Nessuno vuole interessarsi di cose tristi e lacrimevoli.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Mette in luce, il proverbio, un egoismo teso a salvaguardare il proprio stato di benessere e serenità, evitando di essere coinvolti, anche emotivamente, sulle tristi vicende in cui incorrono altri, un atteggiamento che è comune a molti e poco conforme all'empatia che dovrebbe essere provata, quando si è al corrente delle disgrazie altrui.
Un comportamento che si risolve magari in formali parole d'afflizione e di cordoglio, per nulla provati e passando a pensare ad altro di lì a poco.
Cercare di ignorare i mali e le tragedie che affliggono il nostro prossimo, assume aspetti vari, così che il famoso detto latino "Mens sana in corpore sano", che presenta come l'interscambio di benessere tra la mente e il corpo, favorisca entrambi, con una mente aperta ed equilibrata, capace di valutare obiettivamente qualsiasi fatto che le si presenti, spesso succede che diventa insana e poco aperta, se è chiamata a interessarsi dei malesseri, magari anche gravi, che angustiano qualcun altro.
E in tale scenario, spicca l'ipocondriaco, come personaggio di riguardo, che preso com'è dai fantasiosi mali che lo affliggono, se si cerca di distrarlo e magari anche consolarlo, mostrandogli persone che malate gravi lo sono per davvero, per lui i malanni degli altri diventano quisquilie di poco conto e non ci mette molto per tornare a lamentarsi della gravità da lui giudicata molto più tragica, dei mali immaginari che non ha.
Non è da meno a porre in evidenza la noncuranza verso i disagi altrui, il detto più che conosciuto "Pancia piena non pensa a quella vuota", per come si regola, in sua conformità, chi non ha problemi per procurarsi il sostentamento necessario e che magari recrimina per la fame che c'è nel mondo e per i poveri bambini che, in Africa, muoiono di stenti, ma che poco si cura del vicino, se questi deve mettere d'accordo il pranzo con la cena.
Un fenomeno, quello della noncuranza verso le tragedie altrui, che va a completare lo scenario in cui successo e benessere possono suscitare invidia e astio, mentre ben ci si guarda dal preoccuparsi di sofferenze che non sono proprie.
Ben pochi si attengono al detto "Oggi a te e domani a me", coscienti di avere ognuno la propria spada di Damocle che pende minacciosa su ogni testa, provando una sincera pena e provvedendo ad aiutare chi si trova in difficoltà.
Ma il tema preso in esame, sul poco curarsi di ciò che affligge il prossimo, può assumere un aspetto ben peggiore e a ricordarcelo c'è un termine tedesco, a noi poco familiare, rispetto a quanto è conosciuto da psicologi e sociologi, ovvero "Schadenfreude" che indica il piacere derivante dalla sfortuna o dal fallimento altrui, che può essere tradotta in italiano con l’espressione: "gioia maligna" ed è composta dalle parole tedesche schaden, che significa danno, e freude, che vuol dire gioia.
Un'emozione che può emergere anche in situazioni più banali, come quando una persona si rallegra del fallimento di un concorrente, in un gioco o in una competizione. Una gioia che si può provare quando una persona benestante e di successo, invidiata fino a poco prima, cade in disgrazia, tramutando l'invidia di un individuo abietto in contentezza, tanto per dire come gli atteggiamenti umani siano spesso poco edificanti.
Un atteggiamento, quello dell'indifferenza verso il prossimo vista in generale, preso in esame anche dalla psicologia, per quanto si dimostra rilevante nella società moderna, un sentimento spesso visibile all’interno del contesto sociale e che ognuno di noi, spesso involontariamente, applica verso molte persone o situazioni, il più delle volte “lontane” da noi e dal nostro piccolo mondo e cerchia di conoscenze. Ma quando avviene nelle relazioni famigliari o di convivenza, diventa qualcosa di doloroso e difficile da sopportare da parte di chi ne è oggetto.
Un'indifferenza spesso dovuta al calo di interesse che risulta comune a molte coppie, nelle quali, una o tutte e due le parti non provano più l'attrazione che, a suo tempo, ha contribuito a far nascere l'unione.
Un comportamento che può derivare dalla necessità di difendere se stessi verso un coinvolgimento emotivo eccessivo, col timore che possa destabilizzare il proprio stato d'essere e, nei casi più gravi, assume, agli occhi della scienza medica, l'aspetto di un vero e proprio disturbo antisociale di personalità, caratterizzato da uno schema pervasivo di disinteresse per le conseguenze e per i diritti degli altri.
