Comme ’a rúggia cunzuma ’o ffierro, accussí ’a ’mmíria cunzuma ’o ’mmeriuso

Come la ruggine consuma il ferro così l‘invidia consuma l’invidioso.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Riguardo alla forza che può avere un sentimento, per il male o il bene che produce, con la similitudine che vi si accompagna, rappresentata dall'elemento che sembra tanto innocuo, rispetto agli effetti generati, con la frase "Gutta cavat lapidem" (la goccia scava la pietra), così si attribuisce all'invidia la forza della corrosione deleteria che la ruggine può avere su un metallo, con tutta la durezza che esso possa avere, ovvero un'integrità dell'animo che spesso manca a chi poco la coltiva.
Con tale similitudine, il proverbio ci rammenta un difetto diffuso, dal quale il guardarsi è imperativo, se si desidera osservare un'etica morale dignitosa.
Recita al riguardo un altro detto che abbiamo trovato in questo elenco di proverbi:
"’O mmeriuso chiagne cchiú d’ ’o bbene ’e ll’ate ca d’ ’o mmale suojo." ovvero L’invidioso piange più del bene altrui che del proprio male.
Che sembra attribuire almeno un pregio, a tale sentimento, come una panacea che fa dimenticare i propri mali a chi lo prova.
L'invidia è un difetto molto comune, purtroppo, per la moltitudine di portatori insani affetti da tale malvagio sentimento, che si accompagna ad altri, come la cattiveria e l'inettitudine, ad esempio, meritando che vi sia aggiunto anche quello della stupidità.
L'invidioso, del tutto incapace della laboriosità, dello spirito di sacrificio e della bravura nel conseguire qualsiasi risultato, si rode dalla bile osservando solo l'esito finale e guardandosi dal valutare e tanto meno desiderare d'impegnarsi, nella fatica fatta per conseguirlo che, nel migliore dei casi, traduce in una fortuna sfacciata, se non, molto più facilmente, in losche manovre, perché, tra le sue attitudini, c'è quella di attribuire all'invidiato le negatività che ha dentro di sé.
Siamo su un social e non ci occorre andare oltre per imbatterci in una schiera di esserucoli che sputano veleno su qualsiasi personaggio di una certa rilevanza, del tutto incapaci di valutare, nella loro giusta dimensione, qualità che restano imperscrutabili alla loro bassezza morale e intellettuale.
Un momento di abbandono dei giusti sentimenti, per i travagli che la vita offre, può indurre chiunque a un sentimento d'invidia momentaneo, nei riguardi chi non versa nelle sue stesse cattive acque.
Ma la persona retta, che si è lasciata prendere da tale sentimento, in un momento di defaillance caratteriale, non tarda a ravvedersene, ben sapendo quanto potrebbe pentirsi e vergognarsi dell'impulso cattivo che ha provato, scoprendo magari che quello che invidiava ha una croce più tremenda della sua.
Infatti spesso l'invidiato ha una croce più grande di quella dell'invidioso, sempre che il secondo poi ce l'abbia una valida ragione per lamentarsi, ma che fa caso solo all'esteriorità di ciò che l'invidiato ha conseguito, al fatto compiuto, ma non al lavoro e ai sacrifici affrontati per ottenerlo.
Così che al riguardo, ben diceva il filosofo greco antico Eraclito, uno dei maggiori pensatori presocratici:
"La nostra invidia dura sempre più a lungo della felicità di quelli che invidiamo."
Perché l'invidia, per molti, è come una lente deformante, che rende sempre attraente lo scenario in cui si muove la persona oggetto dell'invidia, facendo ignorare al bilioso anche i problemi più che evidenti nei quali può trovarsi invischiato l'invidiato, quando non ci sia la variante dovuta alla malvagità, che fa provare a una persona malevola un perverso piacere che la consola, nell'osservare le disgrazie che affliggono chi invidia.
Un altro proverbio che qui ci fu proposto, riguardo alla poca fiducia da concedere ai malfidati frequentati, recita:
Giuda pe trenta denare se vennètte a Ggesù.
Con l'interrogativo che fa sorgere, riguardo al tema presentato: quanto il tradimento fu dovuto all'avidità, oppure all'invidia verso la grandezza rappresentata da Gesù?
E, sempre in tema, consideriamo come tale impulso non sia solo provato, visto che c'è chi si industria a farlo sorgere negli altri, con il piacere e la consolazione di poter affermare:
È meglio essere invidiati che compatiti!
Ed esibire quindi, con tutta la boria che può metterci, le ricchezze e gli agi che si può permettere, dal Suv super accessoriato, all'orologio da migliaia di euro, a tutta la paccottiglia di valore che può mettersi addosso e a tutti i beni di cui si può non solo circondare, ma ostentare.
Non ci facciamo coinvolgere, sia nella vita reale, che nei social, da chi inveisce con acredine e livore verso quelle che sono definite le caste dei privilegiati della società, perché che se si trovasse al posto di chi rabbiosamente critica, se non è più che sicuro, lo è quasi, che si comporterebbe ancora peggio.
Ci pensa poi la storia a ricordarci come chi si è ribellato a un potere oppressivo, in nome della libertà da dare al popolo, è quasi sempre stato spinto dall'invidia del potere e se è riuscito ad impossessarsene, la prima cosa che ha dimenticato è stata proprio la libertà che proclamava ai quattro venti, col popolo che ha continuato a conoscerla per sentito dire.
Per poter vivere in modo retto e dignitoso, alla luce della miglior etica morale, atteniamoci alla figura del saggio che assiste con serenità e disinteresse al successo altrui, con l'augurio che gli duri a lungo, ben sapendo come tutto è effimero e il bene di oggi può diventare il male di domani, ancora più sofferto da chi precipita dalle stelle del benessere alle stalle di una tragica indigenza.
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