stava entrando in porto, egli le andava incontro immediatamente con una piccola imbarcazione, portando con sé biscotti, frutta, dolci e acquavite. Quei poveri uomini, abbruttiti ed esausti da un viaggio lunghissimo affrontato in condizioni disumane, lo guardavano con timore e diffidenza, ma egli li salutava con gioia e grazie ai suoi aiutanti e interpreti africani - ne aveva più di dieci, che parlavano le principali lingue del continente nero - diceva loro di non temere, perché era lì per aiutarli e per alleviare i loro dolori e le malattie. Tuttavia, più che le parole, per lui parlavano le azioni. Tentava di liberarne quanti più gli fosse possibile, li accudiva, battezzava adulti e bambini, dando precedenza ai moribondi e ai malati, accoglieva tra le braccia gli infermi e distribuiva a tutti bevande e alimenti, facendosi davvero servo di quegli sventurati. Pietro usciva tutte le mattine per la sua missione di carità, non omettendo di catechizzare gli schiavi, tenendo nella mano destra un bastone terminante con una croce e un bel crocefisso di bronzo appeso al collo. Né i caldi estenuanti, né le piogge torrenziali, tanto più le critiche e le incomprensioni da parte dei confratelli, raffreddarono la sua carità. Molto spesso batteva alla porta delle dimore signorili per chiedere cibo, vestiti, denaro e l’ausilio di anime caritatevoli e risolute che lo aiutassero nel suo duro apostolato. Spesso nobili, capitani, cavalieri e ricche e devote signore dell’aristocrazia lo seguivano fino ai miseri tuguri degli africani oppressi. Entrando in queste capanne fatiscenti, le prime attenzioni erano sempre rivolte ai malati, agli anziani e agli abbandonati da tutti, che lavava e curava, distribuendo cibo ai bisognosi. Sedate le pene del corpo, li riuniva attorno ad un altare improvvisato e iniziava la catechesi che lui sapeva mettere meravigliosamente alla portata del paganesimo animista professato dagli schiavi. Ripeteva continuamente agli sventurati di abbandonare tutte le superstizioni e i riti che avevano praticato nelle tribù e nei luoghi d'origine, insegnava loro a farsi il segno della croce e spiegava un po' alla volta i principali misteri della Fede: Unità e Trinità di Dio, Incarnazione del Verbo, Passione di Gesù, intercessione di Maria, Cielo e inferno. Pietro comprendeva bene che i poveri sventurati non avevano facilità ad assimilare idee astratte senza l'aiuto di molte immagini e figure, per questo mostrava loro stampe nelle quali erano dipinte scene della vita del Signore e della Madonna o rappresentazioni del Paradiso e dell'inferno. Tutte le domeniche percorreva le vie e le strade della regione attorno a Cartagena, per coinvolgere questa povera gente a partecipare alla santa Messa e al sacramento della Penitenza: addirittura c'erano giorni in cui trascorreva la notte intera confessando i poveri schiavi. La sua ardente e inestinguibile sete di anime da salvare, era soltanto lo straripamento visibile delle fiamme interiori che gli consumavano lo spirito. Tutto il tempo in cui era libero dall’esercitare la carità, confessare, catechizzare o istruire i poveri sventurati in catene, lo dedicava alla preghiera. Dormiva soltanto tre ore a notte, mentre il resto del tempo lo passava in ginocchio nella sua cella o davanti al Santissimo Sacramento, in profonda preghiera, molte volte accompagnata da estasi mistiche. Grande adoratore di Gesù-Eucaristia, si preparava tutti i giorni per un'ora, prima di celebrare il Sacrificio dell'Altare e rimaneva in rendimento di grazia un'altra mezz'ora dopo la Messa, non permettendo a nessuno di interromperlo in questi momenti. Illimitata era anche la sua devozione alla Madonna. Pregava il Rosario tutti i giorni, inginocchiato o camminando per le vie della città o della regione, senza mai lasciar passare una sola festa senza organizzare solenni celebrazioni, con musica strumentale e corale. Andando avanti con l’età, Pietro, che aveva trascorso la vita a fare il bene, alleviando tanti dolori e consolando tante angustie, dovette soffrire, come il suo Divino Maestro, indicibili tormenti fisici e morali prima