San Gregorio Magno, papa

Oggi - 3 settembre 2024 - martedì della XXII settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa. Gregorius (Gregorio), questo il suo nome nella materna lingua latina, nacque quasi certamente a Roma, intorno al 540, figlio del senatore romano Gordiano che apparteneva alla nobile famiglia degli Anicii o Anici (“Gens Anicia”), la più eminente e ricca tra le famiglie senatoriali romane già dalla fine del IV secolo. Questa sua casata d’origine, per altro, è indicata dallo storico e politico Prudenzio (348-413) come la prima a professarsi apertamente cristiana ed è ritenuta la stessa da cui discese San Benedetto da Norcia (480-547), fondatore dell’ordine monastico che, da lui, prende il nome di “Benedettino”. Invece la madre Silvia (520-592), che diventerà poi santa, a parere di alcuni agiografi era nata nella stessa città da povera famiglia, ma secondo altri vantava nobili origini siciliane. Dopo aver ricevuto un’educazione di tutto rispetto adeguata al suo lignaggio, alla morte del padre entrò nell’amministrazione pubblica capitolina, ricoprendo, molto giovane, la prestigiosa carica di “Praefectus Urbi” (Prefetto della città). In questa veste è citato in un documento databile all'anno 573. A Roma ebbe modo di conoscere la spiritualità del già citato Benedetto da Norcia, di cui divenne grande e devoto ammiratore, oltre che biografo, tanto che, affascinato dal suo carisma volle imitarlo e decise di farsi anch’egli monaco Benedettino, trasformando i suoi possedimenti sul colle romano del Celio e in Sicilia in altrettanti monasteri, per dedicarsi quindi, con assiduità, alla spiritualità contemplativa e alla lettura della Bibbia. Gregorio, però, non poté dimorare a lungo nel suo monastero sul Celio, poiché il regnante papa Pelagio II (dal 579 al 590), di cui era divenuto il segretario, lo inviò quale legato (ambasciatore pontificio) alla corte imperiale di Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, dove ben presto si guadagnò la stima dell'imperatore Maurizio I (dal 582 al 602), di cui battezzò il figlio Teodosio. S’intrattenne sul posto per sei anni, facendo rientro a Roma nel 586. Al suo arrivo nella Città Eterna - narra la tradizione - mentre tornava al proprio convento, assistette al triste spettacolo della vendita come schiavi di un gruppo di giovani prigionieri pagani “angli” (inglesi), originari della Britannia (odierna Inghilterra), esposti al pubblico per essere ceduti al miglior offerente. Erano giovani di bell’aspetto, tanto che riferendosi a essi, esclamò rattristato: “… Non angli ma Angeli dovrebbero esser chiamati! …”. Da quel momento Gregorio custodì sempre nel suo cuore il vivissimo desiderio di convertire gli angli e i popoli di tutta la Britannia, aspettando solo il momento più favorevole per agire. Intanto, ad appena quattro anni dal rientro nell’Urbe, la sua fama era talmente grande che, il 3 settembre 590, alla morte di Pelagio II, fu eletto al Soglio Pontificio dietro l'entusiasmo del popolo e le insistenze del clero e del senato di Roma, assumendo il nome di Gregorio I. Proprio in quel periodo, a Roma si diffuse una terribile pestilenza, che produsse morte e desolazione. Per implorare l'aiuto divino, Gregorio invitò la popolazione terrorizzata a riunirsi in processione per tre giorni consecutivi, nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore. Volle Dio che di lì a poco l’epidemia cessasse, mentre cominciò a diffondersi la voce che, nell’ultimo giorno di preghiera, fosse apparso sulla Mole Adriana l'Arcangelo Michele, nell’atto di riporre la spada nel fodero, come per annunziare che le istanze dei fedeli, relative alla fine del contagio, erano state esaudite. Da allora, la tomba di Adriano mutò nome in quello di Castel