San Giovanni “Crisòstomo”, vescovo

Oggi - 13 settembre 2024 - venerdì della XXIII settimana del tempo ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di San Giovanni “Crisòstomo”, vescovo e dottore della Chiesa. Ioannis o Joannes (Giovanni) - questo il suo nome rispettivamente in greco (traslitterato nel nostro alfabeto) e in latino - è universalmente noto come “Crisòstomo”, aggettivo derivante dal greco, attraverso l’unione delle parole traslitterate nell’alfabeto latino “chysòs” (oro) e “stoma” (bocca), significante “dalla bocca d’oro” o più semplicemente “Bocca d’oro”, soprannome che si riferisce alla sua eccelsa eloquenza, finemente espressiva e convincente, che si attribuiva nell’antica Grecia ai più grandi oratori. Egli nacque verosimilmente tra il 344 e il 354 circa (anche se alcune fonti sostengono nel 347) ad Antiochia di Siria, capoluogo dell’omonima provincia romana (oggi Antakya, nella parte centro-meridionale dell’Anatolia, corrispondente alla Turchia asiatica, in prossimità del confine con l’odierna Siria). La sua famiglia d’origine, cristiana e benestante, era formata dal padre Secondo, alto ufficiale dell’esercito imperiale in Siria, dalla madre Antusa, e da una sorella maggiore. Suo padre morì quando lui era ancora in tenera età, lasciando alla giovanissima madre il difficile compito di portare avanti il nucleo familiare. Nel periodo della sua infanzia e adolescenza, come durante tutto il IV secolo, nella sua città natale - terza per importanza della parte orientale dell'Impero, dopo Costantinopoli e Alessandria d’Egitto - occorrevano profondi contrasti tra pagani, manichei, ariani, gnostici apollinari, ebrei e tra gli stessi cristiani, divisi in due fazioni che seguivano i due vescovi rivali Melezio e Paolino. Giovanni intraprese gli studi di retorica nella stessa Antiochia, sotto la direzione del celebre maestro Libanio (314-394), filosofo e oratore siro di lingua e cultura greca, pagano educato secondo la scuola sofistica. Pare che questi lo stimasse a tal punto da rispondere, a chiunque gli chiedesse chi avesse voluto come suo successore, che avrebbe senz’altro gradito Giovanni «… Se i cristiani non glielo avessero “rubato” …». Dopo aver ricevuto il battesimo, Giovanni frequentò, sempre in patria, la ristretta cerchia di Diodoro, comunemente indicato come “di Tarso” (330 circa-394), teologo greco e futuro vescovo di Tarso, città non lontana da Antiochia, sulla costa mediterranea dell’Anatolia (oggi Tarsus nella parte centro-meridionale della Turchia asiatica). Nel gruppo di discepoli che si radunavano attorno a costui, imparò a leggere le Scritture secondo il metodo cosiddetto “antiocheno”, attento alla spiegazione letterale dei testi, compiendo i primi passi lungo quel cammino spirituale che lo avrebbe condotto a lasciare la città e a vivere alcuni anni in solitudine eremitica sul monte Silpio, nei pressi del centro abitato. Nel 381, rientrato in città, fu ordinato diacono dal vescovo Melezio (morto nel 381) e, nel 386, cinque anni più tardi, presbitero dal nuovo vescovo Flaviano (fine del IV secolo), che gli fu maestro non solo di eloquenza, ma anche di carità e saldezza nella fede. Furono anni d’intensa predicazione, nei quali commentava le Scritture secondo i principi “esegetici” (l'interpretazione critica dei testi sacri finalizzata alla comprensione del loro significato) della scuola antiochena, aliena da ogni allegorismo e sostanzialmente fedele alla lettera del testo biblico. La sua predicazione si traduceva sovente in esortazione morale, ora prendendo di mira la passione per gli spettacoli che eccitava i cristiani della sua città, ora la loro rilassatezza nei costumi. Con grande zelo esortava a radicare la propria vita di credenti nella conoscenza delle Scritture, a vivere un'intensa vita spirituale senza ritenere che essa fosse riservata soltanto ai monaci (come allora si tendeva a fare) e a praticare la carità sollecitamente. La sua eloquenza, che conquistava a Cristo i cuori di tutti, divenne talmente fine che ben presto si cominciò a indicarlo col già visto soprannome di “Crisòstomo”. Al riguardo, afferma lo storico ecclesiastico Socrate, vissuto verso la fine del IV secolo: «… Il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava …» (Storia ecclesiastica 6, 4). La sua fama cresceva ovunque. Profonde e incisive, perfettamente in sintonia con il suo pseudonimo, erano le parole che proferiva, come quando, riguardo alla “perfezione” della vita cristiana, asseriva: «… È un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri potrebbero fare a meno di preoccuparsene ... Laici e monaci devono giungere a un'identica perfezione …» (Dal trattato: “Contro gli oppositori della vita monastica” 3, 14). Nel 397 Giovanni fu chiamato a Costantinopoli, capitale del da poco nato Impero Romano d’Oriente (395), quale successore del Patriarca Nettario, morto lo stesso anno. Qui, quale nuovo Pastore, si dedicò con grande