Il tema presentato dal proverbio, si rivolge soprattutto agli egoisti, e come tutti gli adagi, è nato in seguito a uno dei maggiori aspetti che hanno caratterizzato l'umanità e che consiste appunto nell'indifferenza verso le sventure che affliggono il prossimo. Ma per fortuna, la società umana è varia e anche se gli egoisti vanno per la maggiore, un fenomeno che ci induce a fare pace con la natura umana, è rappresentato dagli altruisti, quelli che invece di pensare ai propri comodi, si industriano per aiutare gli altri, dagli ammalati a quelli che vivono in condizioni disagevoli.
Basta pensare al volontariato che caratterizza tante associazioni di beneficenza, un pensiero che può far ricordare figure eminenti nella filantropia e l'amore verso il prossimo, come Andrew Carnegie, un imprenditore e filantropo scozzese naturalizzato statunitense, che negli ultimi decenni di vita si dedicò a un'attività filantropica che consistette in opere culturali, con la fondazione di università, biblioteche e musei (anche all'estero), e opere di carità, donando quasi il 90% della sua fortuna accumulata.
Fuoriesce poi nella memoria a farsi spazio, Albert Schweitzer, un medico e filantropo, musicista e musicologo, teologo, filosofo, biblista, pastore e missionario luterano franco-tedesco nato in Alsazia.
Un grande benefattore che fu insignito, nel 52, del Premio Nobel per la Pace, con il cui ricavato fece costruire il villaggio dei lebbrosi inaugurato l'anno successivo con il nome di Village de la lumière (villaggio della luce). Nei pochi momenti liberi che aveva, lavorando fino a tarda ora, si dedicava alla lettura e allo scrivere, ma anche questi avevano come scopo finale il mantenimento del suo ospedale a Lambaréné, nel Gabon occidentale.
Né si può dimenticare poi, l'immensa figura di Madre Teresa di Calcutta, già fatta santa per i meriti che aveva, nel prodigarsi nell'aiutare e nel soccorrere quelli che rappresentano la feccia dell'umanità, senza alcun timore e ritrosia di doversi mischiare tra di loro.
È lunga la schiera dei filantropi che si sono prodigati per l'umanità, anche se può risultare limitata, di fronte alla schiera di quelli che pensano solo ai propri comodi, e leggerne le gesta, può spingerci a essere più empatici e caritatevoli verso chi è provato dalla sofferenza. Home page ARGOMENTI
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Mette in luce, il proverbio, un egoismo teso a salvaguardare il proprio stato di benessere e serenità, evitando di essere coinvolti, anche emotivamente, sulle tristi vicende in cui incorrono altri, un atteggiamento che è comune a molti e poco conforme all'empatia che dovrebbe essere provata, quando si è al corrente delle disgrazie altrui.
Un comportamento che si risolve magari in formali parole d'afflizione e di cordoglio, per nulla provati e passando a pensare ad altro di lì a poco.
Cercare di ignorare i mali e le tragedie che affliggono il nostro prossimo, assume aspetti vari, così che il famoso detto latino "Mens sana in corpore sano", che presenta come l'interscambio di benessere tra la mente e il corpo, favorisca entrambi, con una mente aperta ed equilibrata, capace di valutare obiettivamente qualsiasi fatto che le si presenti, spesso succede che diventa insana e poco aperta, se è chiamata a interessarsi dei malesseri, magari anche gravi, che angustiano qualcun altro.
E in tale scenario, spicca l'ipocondriaco, come personaggio di riguardo, che preso com'è dai fantasiosi mali che lo affliggono, se si cerca di distrarlo e magari anche consolarlo, mostrandogli persone che malate gravi lo sono per davvero, per lui i malanni degli altri diventano quisquilie di poco conto e non ci mette molto per tornare a lamentarsi della gravità da lui giudicata molto più tragica, dei mali immaginari che non ha.
Non è da meno a porre in evidenza la noncuranza verso i disagi altrui, il detto più che conosciuto "Pancia piena non pensa a quella vuota", per come si regola, in sua conformità, chi non ha problemi per procurarsi il sostentamento necessario e che magari recrimina per la fame che c'è nel mondo e per i poveri bambini che, in Africa, muoiono di stenti, ma che poco si cura del vicino, se questi deve mettere d'accordo il pranzo con la cena.
Un fenomeno, quello della noncuranza verso le tragedie altrui, che va a completare lo scenario in cui successo e benessere possono suscitare invidia e astio, mentre ben ci si guarda dal preoccuparsi di sofferenze che non sono proprie.
Ben pochi si attengono al detto "Oggi a te e domani a me", coscienti di avere ognuno la propria spada di Damocle che pende minacciosa su ogni testa, provando una sincera pena e provvedendo ad aiutare chi si trova in difficoltà.