Sant'Angelo e una statua dell'Arcangelo Gabriele fu posta sulla sua cima, dove si trova ancora oggi. Come pontefice, Gregorio si dimostrò uomo d’azione, pratico e intraprendente, tanto da essere soprannominato “L'ultimo dei romani”, nonostante fosse fisicamente esile e cagionevole di salute. Fu amministratore energico nelle questioni sociali e politiche, nel sostegno ai bisognosi e protettivo nelle questioni interne della Chiesa. Trattò con molti stati europei. Con il re dei Visigoti Recaredo di Spagna, convertitosi al cattolicesimo, Gregorio fu in continui amicali rapporti, come fu in eccellente relazione con i sovrani dei Franchi. Con l'aiuto di questi e della regina angla Brunchilde, riuscì a tradurre in realtà quello che era stato il suo sogno più antico e bello: la conversione della Britannia, che affidò al frate romano Agostino poi detto “di Canterbury” (534-604), priore del monastero romano di Sant'Andrea, che pure diventerà santo. La scelta di Gregorio fu giusta. Infatti, in meno di due anni, grazie alla tenace azione evangelizzatrice del frate Agostino, ben diecimila “angli”, compreso Edelberto re del Kent (uno dei regni della Britannia, vicino al canale della Manica), si convertirono a Cristo. Fu questo un grande successo di Gregorio. Egli si dedicò anche ai problemi dell'Italia, provata da alluvioni, carestie e pestilenze, amministrando la cosa pubblica con equità, supplendo all'incuria dei funzionari imperiali. Organizzò la difesa di Roma minacciata da Agilulfo, re dei Longobardi, con i quali poi riuscì a stabilire rapporti di buon vicinato e avviò la loro conversione. Ebbe cura dei vecchi acquedotti romani, che fece sempre restaurare e tenere in uso, favorì l'insediamento di coloni nei latifondi, eliminando ogni residuo di “Servitù della gleba”. Sempre in Italia, in Sardegna, riuscì ad allacciare amichevoli rapporti epistolari col re Ospitone della Barbagia, regione solitaria nel centro dell’isola, dissuadendo la popolazione dall'idolatria e dal paganesimo e convertendo Ospitone stesso al cristianesimo. Riorganizzò a fondo la Liturgia Romana, mettendo in ordine le fonti liturgiche anteriori, componendo nuovi testi e promuovendo quel tipo di canto tipicamente liturgico che, dal suo nome si chiama appunto “Gregoriano”. Ha lasciato un gran numero di opere e componimenti scritti: numerosi sermoni (dei quali quaranta sui vangeli sono riconosciuti autentici, ventidue su Ezechiele e due sul Cantico dei cantici); alcuni dialoghi (di cui il più famoso è quello sulla vita di San Benedetto da Norcia) e ottocentoquarantotto lettere, sopravissute nel suo "Registro papale delle lettere" (“Registrum Gregorii”). Questa collezione serve come inestimabile fonte primaria di studio su quegli anni e documenta ampiamente sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità con la Sacra Scrittura. A seguito delle notevoli quanto importanti opere compiute, Gregorio divenne noto con l’appellativo di “Magno” (in altre parole “Grande”, proprio per la sua grandezza). Infatti, si può giustamente dire che egli sia stato il primo pontefice a porre il papato sulla via della potenza, utilizzando anche il potere temporale della Chiesa, anche se, al tempo stesso, non dimenticò l'aspetto spirituale del proprio compito. Gregorio I morì a Roma il 12 marzo 604, dopo aver sofferto per vari anni di gotta, venendo sepolto nella Basilica di San Pietro. Per la sua grande opera letteraria gli fu conferito il titolo di dottore della Chiesa.
Immagine: "San Gregorio papa", olio su tela dipinto nel 1470 dal pittore siciliano Antonello da Messina (1425/1430-1479). L'opera si trova nella Galleria Regionale della Sicilia, presso Palazzo Abatellis, a Palermo.
Roberto Moggi
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