zelo alla riforma della Chiesa locale, combattendo vizi e peccati d’ una parte dissoluta del clero, deponendo vescovi simoniaci, combattendo l'usanza della coabitazione di preti e diaconesse, predicando contro l'accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi, accusando l'arroganza dei potenti e destinando gran parte dei beni ecclesiastici a opere di carità. Contemporaneamente, anche a Costantinopoli continuò il suo ministero di predicatore della Parola e di operatore di pace, estendendo la sua opera di evangelizzazione ai goti e ai fenici. Intransigente quando la fede era minacciata, predicava al tempo stesso l'amore per il peccatore e per il nemico, tanto da procurarsi molti amici e altrettanti nemici. Amato dai poveri come un padre, fu osteggiato dai potenti, che vedevano in lui una temibile minaccia per i loro privilegi. L’Imperatore d’Oriente Arcadio (dal 395 al 408), nel 403, sobillato dal Patriarca di Alessandria d’Egitto, Teofilo, indisse un processo contro Giovanni e lo fece condannare all'esilio e deportare, anche se la pena fu revocata dopo poco, permettendogli di rientrare in diocesi. La sua tranquillità, tuttavia, non durò che pochi mesi. Infatti, durante la celebrazione della Pasqua del 404, le guardie imperiali fecero irruzione nella cattedrale cittadina, impedendogli di continuare la messa e provocando uno spargimento di sangue al quale seguirono disordini per diversi giorni, ad opera dei suoi fedeli. Poco dopo la festa di Pentecoste, Giovanni fu arrestato e nuovamente condannato all'esilio. Per evitare mali ulteriori, il Patriarca lasciò la casa episcopale uscendo da una porta secondaria, si congedò dai vescovi riuniti in sacrestia e fece chiamare la diaconessa Olimpia e le sue compagne, che conducevano vita comunitaria a servizio della Chiesa, abitando nella casa accanto all’episcopato. Secoli dopo, l’architetto e scenografo italiano del Rinascimento Andrea Palladio (1508-1580), cittadino della Repubblica di Venezia, scriverà a questo proposito: «… Giovanni, commosso, si accomiatò da queste sue figlie spirituali dicendo: “Venite, figlie, ascoltatemi. Per me è giunta la fine, lo vedo. Ho terminato la corsa e forse non vedrete più il mio volto” …» (Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, 10). Questa volta, Giovanni fece appello al Papa Sant’Innocenzo I (dal 401 al 417), che ne riconobbe l’innocenza, ma ciò nonostante fu costretto a lasciare Costantinopoli. Alla sua partenza vi furono ancora tumulti in città. Venne appiccato il fuoco a una chiesa adiacente il palazzo del senato e questo fornì un pretesto alle autorità imperiali per arrestare e perseguitare anche i suoi seguaci. Giovanni fu confinato a Cucuso, una piccola città dell'Armenia, ma anche in questo luogo sperduto era raggiunto dalle manifestazioni di affetto dei suoi fedeli. Così i suoi nemici provvidero a farlo partire per una sede ancora più lontana. Avrebbe dovuto raggiungere Pizio, sul Ponto, nel nord della penisola anatolica, ma il 14 settembre 407 morì a Comana durante il viaggio, stremato dalle marce forzate a cui era stato sottoposto brutalmente. Nelle sue parole: «… Gloria a Dio in tutto: non smetterò di ripeterlo, sempre dinanzi a tutto quello che mi accade! …» (Dalle “Lettere a Olimpia”, 4), troviamo condensata la sua testimonianza. Anche in mezzo alle molte tribolazioni che occorre attraversare per entrare nel Regno dei Cieli (cf. At 14, 22), Giovanni “Crisòstomo” ci insegna a cogliere la luce della Risurrezione che già si sprigiona dalla croce e a portare la stessa nella luce del Cristo Risorto, in modo tale che anche ogni discepolo possa proclamare con gioia: “Gloria a Dio in tutto!”. Nel 438, l’Imperatore d’Oriente Teodosio II (401-450) fece riportare le sue spoglie a Costantinopoli, dove venne sepolto nella Chiesa dei Santi Apostoli. Successivamente trasportate a Roma, esse furono collocate nella Basilica Vaticana, dove sono tuttora conservate. Nel novembre 2004, Papa San Giovanni Paolo II fece dono al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I di una parte di queste. Papa Pio V, nel 1567, lo proclamò dottore della Chiesa e Papa Leone XIII il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche. Papa San Giovanni XXIII pose il Concilio Vaticano II sotto la sua protezione. Il Martirologio Romano, come pure i sinassari orientali, ha iscritto la festa di Giovanni al 27 gennaio, anniversario del ritorno del corpo a Costantinopoli. Attualmente, però, nel calendario romano la sua festa è celebrata il 13 settembre.
Immagine: "San Giovanni Crisòstomo", antico mosaico in pietra lavorata e oro, realizzato orientativamente tra il 1000 ed il 1025 da ignoto autore di ambito bizantino . L'opera si trova all'interno della ex basilica cristiana di Santa Sofia, attualmente Grande Moschea Benedetta della Santa Sofia, a Costantinopoli (l'odierna Istanbul in Turchia).
Roberto Moggi
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