Santi Marta, Maria e Lazzaro

 

Oggi - 29 luglio 2024 - lunedì della XVII settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria dei Santi Marta, Maria e Lazzaro, amici del Signore. Con decreto datato 26 gennaio 2021, su decisione di papa Francesco, la Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti ha disposto che il 29 luglio figuri nel Calendario Romano Generale la memoria obbligatoria dei Santi Marta, Maria e Lazzaro, estendendo la memoria di Santa Marta (che già figurava in questo giorno) anche ai suoi due fratelli Maria e Lazzaro. Ciò in considerazione della “importante testimonianza evangelica offerta dai tre fratelli carnali nell’ospitare in casa il Signore Gesù, nel prestargli ascolto cordiale, nel credere che egli sia la risurrezione e la vita”. In precedenza - come detto - nel Calendario figurava la memoria della sola Marta, nella stessa data, anche se tutti e tre erano ricordati nello stesso giorno nel Martirologio Romano: Marta, da sola, come memoria, mentre Maria e Lazzaro, congiuntamente, come commemorazione. Il decreto spiega che “la tradizionale incertezza della Chiesa latina circa l’identità di Maria - la Maddalena cui Cristo apparve dopo la sua resurrezione, la sorella di Marta, la peccatrice cui il Signore ha rimesso i peccati - che fece decidere l’iscrizione della sola Marta il 29 luglio nel Calendario Romano, ha trovato soluzione in studi e tempi recenti”. Marta, Maria e Lazzaro erano tre fratelli di sangue che abitavano in Betania, un villaggio della Giudea poco distante da Gerusalemme. Qui Gesù, che era legato loro da grande affetto e amicizia, in diverse occasioni si fermò a casa loro con i Dodici, fermandosi a cena. Marta è citata in tre episodi evangelici, uno più “denso” dell’altro, in cui è ritratta come una donna attiva, pratica e diligente, che attendeva alla cura della casa e si preoccupava degli ospiti, sollecita nel servire e nell’andare incontro al Maestro. L’evangelista Luca ce la mostra nell’atto di accogliere in casa Gesù, nel mezzo delle fatiche del suo apostolato itinerante, «tutta presa dai molti servizi», mentre la sorella Maria, che si può ben definire “ modello delle donne contemplative”, ascolta la parola di Nostro Signore, senza occuparsi d’altro. Da qui la celebre rimostranza di Marta: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”, che diede motivo a Gesù di trasmettere un insegnamento su cui i cristiani di ogni tempo hanno dovuto meditare: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10, 38-42). Si potrebbe dire che a quel tempo la buona Marta non aveva ancora trovato quell’equilibrio tra il raccoglimento con Dio e il lavoro, che sarà ben espresso nella dottrina di San Benedetto, anche attraverso la locuzione “Ora et labora” della sua Regola, che ognuno, non solo i monaci, è chiamato a cercare. Comunque, come commentò Sant’Agostino, era già sulla retta via: “Tu (Marta) hai scelto la parte che non è cattiva, ma lei (Maria) ha scelto quella migliore” (Discorso 103, 4.5.). Ritroviamo Marta, che certamente custodì nel suo cuore le parole del Maestro, nell’episodio della risurrezione di Lazzaro, raccontato soltanto dal Vangelo secondo Giovanni (cf. Gv 11, 1-44). Marta e Maria, quando Lazzaro si ammalò, mandarono a chiamare Gesù (cf. Gv 11, 3). Non appena seppe che il Signore, rischiando la vita, era di ritorno a Betania, proprio lei gli andò subito incontro e gli rivolse queste parole: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà”. Quando poi il Maestro le annunciò che suo fratello sarebbe risorto e le chiese di credere in Lui, è ancora lei a fare un’aperta e ispirata professione di fede: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (cf. Gv 11, 1-46). Il terzo episodio si colloca dopo la risurrezione di Lazzaro, quando Gesù fu ospitato a cena a Betania, con Marta intenta a servire i commensali e Maria a cospargere i piedi del Signore di un preziosissimo olio di nardo, asciugandoli con i suoi capelli, pochi giorni prima della Passione e quindi della sepoltura del suo sacratissimo Corpo (Gv 12, 1-11). Maria, quando seppe che Gesù, dopo la morte del germano, era giunto a Betania, non si recò subito da lui, ma attese l’invito della sorella. Gesù, vedendola piangere, si commosse profondamente e con il suo stesso pianto rivelò quanto profonda fosse l’amicizia che lo legava a Lazzaro e alle sorelle. Lazzaro fu riportato in vita dall’amico Gesù quando ormai era morto da quattro giorni (cf. Gv 11, 40-44) e molti, al vedere questo prodigio, credettero in Lui. La sua risurrezione provocò anche la reazione ostile dei capi dei sacerdoti che con Gesù decisero di uccidere anche Lazzaro. Le vicende terrene dei santi fratelli Marta, Maria e Lazzaro ci dicono che “Gesù viene nella nostra casa”. Potremmo pensare, allora, che la cosa più importante sia quello che possiamo offrirgli o raccontargli, ma in realtà la cosa più importante è quello che egli ci offre: «il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6, 33), «il cibo che rimane per la vita eterna» (Gv 6, 27). La vita del corpo è importante, e in generale dipende da noi averne cura, ma a che serve questa vita se uno non raggiunge la vita eterna? Gesù non esprime un giudizio sulle nostre opere, ma sulla disposizione con la quale le facciamo, ci chiede che siano occasione di un dialogo autentico con Dio e che noi siamo in grado di distinguerne l’importanza.
Prima Immagine: “Cristo nella casa di Marta e Maria” (dove Maria è seduta ai piedi di Gesù), olio su tela realizzato prima del 1654-1655 circa dal pittore olandese Jan Vermeer (XVII secolo. L’opera è custodita presso la National Gallery of Scotland di Edimburgo (Scozia, Regno Unito).
Seconda Immagine: “La resurrezione di Lazzaro“, olio su tela realizzato nel 1625 circa dal pittore olandese Peter Paul Rubens (1577-1640). L’opera è custodita presso la Galleria Reale Sabauda di Torino.
Roberto Moggi
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