di essere accolto nella gloria celeste. Dopo trentacinque anni d’intensissimo lavoro apostolico, a settanta anni di età, si ammalò gravemente. Poco a poco gli si paralizzarono le estremità delle membra e un forte tremore agitava continuamente il suo corpo estenuato. Gli ultimi quattro anni della sua esistenza terrena egli li trascorse immobilizzato nell’infermeria del convento. In questo triste stato - lui che era stato l'anima della città, il padre degli schiavi, dei più poveri e il consolatore di tante sventure - fu completamente dimenticato da tutti e sommerso dall'oblio e dall'abbandono più totale. Passava i giorni, i mesi e gli anni in silenziosa meditazione, contemplando dalla finestra dell'infermeria l'immensità del mare Caraibico e ascoltando la melodia delle onde che s’infrangevano contro le mura della città. In completa solitudine, con il dolore e con Dio, aspettava il momento del supremo incontro. Un giovane d’origine africana, ex schiavo, era stato incaricato dal superiore dell'istituto di prendersi cura di lui. Accadde però che costui, il quale avrebbe dovuto essere suo infermiere e consolatore, non fosse altro che un brutale carnefice. Mangiava la parte migliore degli alimenti destinati al paralitico e lo lasciava sovente senza bere e senza mangiare. Secondo quanto racconta una testimone, addirittura, lo martirizzava quando lo vestiva, “maneggiandolo” con brutalità, torcendogli le braccia, picchiandolo e trattandolo con crudeltà e disprezzo, forse nella ricerca di un’ingiusta vendetta contro gli uomini bianchi che lo avevano per sempre strappato alla sua terra e reso schiavo. Tuttavia, mai le sue labbra proferirono la minima lagnanza e sempre diede ad intendere di perdonare tutto. Un giorno d’agosto del 1654, Pietro disse, a un suo confratello venutolo a trovare, che ogni sua sofferenza stava per finire e che sarebbe morto presto in un giorno dedicato alla Vergine. La mattina del 6 settembre, a costo di un immenso sforzo, si fece condurre fino alla chiesa del convento, dove volle comunicarsi per l'ultima volta, poi trascinandosi, si avvicinò alla statua della Madonna dei Miracoli, davanti alla quale aveva celebrato la sua prima Messa. Passando per la sacrestia, disse poi a un confratello che era giunta la sua ora e stava per morire. Il giorno dopo perse l’uso della parola e ricevette l'Estrema Unzione. Successe, allora, qualcosa di straordinario e sovrannaturale. La città di Cartagena sembrò risvegliarsi come da un lungo letargo e da ogni parte correva la voce che stava morendo “Il santo”. Una moltitudine mai vista si diresse al collegio dei Gesuiti, dove Pietro ormai agonizzava. Tutti volevano baciare le sue mani e i suoi piedi, fargli toccare rosari e medaglie. Distinte signore spagnole e povere africane, nobili, capitani, bambini e schiavi sfilarono quel giorno davanti a lui, che giaceva privo di sensi nel suo letto di dolore, tanto che solo alle nove della sera i padri riuscirono a chiudere le porte del luogo sacro e a fermare così quella pietosa marea di persone. Così, tra l'una e le due dell'8 settembre 1654, festa della Natività di Maria, con grande soavità e pace, lo “Schiavo degli schiavi” si addormentò nel Signore. Il suo corpo fu inizialmente inumato nella cattedrale cittadina e, in seguito, nel santuario sorto nella stessa Cartagena, che, in suo onore, assunse il nome di San Pedro Claver. Fu beatificato il 16 luglio 1850 da Papa Pio IX e canonizzato il 15 gennaio 1888 da Papa Leone XIII, lo stesso giorno del suo padre spirituale Sant'Alonso (o Alfonso) Rodríguez. Il 7 luglio 1896 fu proclamato patrono di tutte le missioni tra gli africani. La sua ricorrenza si celebra il 9 settembre.
Immagine: "Predicazione di San Pietro Claver", olio su tela eseguito da ignoto autore di scuola locale nel 1750 circa. L'opera si trova nella chiesa gesuita di Sant'Ignazio di Loyola a Bogotà, capitale della Colombia.
Home page ARGOMENTI
Commenti
Posta un commento
Non inserire link cliccabili altrimenti il commento verrà eliminato. Metti la spunta a Inviami notifiche per essere avvertito via email di nuovi commenti al post.