Ma il tema preso in esame, sul poco curarsi di ciò che affligge il prossimo, può assumere un aspetto ben peggiore e a ricordarcelo c'è un termine tedesco, a noi poco familiare, rispetto a quanto è conosciuto da psicologi e sociologi, ovvero "Schadenfreude" che indica il piacere derivante dalla sfortuna o dal fallimento altrui, che può essere tradotta in italiano con l’espressione: "gioia maligna" ed è composta dalle parole tedesche schaden, che significa danno, e freude, che vuol dire gioia.
Un'emozione che può emergere anche in situazioni più banali, come quando una persona si rallegra del fallimento di un concorrente, in un gioco o in una competizione. Una gioia che si può provare quando una persona benestante e di successo, invidiata fino a poco prima, cade in disgrazia, tramutando l'invidia di un individuo abietto in contentezza, tanto per dire come gli atteggiamenti umani siano spesso poco edificanti.
Un atteggiamento, quello dell'indifferenza verso il prossimo vista in generale, preso in esame anche dalla psicologia, per quanto si dimostra rilevante nella società moderna, un sentimento spesso visibile all’interno del contesto sociale e che ognuno di noi, spesso involontariamente, applica verso molte persone o situazioni, il più delle volte “lontane” da noi e dal nostro piccolo mondo e cerchia di conoscenze. Ma quando avviene nelle relazioni famigliari o di convivenza, diventa qualcosa di doloroso e difficile da sopportare da parte di chi ne è oggetto.
Un'indifferenza spesso dovuta al calo di interesse che risulta comune a molte coppie, nelle quali, una o tutte e due le parti non provano più l'attrazione che, a suo tempo, ha contribuito a far nascere l'unione.
Un comportamento che può derivare dalla necessità di difendere se stessi verso un coinvolgimento emotivo eccessivo, col timore che possa destabilizzare il proprio stato d'essere e, nei casi più gravi, assume, agli occhi della scienza medica, l'aspetto di un vero e proprio disturbo antisociale di personalità, caratterizzato da uno schema pervasivo di disinteresse per le conseguenze e per i diritti degli altri.
Il tema presentato dal proverbio, si rivolge soprattutto agli egoisti, e come tutti gli adagi, è nato in seguito a uno dei maggiori aspetti che hanno caratterizzato l'umanità e che consiste appunto nell'indifferenza verso le sventure che affliggono il prossimo. Ma per fortuna, la società umana è varia e anche se gli egoisti vanno per la maggiore, un fenomeno che ci induce a fare pace con la natura umana, è rappresentato dagli altruisti, quelli che invece di pensare ai propri comodi, si industriano per aiutare gli altri, dagli ammalati a quelli che vivono in condizioni disagevoli.
Basta pensare al volontariato che caratterizza tante associazioni di beneficenza, un pensiero che può far ricordare figure eminenti nella filantropia e l'amore verso il prossimo, come Andrew Carnegie, un imprenditore e filantropo scozzese naturalizzato statunitense, che negli ultimi decenni di vita si dedicò a un'attività filantropica che consistette in opere culturali, con la fondazione di università, biblioteche e musei (anche all'estero), e opere di carità, donando quasi il 90% della sua fortuna accumulata.
Fuoriesce poi nella memoria a farsi spazio, Albert Schweitzer, un medico e filantropo, musicista e musicologo, teologo, filosofo, biblista, pastore e missionario luterano franco-tedesco nato in Alsazia.
Un grande benefattore che fu insignito, nel 52, del Premio Nobel per la Pace, con il cui ricavato fece costruire il villaggio dei lebbrosi inaugurato l'anno successivo con il nome di Village de la lumière (villaggio della luce). Nei pochi momenti liberi che aveva, lavorando fino a tarda ora, si dedicava alla lettura e allo scrivere, ma anche questi avevano come scopo finale il mantenimento del suo ospedale a Lambaréné, nel Gabon occidentale.
Né si può dimenticare poi, l'immensa figura di Madre Teresa di Calcutta, già fatta santa per i meriti che aveva, nel prodigarsi nell'aiutare e nel soccorrere quelli che rappresentano la feccia dell'umanità, senza alcun timore e ritrosia di doversi mischiare tra di loro.
È lunga la schiera dei filantropi che si sono prodigati per l'umanità, anche se può risultare limitata, di fronte alla schiera di quelli che pensano solo ai propri comodi, e leggerne le gesta, può spingerci a essere più empatici e caritatevoli verso chi è provato dalla sofferenza. Home page ARGOMENTI
Commenti
Posta un commento
Non inserire link cliccabili altrimenti il commento verrà eliminato. Metti la spunta a Inviami notifiche per essere avvertito via email di nuovi commenti al post.