E’ sempre meglio che la moglie conduca una vita ritirata.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Un
proverbio che ci rammenta come da tempi antichi a quelli più recenti,
la donna sia stata costretta a un isolamento e non rispettata come
persona libera di esercitare i suoi diritti.
Una tradizione che parte da lontano e ci ricorda com'era organizzata l'abitazione
nella città stato definita polis ateniese, con il gineceo, che era la
parte dell'abitazione riservata alle donne, per lo più situata nella
zona più interna della casa, o ai piani superiori; comunque nettamente
separata dall'appartamento degli uomini.
In
tale luogo dell'abitazione, la donna svolgeva le funzioni domestiche
che la società le assegnava: filare, tessere, organizzare il lavoro
delle schiave, organizzare cerimonie famigliari e crescere i propri
figli.
Nello scenario
rappresentato dall'Antica Grecia, le leggi, la politica, la cultura
erano materia degli uomini, mentre le donne erano relegate al ruolo
passivo e domestico che prevedeva la totale obbedienza al padre e,
successivamente, al marito. La donna era priva di gran parte dei diritti
riconosciuti ai cittadini adulti e liberi.
Con
un paradosso prodotto dalla visuale che tra gli uomini imperava, così
che di contro alla donne per bene che in casa erano relegate, si
contrapponevano almeno alcune etère, come erano definite dai greci le
cortigiane, che non erano altro che donne di piacere, delle quali
approfittavano gli uomini, per saggiare un po' di vita libertina, prima
del matrimonio, che non rappresentava altro che un dovere e non era
certo considerato con la visuale odierna.
Un
paradosso, come già accennato, quello rappresentato dalle etère, perché
in un regime di schiavitù, al quale erano sottoposte in maggior parte
le meretrici, alcune di esse, vuoi perché straniere, o perché
disponevano di capitali propri, assurgevano a ruoli, che le donne oneste
nemmeno si sognavano, accompagnandosi con i personaggi di spicco della
società e, una fra le tante, come esempio, fu la famosa Frine, che in
quanto donna libera e meteca (straniera), poteva arricchirsi e diventare
famosa, possibilità di cui si avvalse quando, tra il 364 e il 363 a.C.,
iniziò una relazione con lo scultore Prassitele, secondo gli antichi di
natura amorosa, ma forse solo "professionale". Un personaggio del quale
è restato famoso il processo che le fu intentato e dal quale ne uscì
indenne grazie alla sua bellezza.
Faceva
eccezione l'antico Egitto, e i documenti archeologici attestano che le
donne egizie godevano degli stessi diritti degli uomini,
indipendentemente dal loro stato civile.
Un
privilegio che è venuto meno con l'Islam e infatti, un altro esempio
sulla storia delle donne sottoposte all'autorità maschile, lo troviamo
nell'harem islamico, nel quale, in contrapposizione al gineceo greco,
non è solo una moglie che vi regna, ma un insieme di donne, tra mogli e
concubine e che veniva sorvegliato dagli eunuchi.
La parola harem deriva dal termine arabo ḥarīm, ovvero "un posto sacro e inviolabile", o "membri femminili della famiglia"
Nell'antica
società romana, le donne, insieme ai figli e agli schiavi, facevano
parte delle proprietà del pater familias, che aveva diritto di vita e di
morte sui componenti familiari.
Nè
cambia molto la situazione nel Medioevo, con le donne considerate
creature da proteggere, private della libertà di pensiero e incapaci di
compiere lavori da uomo perché troppo deboli; adatte soltanto a
prendersi cura dei figli e della casa, costrette a stare tutti i giorni
dentro quattro mura.
Il
Rinascimento italiano fu un periodo di timido progresso, per la
condizione delle donne della classe media e alta, mentre per la
stragrande maggioranza di esponenti del genere femminile, la vita era
molto difficile e offriva poche opportunità di miglioramento,
Fino
al Settecento le donne erano considerate degli “uomini inferiori”. Con
l'avvento di tale periodo, questa concezione cambia, anche se in un modo
per cui la parità tra i sessi era ancora ben lontana. Gli illuministi
infatti criticarono le disuguaglianze e la tradizione, ma queste
critiche non interessarono il ruolo della donna.
Risalta,
a fine 700, la figura di Olympe de Gouges (1748-1793): ispirata dagli
ideali di fraternità, eguaglianza e libertà, risalenti al clima della
Rivoluzione, che fu la pioniera in assoluto e promotrice della prima
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, i cui affermò
che la donna, come aveva "il diritto di salire al patibolo" a causa
delle sue opinioni, aveva anche quello di "salire alla tribuna", ovvero
di godere degli stessi diritti attribuiti agli uomini. Fu presa in
parola solo riguardo all'uguaglianza nelle condanne e ghigliottinata nel
1793. Un fatto che la dice lunga su come erano interpretati dagli
uomini i citati ideali della rivoluzione.
Nell'Ottocento
avviene un certo cambiamento, almeno in alcuni luoghi, come in Francia,
in ambiente borghese, con le donne che collaboravano con i mariti
commercianti e negozianti e si dedicavano poco alla casa, che era
affidata alle domestiche. Con la rivoluzione industriale le donne
iniziano a lavorare come operaie fuori casa, mentre quelle borghesi
ripiegano nella conduzione famigliare e, quanto a professioni, si
barcamenano tra quella d'insegnante, o di domestica, né è loro
riconosciuto il diritto di avere propri conti correnti o libretti di
risparmio.
La nascita
ufficiale del movimento femminista, avviene nel 1848, anno dello storico
Congresso sui diritti delle donne, a Seneca Falls (New York), nel quale
fu chiesta la cittadinanza politica per i "negri" (all'epoca, la parola
era questa) e per le donne, con temi che si intrecciavano, dalla
questione femminile, all'antischiavismo.
Una
vera e propria rivoluzione avviene nel primo conflitto mondiale del
1915-18, con le donne chiamate ad occupare posti di lavoro ritenuti
prettamente maschili, per guidare i tram, oppure per distribuire la
posta, entrando negli organici delle fabbriche come operaie
specializzate.
Poi la
marcia indietro, a fine conflitto, che le rimanda a casa per assegnare i
posti di lavoro ai reduci e il fascismo che le relega a fattrici, con
tanto di encomi per quelle che si distinguevano per il numero dei figli.
Il
secondo conflitto le richiama fuori casa per sostituire gli uomini
anche in lavori manuali e, specialmente al nord, molte di loro impiegate
come staffette partigiane.
È
soltanto nel 1945, col decreto legislativo luogotenenziale 23 del 1º
febbraio, che il governo del Regno d'Italia introdusse il suffragio
femminile, così che le donne poterono partecipare alle elezioni
amministrative del 1946, che si tennero a partire dal mese di marzo.
Ma
malgrado i movimenti femministi della fine degli anni sessanta e i
diritti riconosciuti alle donne di essere arruolate anche tra i tutori
dell'ordine e nelle forze armate, il proverbio presentato, che non
avrebbe più modo di essere sia citato che osservato, ritengo che in
alcuni luoghi del nostro paese, continui a essere tenuto in
considerazione da uomini che vedono l'uguaglianza di genere come una
perdita di autorità e di potere, alla quale stentano ad adeguarsi.
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