Santi Gioacchino e Anna

Oggi - 26 luglio 2024 - venerdì della XVI settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria dei Santi Gioacchino e Anna, genitori della Beata Vergine Maria. Di Yehoyakhin o Yehoyakime (Gioacchino) e Hannah (Anna), questi i loro nomi nella traslitterazione in alfabeto latino dalla natia lingua ebraica, non si possiedono notizie certe. Infatti, di queste due importanti figure della storia della salvezza, non v’è alcuna traccia nei Vangeli canonici (secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni) e le notizie giunteci sono ricavate dalla tradizione e da testi apocrifi come il “Vangelo dello Pseudo-Matteo” e il “Protovangelo di Giacomo”. Dei due tratta ampiamente proprio quest’ultimo testo, noto anche come “Vangelo dell'Infanzia di Giacomo” o semplicemente come “Vangelo di Giacomo”, scritto apocrifo del II secolo, composto probabilmente tra il 140 e il 170 in lingua greca. Esso espande e rielabora le narrazioni canoniche sulla divina natività e sull'infanzia di Gesù, contenute nei Vangeli secondo Matteo e Luca, presentando anche un'esposizione dell'educazione impartitagli dalla mamma Maria. Si tratta del più antico scritto cristiano che sostenga la verginità di Maria prima, durante la gravidanza e dopo la nascita del Signore. Le elaborazioni posteriori di tale documento, però, aggiunsero gradualmente nuovi particolari, che soltanto la devozione mariana andava dettando. Secondo un'antica tradizione risalente al II secolo, confermata in questo testo, i genitori della Beata Vergine Maria, coniugi, si chiamavano appunto Gioacchino (in ebraico, come visto, Yehoyakhin o Yehoyakime, che significa “Dio rende forti”) e Anna (nella stessa lingua Hannah, che significa “Grazia”). Il culto di Sant'Anna esisteva in oriente già nel VI secolo e si diffuse in occidente nel X, mentre più recente è il culto di San Gioacchino. Il Protovangelo di San Giacomo spiega che Anna era un’israelita della tribù di Giuda, figlia del sacerdote di Betlemme Mathan, con discendenza, quindi, dalla stirpe di Davide. Secondo altre fonti apocrife, invece, sarebbe stata figlia di Achar e sorella di Esmeria, madre di Elisabetta e dunque nonna di Giovanni Battista. Gioacchino, dal canto suo, è tramandato come uomo virtuoso e molto ricco della stirpe di Davide, che era solito offrire una parte del ricavato dei suoi beni al popolo e una parte in sacrificio a Dio. Gioacchino e Anna erano sposati e vivevano insieme a Gerusalemme, ma non ebbero figli per oltre vent’anni. Non generare prole, per gli ebrei di quell’epoca, era segno della mancanza della benedizione e del favore di Dio. Proprio per questo, un giorno, nel portare le sue offerte al Tempio, Gioacchino fu duramente redarguito da un tale Ruben (forse un sacerdote o uno scriba), che sosteneva che Gioacchino fosse indegno di avvicinarsi al Tempio e di presentare le sue offerte, proprio per non avere procreato. Gioacchino, umiliato e sconvolto da quelle parole, decise di ritirarsi nel deserto e per quaranta giorni e quaranta notti implorò Dio, fra lacrime e digiuni, di dargli una discendenza. Anche Anna trascorse lunghi giorni in preghiera chiedendo a Dio la grazia della maternità, fino a quando le suppliche al Cielo dei due coniugi furono ascoltate. Così un Angelo apparve separatamente a entrambi e li avvertì che stavano per diventare genitori. L’incontro fra i due sulla porta della loro casa, dopo l’annuncio, si arricchì di dettagli leggendari. Il bacio che i due sposi si sarebbero scambiati, è stato tramandato come dato dinanzi alla Porta Aurea di Gerusalemme, il luogo in cui, secondo una tradizione ebraica, si manifestava la presenza divina e si sarebbe manifestato l’avvento del Messia. Ampia l’iconografia di tale bacio davanti alla nota porta, quella attraverso la quale Gesù avrebbe fatto il suo ingresso nella Città Santa la Domenica delle Palme. Alcuni mesi dopo il ritorno di Gioacchino dal deserto, Anna diede alla luce Maria. La bimba fu cresciuta tra le affettuose premure del papà e le amorevoli attenzioni della mamma, nella casa dei due, che si trovava nei pressi della piscina di Betzaeta. Qui, nel XII secolo, i Cavalieri Crociati costruirono una chiesa, ancora oggi esistente, dedicata ad Anna. Quando Maria compì i tre anni, per ringraziare Dio secondo la tradizione ebraica, