Sant’Ignazio di Loyola

Oggi - 31 luglio 2024 - mercoledì della XVII settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Iñigo, questo il suo nome di battesimo tipicamente ed esclusivamente spagnolo, nacque in data imprecisata del 1491, nel castello di famiglia sito ad Azpeitia, nella provincia basca di Guipúzcoa appartenente al Regno di Spagna. Ultimo dei tredici figli della famiglia aristocratica López de Loyola, legata da lontani rapporti parentali con la casa reale di Spagna, crebbe in un ambiente improntato ai valori cortesi e alle ambizioni di potere e affermazione. Nel 1506, rimasto orfano di entrambi i genitori, si trasferì nella città di Arévalo, nella vicina regione della Castiglia, al seguito del ministro delle finanze del re di Spagna Fernando II d’Aragona, detto “il Cattolico” (1452-1516), alto funzionario di cui era probabilmente parente, il quale gli impartì una buona educazione “cavalleresca” più che religiosa, educandolo a puntare su “opere grandi”. Ignazio non perse tempo nel rendersi “visibile” e ben presto gli abitanti di Arévalo lo conobbero come cavaliere di grande audacia nei tornei, ma anche come giovane molto presente a danze e feste, abile suonatore di “vihuela” (antico strumento musicale a corda della famiglia dei liuti, diffuso nelle corti). Le arti, la guerra, le competizioni erano il pane di cui si cibava. Cercava solo la gloria, il potere e l’apparire. Il 20 maggio 1521, però, accadde un episodio che lo segnò profondamente, facendolo seriamente riflettere sul senso stesso della vita. In quell’occasione, fornì prova della sua caparbietà e destrezza accorrendo in armi a difendere il castello di Pamplona, nella provincia spagnola della Navarra, assediato dalle truppe francesi, diventando subito il “punto di riferimento” per la difesa del maniero. In quella battaglia, un colpo di cannone lo ferì gravemente alle gambe, rompendogliene una in più punti e ferendo malamente l’altra. Caduto lui, quelli della fortezza si arresero subito ai francesi. Nel suo animo superbo, le brutte ferite alle gambe, con il rischio concreto di rimanere paralizzato o di venire amputato, e la presa della fortezza da parte del nemico, assunsero la dimensione della sconfitta del suo mondo e forse anche del suo orgoglio, che rimase intaccato profondamente. Dopo quindici giorni di degenza a Pamplona, fu trasportato in barella alla casa paterna. Il suo stato era grave e più volte si temette per la sua vita. Solo dopo dolorosissime operazioni stoicamente sopportate e molte sofferenze, poté ristabilirsi, pur non potendosi reggere bene sulla gamba e rimanendo zoppicante per il resto della vita. Nei giorni in cui fu costretto a un'esasperante immobilità, cominciò a leggere molto, ogni opera che trovava in casa, soprattutto libri su Gesù e vite dei santi. Così, gradualmente, in lui qualcosa andò mutando e cominciò il processo di conversione a Cristo, dove trasferiva l’aspirazione, ormai delusa, di un'ambiziosa carriera militare, approdando a quello dell'impegno spirituale, attraverso la gloria riservata ai santi. Durante il periodo di convalescenza, cominciò a dedicarsi alla preghiera e alla meditazione, scrivendo diversi appunti che in seguito avrebbero dato vita ai suoi notissimi “Esercizi Spirituali”. Sognava di partire pellegrino a Gerusalemme e, in attesa di realizzare tale desiderio, una volta ristabilito, decise di partire per i santuari mariani della Spagna, con una particolare sosta presso il celebre Santuario di Montserrat, monastero benedettino su un’omonima montagna, nella provincia di Catalogna. Qui, durante una vera e propria veglia dedicata alla Madonna, come un antico cavaliere, depose i suoi paramenti militari ai piedi dell'immagine della Vergine Maria, considerando chiusa per sempre la sua esperienza militare. Poco dopo, il 25 marzo 1522, entrò come frate in un monastero di Manresa, sempre in Catalogna e, da quel momento, assunse il nuovo nome religioso di Ignacio (Ignazio), probabilmente per la sua speciale devozione verso Sant'Ignazio di Antiochia. In questo convento, Ignazio praticò un severo ascetismo che gli causò un grave indebolimento del fisico e dello spirito, tanto da fargli addirittura pensare al suicidio. In questo periodo contraddistinto da penitenze, digiuni e rimorsi per la vita passata, Ignazio si convertì completamente e profondamente. Partì quindi per la Francia, per completare gli studi presso la prestigiosa università della Sorbona a Parigi. Fu così che, il 15 agosto del 1534, Ignazio e altri sei studenti dell’ateneo: Pierre Favre (francese), Francisco de Jasso Azpilicueta Atondo y Aznares de Javier (noto in Italia come Francesco Saverio, spagnolo), Diego Laínez, Alfonso Salmerón, Nicolás Bobadilla (spagnoli) e Simão Rodrigues (portoghese), s’incontrarono a Montmartre, nel centro di Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà, castità e obbedienza e fondando un ordine a carattere internazionale chiamato, con un termine d'origine militare, la “Compagnia di Gesù”, nelle intenzioni finalizzata al servizio missionario e di ospitalità a Gerusalemme, con l’impegno al trasferimento incondizionato dei sacerdoti, in qualsiasi luogo il papa avesse loro ordinato. E’ deciso in questa stessa occasione, sia pure marginalmente, un quarto voto che si aggiunge ai soliti tre monacali, quello dell’assoluta obbedienza al pontefice, che richiama il valore militare della disciplina. Nel 1537, Ignazio e i suoi colleghi si recarono a Roma per ottenere l'approvazione del papa per il loro ordine religioso. Qui il pontefice Paolo III li lodò e consentì loro di ricevere l'ordinazione sacerdotale, che ottennero a Venezia (omonima Repubblica) il 24 giugno. Si dedicarono alla preghiera e ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto accesosi tra Impero, Venezia e Stato della Chiesa da una parte, contro l'Impero Ottomano dall’altra, rendeva impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme, conquistata dai musulmani. Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio e papa Paolo III confermò l'Ordine con la bolla papale “Regimini militantis ecclesiae” (“Al governo della Chiesa militante”) del 27 settembre 1540, ma limitò il numero dei suoi membri a sole sessanta unità. Una limitazione che fu rimossa con una successiva bolla, la “Iniunctum nobis” (“Ci è stato ingiunto”) del 14 marzo 1543. L'ultima e definitiva approvazione della Compagnia di Gesù fu data nel 1550 con la bolla “Exposcit debitum” (“Il dovere richiede”) di papa Giulio III. Ignazio, eletto come primo “Preposito Generale” della Compagnia di Gesù, inviò i suoi compagni come missionari in giro per tutto il mondo per creare scuole, istituti, collegi e seminari, penetrando attraverso la predica, la confessione e l'istruzione in tutti gli strati sociali. Spesso i sovrani dell'epoca ebbero come confessori e padri spirituali i Padri Gesuiti che ebbero modo così di influire sulle condotte politiche dei governi. Voleva vivere a Gerusalemme, ma si ritroverà a Roma e lì offrì la sua obbedienza al papa di allora, Paolo III Farnese. L’Ordine, che doveva essere agile e mobile, capace di spostarsi sempre alle “frontiere” geografiche e intellettuali, con la sua completa disponibilità ai desideri del Papa, si fregiò del motto “Ad maiorem Dei gloriam” (“Per una gloria di Dio sempre più grande”), giungendo inevitabilmente ad avere non poche inimicizie tra i potenti. Questo modo di fare dinamico e risoluto, l’hanno ereditato anche coloro che s’ispirano alla spiritualità ignaziana. Il suo modo di essere gli ha permesso