San Girolamo, sacerdote

Oggi - 30 settembre 2024 - lunedì della XXVI settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa. Sofronius Eusebius Hieronymus (Sofronio Eusebio Girolamo), questi i suoi tre nomi in latino, noto col solo nome di Girolamo, nacque nel 331, ma secondo altre fonti nel 342 o 347, a Stridone, un cosiddetto “oppido” (città fortificata) che gli studiosi non sono mai riusciti ad identificare e collocare con certezza. La maggioranza degli agiografi, tuttavia, ritiene ormai di poterlo riconoscere in un centro che, fino alla sua distruzione (posteriore al 376, probabilmente nel 378 in concomitanza con l'invasione gotica e la battaglia di Adrianopoli), si trovava al punto d’incontro tra i confini delle province romane di Dalmazia e di Pannonia (all’incirca nella parte centro-settentrionale della Penisola Balcanica, forse nell’odierna Croazia). Erede di una famiglia patrizia probabilmente pagana, era un giovane di natura irrequieta. Dopo i primi impegni scolastici effettuati nella sua città, verso il 360 si trasferì a Roma per approfondire gli studi, per i quali era molto portato. Nella capitale dell’Impero frequentò, in compagnia dei suoi concittadini e amici d’infanzia Bonoso, Rufino ed Eliodoro, la famosa scuola di Elio Donato, noto commentatore del commediografo Terenzio e del poeta Virgilio, lasciandosi sedurre dallo studio dei classici, per i quali nutriva grande venerazione. Nell’Urbe cominciò a frequentare assiduamente la comunità cristiana e si convertì, tanto che, nel 366, ricevette il battesimo. Dopo tale data, si recò prima a Treviri, centro molto importante dell’Impero nelle province della Germania (oggi nella parte sud-occidentale della Repubblica Tedesca), dove si infervorò per la vita spirituale. In seguito si recò ad Aquileia nel nord-est dell’Italia, dove, assieme a Rufino ed Eliodoro, frequentò una delle primordiali comunità cristiane di vita ascetica. Qui, con Rufino, si dedicò alla lettura delle opere del vescovo e teologo Ilario, detto “di Poitiers” (315-368), futuro santo, restandone profondamente colpito, tanto da maturare definitivamente la scelta di tale tipo di vita religiosa. Da quel momento, tre periodi segnarono particolarmente la sua vita. Innanzitutto quello della sua permanenza in Oriente, nella zona della Siria, dal 372 al 381 circa. Invero, verso il 372, carico di molti libri classici, si recò ad Antiochia di Siria ove fu ospite di Evagrio Pontico (345-399), monaco, scrittore e asceta greco. Quindi passò almeno cinque anni nel deserto di Calcide a sud di Aleppo, nello stesso Paese. In seguito, su consiglio di Evagrio, accettò d’essere ordinato presbitero, ministero che tuttavia non volle mai esercitare. Scrisse in quel tempo la “Vita Pauli monachi” (“Vita di Paolo monaco”, cioè eremita), gettando le basi dell’eremitismo occidentale. Il secondo fu quello della sua permanenza a Costantinopoli, dal 381 circa, dove ebbe la grazia di avere per maestro il vescovo e teologo greco Gregorio di Nazianzo o Nazianzeno (329-390), futuro santo, dal quale fu avviato allo studio dell’opera del filosofo, teologo e scrittore Origene, avendo modo di mostrare la sua vastissima coltura, che comprendeva la perfetta conoscenza del greco, del latino, dell’ebraico, del siriaco e del caldaico, tanto che tradusse senza sforzo la “Chronica” di Eusebio di Cesarea e le quattordici omelie origeniane su Geremia ed Ezechiele. Il terzo periodo, infine, fu quello trascorso in Terra Santa. La fama della sua poliedrica cultura era talmente grande che papa Damaso gli chiese di tradurre in latino il Vecchio Testamento e di rivedere la traduzione del Nuovo. Egli accettò l’arduo compito e, per riuscire meglio, stimò opportuno fissare la propria dimora nella Giudea. Si stabili quindi a Betlemme, in una grotta presso quella dove nacque il Signore, e qui consacrò tutta la vita e la sua vasta erudizione alla traduzione ed al commento delle Sacre Scritture. Tentato, per l’immane fatica, di desistere dall’impresa e abbandonare la solitudine in cui viveva per meglio applicarsi, riuscì a resistere mediante prolungati digiuni e assidua preghiera. Superate difficoltà d’ogni genere e sopportate con pazienza le critiche di chi lo avversava, dopo un lungo ed estenuante lavoro, terminò finalmente l’opera monumentale della traduzione in latino della Sacra Scrittura. I dotti del tempo la stimarono un prodigio, e ancora oggi la traduzione di San Girolamo è quella ufficiale della Chiesa. Tuttavia, l’opera letteraria di Girolamo non aveva limiti. Attorno al 392-393, sempre a Betlemme, completò anche quello che viene considerato forse il suo più grande lavoro: “De viris illustribus” (“Sugli uomini illustri”), un'opera composta in latino. Esso contiene brevi biografie su 135 personaggi del Nuovo Testamento e dei primi secoli dell'era cristiana. Più precisamente consiste di un prologo e 135 capitoli, uno per biografia. Girolamo stesso è il soggetto dell'ultimo capitolo. Molte biografie prendono come loro soggetto figure importanti della storia del cristianesimo e prestano particolare attenzione alle loro carriere di scrittori. Il lavoro è stato scritto come opera apologetica per provare che la Chiesa aveva prodotto uomini eruditi. E’ dedicato a Nummio Emiliano Destro (figlio di Paciano di Barcellona, che viene encomiato nell’opera), che servì l’Imperatore Teodosio I come “Comes rerum privata rum” (colui che si occupava di gestire le proprietà dell'Imperatore) e Onorio come prefetto del pretorio. Combatté vigorosamente tutti quelli che snaturavano il dogma o spargevano scissioni nel gregge di Cristo, come attestano le sue lettere immortali e pose tutta la sua vasta erudizione a servizio della Sacra Scrittura. Benché infermo e ridotto a pelle e ossa, non risparmiò mortificazione alcuna al suo corpo, ripetendo che intendeva consumare il sacrificio della sua vita sulla vetta del Golgota. Si spense il 30 settembre 419 o 420, a Betlemme di Giudea, in Terra Santa, dopo una lunga vita di lotta, di lavoro e di preghiere. La Chiesa riconobbe in lui uno dei più fermi e sicuri testimoni della verità e, oltre a riconoscerlo santo, ornò la sua fronte con l’aureola dei Dottori.
Immagine: "San Girolamo scrivente", olio su tela realizzato, tra il 1605 ed il 1606, dal pittore milanese Michelangelo Merisi, detto Caravaggio (1571-1610). L'opera si trova nella Galleria Borghese di Roma.
Roberto Moggi
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