San Gennà, miéttece ’a mana tója!

San Gennaro, aiutaci tu. Invocazione d'aiuto durante la processione risalente all'eruzione del Vesuvio del 1631, e per miracolo la lava si fermò alle porte della città.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Più che un proverbio, oggi, una vera e propria invocazione per ottenere la protezione di uno dei Santi più famosi, che a Napoli annovera la maggior parte dei devoti, con il giorno che è trascorso nell'attesa che le reliquie del Santo producano il prodigio tanto desiderato dai credenti.
Il martirio - secondo la tradizione - avvenne il 19 settembre 305 presso la solfatara di Puteoli (Pozzuoli), unitamente a quello di Sossio. Comunque, anche per la data di martirio, nulla appare certo. In quell’occasione, una pia donna cristiana raccolse il suo sangue in due ampolle, delle quali purtroppo si persero le tracce. La salma fu inumata nei pressi, a Marcianum (Marciano), villaggio rurale di proprietà della nobile “Gens Marcia”, potente a Napoli e a Pozzuoli. Nel 431, poco più di un secolo dopo, il Vescovo di Napoli San Giovanni I (morto il successivo anno 432), fece trasferire i resti mortali di Gennaro dall’agro Marciano al cimitero extraurbano che divenne in seguito il maggiore della comunità cristiana di Napoli, una catacomba che prese poi il nome dello stesso martire, alle pendici della collinetta di Capodimonte. In occasione della traslazione delle reliquie, una devota presentò al Vescovo due ampolle contenenti sangue coagulato, affermando che quest’ultimo apparteneva proprio a Gennaro e che si trattava delle due boccette di cui si era persa ogni traccia per tanto tempo, prodigiosamente quanto misteriosamente ritrovate. Come per provare e attestare la sincerità della donna, il sangue si liquefece all'improvviso sotto gli occhi del vescovo e della folla riunita ad assistere alla cerimonia di traslazione, con un prodigio che fece gridare tutti al miracolo. Da questo primo fenomeno soprannaturale, si ampliò a dismisura la fama del Vescovo di Benevento e le due bottigliette con il loro prezioso contenuto ematico furono riconosciute sue reliquie e furono prese in carico dalla diocesi partenopea. Nell’831, le ossa di Gennaro furono trafugate dai Longobardi di Benevento, capeggiati dal principe Sicone (dall’817 all’832) e trasportate nella città sannita. Qui il governatore della città, affinché le reliquie fossero degnamente custodite, curò che fossero deposte in una chiesa appositamente costruita. Verso l’860 o 861, circa trenta anni dopo, il re normanno di Sicilia Guglielmo I “il Malo” (dall’1154 all’1166), dispose che i sacri resti fossero tutti trasferiti nel santuario di Montevergine presso Avellino (Campania). Fu qui che nel 1480, durante l'esecuzione di lavori nel santuario, tra le altre reliquie rinvenute sotto l'altare maggiore e contrassegnate da iscrizioni indicanti i nomi dei santi di appartenenza, fu ritrovata un'urna contenente alcune ossa attribuite, secondo l'iscrizione incisa su una lamina plumbea a essa attaccata, a Gennaro. Nel 1497, papa Alessandro VI (dal 1492 al 1503) concesse all'arcivescovo di Napoli, Alessandro Carafa, di riportare nella città partenopea le sue ossa e, affinché i resti fossero custoditi degnamente, il cardinale Oliviero Carafa, fratello del primo, tra la fine del 1400 e l'inizio del 1500 curò la realizzazione di una cripta ubicata sotto l'altare maggiore del duomo di Napoli. In essa è visibile, custodita in un reliquiario, un vaso in terracotta recante un'iscrizione in latino, la quale indica che in esso sono contenute le ossa di Gennaro, vescovo di Benevento. Il suo cranio fu invece custodito in un prezioso busto-reliquiario, artistica opera di orafi provenzali, che il re di Napoli Carlo d'Angiò aveva donato al duomo partenopeo nel 1305. Su di esso sono incastonate le famose ampolline, nella cui più grande si può vedere la celebre reliquia del suo sangue raggrumato. Il 17 agosto 1389, circa sei secoli fa, il sangue di Gennaro passò dallo stato solido a quello liquido per la seconda volta e da allora si diffuse a macchia d’olio l’attenzione per il prodigioso miracolo. Questo prodigio, da allora, si ripete ogni anno in una delle tre date legate al vescovo di Benevento: la vigilia della prima domenica di maggio (data della traslazione); il 16 dicembre (anniversario dell'eruzione vesuviana del 1631, durante la quale i napoletani lo invocarono a loro protezione) e il 19 settembre (data del martirio). L’inspiegabile evento, si ripete anche nella pietra porosa impregnata del suo sangue (che secondo la tradizione sarebbe quella dove Gennaro posò il capo durante la sua decapitazione), custodita nella chiesa di Pozzuoli. Il fenomeno della liquefazione del sangue di San Gennaro non ha mai avuto una spiegazione scientifica e la scienza stessa lo definisce evento prodigioso. Per la credenza popolare, il non verificarsi del miracolo preannunzia calamità, disastri e comunque eventi negativi e luttuosi per tutta la città di Napoli. Nelle cronache troviamo, in effetti, eventi negativi della storia partenopea legati alla mancata liquefazione. Basti menzionare quella non avvenuta nel 1631, coincidente con una delle più tremende eruzioni del Vesuvio; nel 1647, prima e durante la sanguinosa rivolta di Masaniello e ancora nel 1943, quando scoppiò a Napoli l'insurrezione popolare detta delle “Quattro giornate”. Affidandosi all'intercessione del loro patrono San Gennaro, i napoletani sono stati salvati dalla fame, dalla peste, dalla lava del Vesuvio e dai terremoti, basti citare, da ultimo, l’evento del 28 febbraio 1979, mercoledì delle Ceneri, quando, non appena l'arcivescovo cardinale Corrado Ursi fece esporre, in linea del tutto eccezionale, le sacre reliquie, cessarono i casi di virosi respiratoria molto diffusa tra i bambini, che procurò diverse vittime. Così, ogni anno, il 19 settembre, il popolo dei devoti spera e prega che il sangue di San Gennaro torni a sciogliersi nella cattedrale di Napoli, segno che il patrono è tornato a rinnovare con la città il plurisecolare tacito patto di protezione.
Testo tratto dalla storia del Santo redatta da Roberto Moggi:
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