Siente, vide e ttace,si vuó vivere ’nsanta pace.
Se vuoi vivere tranquillo è meglio tacere su tutto ciò che si sente e si vede.
Da I proverbi napoletani a cura di Gianni Polverino, Presidente presso Napoli Centro Storico. Proverbi e Tradizioni
Non
vedere, non sentire e non parlare, esortazioni che il proverbio ci
rammenta per amor di quiete, per non farci coinvolgere in questioni che
alcuni sembrano cercare col lanternino.
Un detto che richiama la famosa immagine delle tre scimmiette, che si tappano
occhi, bocca e orecchie, che ha avuto origine con una scultura del 17 °
secolo delle "tre scimmie sagge" su una porta del santuario Tōshō-gū a
Nikkō, in Giappone, che è stata interpretata in vari modi:
Così
che tra i buddisti, il proverbio esorta a una buona coltivazione, non
solo della mente, ma anche della parola e dell'azione.
Mentre,
nel mondo occidentale, sia il proverbio che l'immagine sono spesso
usati per riferirsi a una mancanza di responsabilità morale, da parte di
persone che guardano dall'altra parte su azioni malvagie e, infine,
all'interno di un ambiente criminale, assume l'aspetto di come deve
essere osservata l'omertà.
Tanto
per dire come un certo comportamento può diventare relativo, a seconda
dello scenario in cui è tenuto, anche se il senso migliore che gli si
attribuisce, nella contrapposizione tra bene e male, è al secondo che è
riferita l'inazione, anche se, come accennato, ignorarlo può significare
rendersene complici.
"Non
vedo, non sento e non parlo" rappresenta un principio molto antico e lo
troviamo nei Dialoghi di Confucio, scritti in Cina durante il Periodo
delle primavere e degli autunni e il Periodo dei regni combattenti
(circa 479 a.C. - 221 a.C.), in cui leggiamo: "Non guardare ciò che è
contrario alla correttezza; non ascoltare ciò che è contrario alla
correttezza; non parlare di ciò che è contrario alla correttezza; non
fare movimenti contrari alla correttezza."
Il
santuario menzionato sopra è dovuto al fatto che, verso l'VIII secolo,
dei monaci buddisti portarono questo proverbio in Giappone., che venne
tradotto così: "mizaru, kikazaru, iwazaru", ovvero: "non guardare, non
ascoltare, non dire". -zu/-zaru sono dei suffissi comuni utilizzati per
la forma negativa di un verbo. -zaru, però, è anche un modo arcaico per
indicare la scimmia. Non serve neanche aggiungere che è questo che ha
portato ad associare il proverbio con le scimmie.
Quando
il non vedere e il non udire, si traducono nell'ignorare il male fatto
ad altri, è un'attività che può risultare semplice a chi è poco fornito
di empatia, ma se lo si subisce, assume un ben altro aspetto, perché può
avvelenare, non solo la giornata, ma spesso anche la vita, se l'impulso
più che spontaneo di reagire con rabbia, si protrae poi nel tempo,
senza essere sopito.
E,
al riguardo, riportiamo una storia edificante su come può essere
trasformata una reazione, quando si subisce una qualsiasi offesa.
Si
racconta che una volta, un uomo si avvicinò al Buddha e, senza dire una
parola, gli sputò in faccia, facendo imbestialire i suoi discepoli, con
Ananda, il prediletto, che intendeva passare a vie di fatto e chiese al
Buddha:
"Dammi il permesso di dare a quest’uomo ciò che merita!"
Ma l'illuminato rispose, asciugandosi la faccia:
"No. Io parlerò con lui."
E unendo i palmi delle mani in segno di riverenza, disse all’uomo:
"Grazie.
Con il tuo gesto mi hai permesso di vedere che la rabbia mi ha
abbandonato. Ti sono estremamente grato. Il tuo gesto ha anche
dimostrato che Ananda e gli altri discepoli possono essere ancora
assaliti dalla rabbia. Grazie! Ti siamo molto grati!"
Insomma, anche uno sputo in faccia diventa, per chi lo subisce, un ottimo espediente per fare il punto della situazione
Detto,
tra noi, beato chi ci riesce, ma resta pur sempre un esperimento da
prendere in considerazione, per poter misurare il distacco che siamo
riusciti ad acquisire, nel reagire ai torti che subiamo.
Sempre
nello scenario in cui si può rispettare o meno il comportamento
ricordato dal proverbio, ho conosciuto piuttosto superficialmente un mio
vicino, su per giù coetaneo, che per integrare la pensione e pagare il
mutuo, partiva alle due di notte per portare i cornetti nei bar, con
tutta l'ammirazione che provai e il rammarico successivo, quando seppi
che il Covid se lo era portato via.
Fatto
sta che parlando del più e del meno con un altro vicino, la cui
abitazione confina con quella del defunto, rammentai la triste fine di
quest'ultimo, per l'impressione che mi aveva fatto la sua vicenda.
Di
contro a quanto espressi, l'interlocutore non manifestò molta simpatia
per l'oggetto della conversazione e mi informò che quella persona aveva
avuto una relazione extraconiugale, avendo ascoltato una conversazione
telefonica fatta fuori casa dal figlio del defunto, che insultava la
donna che aveva telefonato per cercare suo padre.
Sia
l'interlocutore che io, non avevamo alcun diritto di sapere e ancora
meno di divulgare, i fatti intimi di una persona estranea a entrambi,
mentre la mia controparte entrò nella lista delle persone a cui non
confidare nemmeno il colore delle scarpe.
In
quanti "circoli di lavandaie" ci siamo imbattuti nella vita? Cricche
nelle quali il non vedere e il non udire si trasformano nello spiare, e
il non parlare è sostituito dal divulgare ai quattro venti i fatti
altrui.
Ci pensano poi
certi rotocalchi a presentare, come un diritto all'informazione dei
lettori, pettegolezzi, maldicenze e dicerie tradotti in un più
edulcorante gossip, che convince i più influenzabili che farsi i fatti
propri non è à la page, rispetto a un comportamento retto, discreto e
dignitoso.
Commenti
Posta un commento
Non inserire link cliccabili altrimenti il commento verrà eliminato. Metti la spunta a Inviami notifiche per essere avvertito via email di nuovi commenti al post.