San Matteo, apostolo

Oggi - 21 settembre 2024 - sabato della XXIV settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la festa di San Matteo, apostolo ed evangelista. Il suo nome deriva dall’antico ebraico “Mattityahu” (nella sua traslitterazione nell’alfabeto latino), composto dai termini “mattath” (dono) e “Yah” (abbreviazione di Yhwh, il nome israelitico di Dio), col significato di “Dono di Dio”, passato al greco arcaico traslitterato in alfabeto latino come Matthaíos e al latino quale Mattheus (Matteo). Nelle liste dei Dodici compare solo come Matteo, mentre questo nome non è utilizzato nei vangeli di Marco (Mc 2, 14) e Luca (Lc 5, 27), che lo chiamano entrambi Levi (aggiungendo, Marco, anche il patronimico “Figlio di Alfeo”). Questo è probabilmente dovuto al fatto che, oltre a Matteo, portava pure il nome di Levi, come l’omonima tribù sacerdotale ebraica, oltre che alla volontà, da parte dei due evangelisti, di salvaguardarne l’onorabilità, compromessa dal suo mestiere di esattore delle tasse in Palestina, per conto degli invisi occupanti romani. Nacque forse tra il 4 e il 2 avanti Cristo, ma secondo altre fonti nei primi anni del I secolo dopo la nascita del Salvatore, a Cafarnao, antica città della Galilea situata sulle rive nord-occidentali del lago di Tiberiade, appartenente alla Palestina romana (oggi in Israele). Proprio nel suo villaggio natio, mentre esercitava l’attività di riscossione delle imposte, incontrò Gesù, dal quale fu chiamato personalmente a seguirlo, divenendone apostolo, come dice il già citato vangelo secondo Marco: “… Nel passare (Gesù), vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì …” (Mc 2, 14). Il riferimento a un esattore d’imposte di Cafarnao, di nome Levi, compare anche nel pure prima riportato vangelo secondo Luca: “… Dopo di ciò egli (Gesù) uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì …” (Lc 5, 27-28). Gesù, dunque, lo scelse come membro del ristretto gruppo dei suoi discepoli, e, infatti, il suo nome, Matteo, si trova negli Atti degli apostoli (At 1, 13), dove si menzionano gli undici (dopo la morte di Giuda Iscariota) che costituivano la timorosa comunità sopravvissuta alla perdita del Messia. Appare, inoltre - sempre con quest’appellativo - nei tre elenchi degli apostoli che hanno rispettivamente tramandato i tre vangeli sinottici, secondo Marco (Mc 3, 18), Luca (Lc 6, 15) e quello che la tradizione cristiana vuole scritto da lui stesso (Mt 10, 3), dove aggiunge al proprio nominativo anche la specificazione de “il pubblicano”. Il suo Vangelo lo avrebbe redatto intorno all’anno 80, rivolgendosi in particolare agli ebrei neoconvertiti al cristianesimo. Il testo, che ha lo stesso tema di fondo degli altri Vangeli sinottici, cioè la predicazione del Regno, è peculiarmente suddiviso in cinque grandi discorsi, definiti dagli studiosi: “della montagna”, “parabole”, “escatologico”, “missionario” e “ecclesiale”. Siffatta ripartizione, ricalca simbolicamente il “Pentateuco”, composto dai primi cinque libri dell’Antico Testamento, attribuiti a Mosè, quasi a voler evidenziare che Gesù era la nuova Guida del popolo ebraico. A lui sono anche tradizionalmente riferiti alcuni testi apocrifi: il Vangelo cosiddetto del “Pseudo-Matteo” (così chiamato per distinguerlo dal suo Vangelo canonico, scritto in latino e databile al VIII-IX secolo), che parla dell'infanzia di Cristo, nonché gli “Atti” e il “Martirio” che del Messia descrivono la predicazione. Quello di “Pubblicano”, il mestiere svolto da Matteo, era incentrato in una sorta di appaltato delle imposte, per il quale l’incaricato pagava agli occupanti romani una sorta di canone, in sostanza una tassa, che poi era estorta dall’addetto, per proprio conto, direttamente al popolo. Dipendente e collaboratore del Governo Imperiale Romano, il Pubblicano incassava le tasse degli ebrei per “girarle” agli occupanti e, per guadagnarci ancora di più, rincarava il prezzo a suo vantaggio. Di fatto era anche uno di quelli che oggi chiameremmo “strozzino”, per di più per conto degli occupanti invisi al Popolo di Dio. Sappiamo bene quali nefande ripercussioni possa avere una simile attività sulla povera gente. Le famiglie erano rovinate, ridotte sovente sul lastrico e, se qualcuno non era in grado di pagare l’importo preteso, era arrestato e poteva essere venduto come schiavo, così come i familiari. Di conseguenza, chi esercitava quest’attività era sgradito al popolo e per di più considerato un traditore, uno che si era messo dalla parte del nemico e un collaborazionista. Peggio ancora, i Pubblicani, giacché maneggiavano il denaro straniero, erano considerati “impuri”, con tutte le proibizioni legate al binomio puro-impuro da parte degli ebrei, facendone una sorta di “appestati” ai margini della società, associati ai peggiori peccatori in circolazione. L’ingresso di Matteo all’interno del gruppo d'apostoli che si stava delineando, non deve essere dunque stato indolore, così come l’inizio della vita in comune con gli altri prescelti. Levi, infatti, era guardato con un certo sospetto e cautela, sia dai diversi pescatori, che avevano sempre dovuto pagare altissime tasse per esercitare la loro professione, sia soprattutto per Simone il Cananeo, soprannominato “zelota” (ovvero adepto o simpatizzante di un'associazione politica e religiosa d’irriducibili sostenitori della legge e dell'indipendenza ebraica), vista l’avversione che nutriva per i romani. Tuttavia, proprio queste probabili tensioni iniziali stanno a dirci che Gesù non sceglie “quelli che vanno d’accordo fra loro”, né tanto meno i più bravi, anzi, è venuto proprio per “chiamare i peccatori, non i giusti”. Il vescovo Eusebio di Cesarea, vissuto nel III secolo, ci dice che Matteo avrebbe evangelizzato l’Etiopia, mentre altre tradizioni lo indicano come evangelizzatore della Frigia, regione dell’Anatolia vicina al mare Mediterraneo (oggi nella Turchia asiatica). Sarebbe morto martire, nel I secolo, in Etiopia, oppure a Hierapolis in Frigia, verosimilmente assassinato da un sicario mentre celebrava la Santa Messa. In seguito le sue reliquie sarebbero state trasportate prima a Paestum in Campania (Italia), dove in seguito andarono smarrite, Ritrovate sotto i Longobardi, furono portate il 6 maggio 954 nella vicina città di Salerno, dove sono onorate tuttora nella cripta della locale cattedrale. Di quest’ultima città campana Matteo è il patrono, oltre ad esserlo, forse non senza un pizzico d’ironia, dei banchieri, dei contabili, dei doganieri e della Guardia di Finanza. Matteo, il primo dei quattro evangelisti, seguito da Marco, Luca e Giovanni, fu simboleggiato nel cosiddetto “Uomo Alato” (o Angelo). Immagine: "San Matteo e l'angelo", altrimenti detta "L'ispirazione di San Matteo", pala d'altare ad olio su tela dipinta, nel 1602 circa, dal pittore milanese Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610). L'opera si trova nella Cappella Contarelli all'interno della chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma.
Roberto Moggi
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