di parlare con tutte le persone, dal papa ai re, fino alle persone meno istruite e ai bambini di strada. Oltre alla predicazione, Ignazio era attento anche al servizio ai più poveri, nel periodo romano, quando andava all’ospedale a trovare i poveri, lavava loro i piedi, a chi invece aveva bisogno di aiuto, dava l’elemosina in segreto. Attraverso il suo modo di vivere e grazie alla sua capacità di conversare, conquistava “donne onorate, sposate e vedove” che gli finanziarono alcune opere di carità molto importanti, ma anche persone come il futuro San Filippo Neri (1515-1595), di cui era il confessore. Alcune pie donne lo aiutarono a Manresa, altre a Barcellona, altre ancora a Roma come ad esempio Vittoria Colonna, marchesa di Pescara. Il momento privilegiato delle sue preghiere era la notte, guardando il cielo e le stelle. A tal proposito ebbe a dire nei suoi scritti: “Lo facevo spesso e molto a lungo, perché provavo a questa visione una grande energia per servire nostro Signore”. Per questo motivo ripeteva: “Com'è misera la terra, quando contemplo il cielo”. Lasciando ancora scritto: “L’amore deve porsi più negli atti che nelle parole”, perché: “L’amore consiste in una reciproca comunicazione”, da cui deve nascere la capacità di trovare Dio in ogni cosa. Viveva da monaco nel cuore della città ed era definito un “contemplativo nell’azione”, seguiva i ritmi della città da monaco, per questo previde che i Gesuiti potessero passare dalla Compagnia alla Certosa con facilità. Le sue abitudini erano regolari, si alzava con le prime luci dell’alba, rimaneva talvolta a letto a pregare a causa dei dolori alla gamba, celebrava la Messa da solo in una stanzetta vicino alla sua camera, poi riprendeva a pregare per un paio d’ore. Gli ultimi quindici anni della sua vita fu costretto a vivere in una cameretta l’itineranza del pellegrino per governare i primi Gesuiti che, sparsi nel mondo, iniziavano a fondare residenze, scuole, istituti, collegi e seminari. Scrisse quasi settemila lettere, mentre i libri che teneva in camera si limitavano al Vangelo e all’Imitazione di Cristo. Mangiava da solo e come superiore di comunità sappiamo che perdonava qualsiasi peccato grave dei Gesuiti eccetto quelli che favoriscono la sfiducia e il pettegolezzo e che dividevano la comunità. La città dunque era il suo monastero. Nella Roma del Cinquecento che aveva circa cinquantamila abitanti, Ignazio scelse di collocare strategicamente le sue residenze nel cuore della città. Nella piazza del Collegio Romano a Roma si può capire cosa sia stata la missione per Ignazio. Lì si trova l’antico Collegio romano in cui preparava il clero nel mondo e una piccola casa, chiamata Santa Marta, in cui accoglieva e recuperava le prostitute, infatti cultura e azione sociale per Ignazio andavano insieme. Orizzonti universali, eccellenza negli studi, formazione integrale della persona, legame con il mondo moderno sono, fin dall’inizio, le principali caratteristiche della missione educativa del Collegio Romano, che è diventato poi l’Università Gregoriana. Morì da solo verso le 07,00 del mattino del 31 luglio 1556. Venne sepolto il 1º agosto nella chiesa di Santa Maria della Strada a Roma, ma nel 1637 il suo corpo fu collocato in un'urna di bronzo dorato, nella Cappella di Sant'Ignazio della Chiesa del Gesù in Roma. Alla sua morte la Compagnia di Gesù aveva più di millecinquecento presbiteri sparsi in tutto il mondo. Fu canonizzato il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.
Immagine: "Sant'Ignazio di Loyola", olio su tela dipinto nel 1600 circa dal pittore fiammingo Peter Paul Rubens (1577-1640). L'opera si trova presso il Norton Simon Museum di Pasadena (California, USA).
Roberto Moggi
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