Addó nun c’è remmedio, pacienza!

Quando non c’è più nulla da fare, bisogna rassegnarsi.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Per quanto un ottimista sia portato ad affermare che a tutto c'è rimedio, con chi vi aggiunge "tranne che alla morte", nel porre un limite anche a tale convinzione, si dimostra il proverbio più che accomodante nell'esortare all'arrendevolezza verso le avversità che non si possono evitare e tanto meno migliorare.
Senza contare poi e dicendocelo tra noi, che quando diciamo che a tutto c'è rimedio, lo diciamo soltanto riguardo ai mali altrui, che se diventassero nostri, assumerebbero ben tutt'altro aspetto.
La parola rimedio deriva dal latino remedium, il cui tema mederi significa medicare, curare. Una parola usata sia per sostanze medicinali e curative, che per soluzioni da prendere per risolvere, migliorare, o attenuare la gravità delle circostanze in cui si incorre.
Rispetto a ciò che può mostrarsi rimediabile, o il contrario, ci imbattiamo in un'allocuzione del gesuita, scrittore e filosofo spagnolo Baltasar Gracián y Morales, che si legge nella sua opera "Oracolo manuale e arte della prudenza":
"Irrimediabili sono i guai della stoltezza, giacché, siccome gli ignoranti non si riconoscono per tali, non sanno neppur cercare quel che manca loro."
Frase nella quale intravediamo il mettere a pari un'incapacità peculiare di giudizio, dovuta a una stupidità congenita, con l'ignorare le cognizioni che ci permettano di esprimerlo, ovvero un fenomeno che riguarda anche una persona intelligente, a prescindere dal fatto che l'autore eguaglia la stoltezza all'ignoranza.
Sempre poi rispetto a qualsiasi rimedio che risulta impotente con le persone stupide, leggiamo nell'opera "La voce del maestro", di Kahlil Gibran:
"Ogni male ha il suo rimedio, tranne la stoltezza. Rimproverare uno stolto ostinato o predicare a uno stupido è come scrivere sull'acqua."
Che va più che d'accordo con il detto: "A lavar la testa all'asino, si perdono la spazzola e il sapone".
In Massime e pensieri, di Nicolas de Chamfort, leggiamo:
"Vivere è una malattia a cui il sonno viene una volta al giorno a recare un po' di sollievo. Questo però è solo un palliativo: il rimedio è la morte."
Essendo l'opera pubblicata postuma, l'autore la spiegazione se l'è portata nella tomba, ma a prescindere da qualsiasi chiarimento che non abbiamo ricevuto, ci piacciono di più i rimedi escogitati in terra, rispetto a quello risolutivo che ci aspetta a fine vita.
Ma rispetto all'allocuzione attribuita al filosofo Arthur Schopenhauer:
“Non v'è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l'intervallo.”
E al concetto della morte come rimedio risolutivo e ineluttabile, pensiamo a tutti quelli che hanno subito nel tempo la perdita di persone care come un evento del tutto irrimediabile, perché la capacità di resuscitare i morti, ce l'aveva giusto Gesù Cristo, se costoro riescano a concepire la fine della vita come un semplice passaggio che perfeziona quello della nascita, con un alternarsi di vite terrene e sovradimensionali, che toglie a qualsiasi soluzione di continuità esistenziale l'attribuzione di ultimo rimedio, per la continuità nel tempo e nello spazio, che caratterizza gli spiriti umani, così che riesce a farsi strada, nelle loro menti, uno scenario di eternità che trascende l'esiguità della vita terrena.
Il rimedio per risolvere le avversità, possiamo trovarlo sia con soluzioni adeguate, che col pensiero, come è riportato dall'esempio che ci mostra Emil Cioran, nell'opera Confessioni e anatemi:
"Alla minima contrarietà, e a maggior ragione al minimo dispiacere, bisogna precipitarsi nel cimitero più vicino, dispensatore immediato di una calma che si cercherebbe invano altrove. Un rimedio miracoloso, per una volta. "
Ma più che un cimitero, ritengo sia da consigliare a chi ritiene di trovarsi in difficoltà che ritiene irrimediabili, una visita al reparto oncologico di un ospedale per bambini, dove potrà osservare che cosa significa per molti di loro, essere condannati a morte senza aver vissuto.
E ritengo che lo scenario presentato dalla sofferenza di tanti innocenti, induca facilmente lo spettatore a riconsiderare le problematiche che possono assillarlo, presentandogli le soluzioni di ciò che riteneva irrisolvibile e facendogli apparire stupidi tanti problemi che riteneva seri.
E, a terminare, riferendoci al concetto di eternità accennato sopra, che tanto elimina il bisogno di un rimedio alle angustie che la vita terrena ci presenta, se facciamo nostro il concetto che è a seguire e che rappresenta chi siamo, solo e semplicemente, al di là di qualsiasi convinzione di un'illusoria personalità, che ci distoglie dalla vera realtà e dalle possibilità del nostro essere, e lo ripetiamo più volte al giorno come un mantra:
IO sono un centro, intorno a me ruota il mondo.
IO sono un centro di influenza e di potere.
IO sono un centro di pensiero e di conoscenza.
IO sono indipendente dal corpo.
IO sono immortale e non posso essere distrutto.
IO sono invincibile e non posso essere offeso.
Sparirà qualsiasi desiderio di un rimedio che sopperisca alla fragilità e alla deperibilità del nostro corpo, grazie alla consapevolezza dell'eterna indistruttibilità del nostro spirito.
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