’A felicità è cquanno t’arrecrie ’e chello ca tiene e nno ’e chello ca vulisse tené!

La felicità è quando godi di quello che hai e no di quello che vorresti avere.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Il proverbio non fa che rammentarci come viva meglio chi si attiene al detto "Chi si contenta, gode", rispetto a chi vive nell'avidità e non è mai contento del suo stato.
Un proverbio al quale fa da contrappunto, un altro che ci è stato presentato, a dimostrarci come ogni tema abbia il suo contrario:
Chi cchiú ttene, cchiú vo’ tené!
Chi più ha, più vuole avere! L’avidità umana non ha limite.
I modelli che la società del consumismo cerca di imporci, inducono a una superficialità di vita che si discosta dal sentiero che dovrebbe essere percorso da chi tiene a quel suo sé, che non ha soluzione di continuità, rispetto alla provvisorietà dell'effimero godimento di qualsiasi bene materiale che, per quanto abbia richiesto lavoro e sacrificio, non è che un prestito da restituire molto prima di quanto si sia portati ad immaginare.
Chi procede in una continua introspezione del proprio essere, realizza, col trascorrere degli anni, quali sono i beni essenziali e quelli di cui liberarsi, perché gli si dimostrano superflui, malgrado l'importanza che gli ha conferito nel passato.
Chi continua ad accumulare, non fa che aumentare un fastidio che diventa sempre più opprimente, per il timore di furti e ladrocinii, con uno stato ben evidenziato dal detto "Cu n’uocchio fríje ’o pesce e ccu n’ato guarda ’a jatta! ",
e per la preoccupazione di tutto ciò che dovrà lasciare, non rendendosi conto che tutto ciò che si possiede, con tutto l'impegno e la fatica che ha richiesto, non è altro che un prestito da ridare indietro.
Ritornando al proverbio che oggi è in essere, a chi la vita si è prospettata facile, senza il bisogno di doversi guadagnare i beni di cui dispone, con l'impegno e il sacrificio che richiedono, dà per scontato quello che possiede e arriva a lamentarsi di qualsiasi inezia che venga a ostacolare l'esistenza alla quale è abituato.
L'indigenza fa apprezzare le cose più semplici, che altrimenti sarebbero state disprezzate.
Tra coloro che sono riusciti a uscire da uno stato di povertà, c'è chi continua a lamentarsene, cercando di ottenere sempre di più, come se non riuscisse a liberarsi dalla paura del bisogno e chi ringrazia il cielo, per aver imparato dallo stato di miseria che ha trascorso, come il saper vivere con semplicità renda la vita più gratificante.
Uno dei peggiori difetti, che rendono miserabile la vita, è costituito dall'avidità di chi, scontento di qualsiasi stato abbia raggiunto, dà valore solo a quello che gli manca, rispetto alla temperanza di chi si accontenta di quello che possiede e si sente ricco per il minimo che ha.
Chi è ricco nell'animo, rispetto ai beni che possiede, al di più di cui viene in possesso, dà valore quando riesce a farne parte chi ha di meno.
Rispetto alla vita misera dell'avido, sempre scontento di ciò che non possiede, la storia ci ha presentato come tra gli uomini più ricchi della terra, ci fu Diogene di Sinope, che con due stracci viveva in una botte e vedendo un ragazzo bere a una fontana, con le mani a coppa, realizzò che la tazza che aveva per bere era superflua e se ne disfece.
Quando poi era giorno di mercato, passandoli in rassegna, si divertiva a elencare tutti i beni dei quali non aveva alcun bisogno.
Ad Alessandro Magno, che a quel tempo era secondo giusto al massimo nume dell'Olimpo, per il potere che aveva e gli onori che poteva offrire, e che chiese al filosofo di manifestare quello che più desiderasse, rispose di scostarsi per poter godere la luce e il calore del sole.
Un uomo tanto ricco nel suo essere, da poter disprezzare qualsiasi bene materiale.
E a tal riguardo, si attribuisce al filosofo, la seguente storia:
Un filosofo, vedendosi avanti con gli anni e volendo assicurare un buon avvenire al suo unico figlio, mandò a chiamare il più fidato dei suoi amici e gli fece questo breve discorso: "Amico mio, voglio confidarti che possiedo una considerevole somma di denaro. Tu sei più giovane di me, sei in buona salute e quindi, con ogni probabilità, mi sopravviverai. Perciò, ti prego, prendi con te il mio denaro, custodiscilo e ascolta bene ciò che ne dovrai fare quando io non ci sarò più. Se mio figlio sarà riuscito a diventare un filosofo, lo distribuirai tutto ai poveri perché lui non ne avrà bisogno. Ma se non sarà riuscito a diventare un filosofo, allora consegnalo tutto a mio figlio, perché non possiederà altro che questo".
Una storia nella quale intravediamo un'incoerenza, riguardo al denaro accumulato dal filosofo, che potremmo ipotizzare come una persona che raggiunse il suo definitivo stato d'essere a una certa età, nella quale divenne consapevole dell'inconsistente valore che può assumere il denaro.
Un concetto espresso dalla storia che può piacere o meno, perché i beni materiali rendono più semplice e comoda la vita e non per tutti, ma solo per chi sa usarli ed apprezzarli nel dovuto modo, per come servono, perché altrimenti, se concupiti con bramosia e avidità, come se fossero gli unici valori validi, non farebbero che peggiorare la qualità dell'esistenza.
E a terminare, riportiamo ciò che al riguardo scrisse il 14° Dalai Lama Tenzin Gyatso:
“All’origine di tutti i nostri guai c’è il comportamento individuale. Se i singoli membri della collettività mancano di valori e integrità morale, nessun sistema legislativo potrà mai dimostrarsi adeguato. E fin tanto che gli esseri umani continueranno a dare priorità ai beni materiali, persisteranno l’ingiustizia, le diseguaglianze, l’intolleranza e l’avidità, tutte manifestazioni esteriori del nostro trascurare le qualità interiori.” 
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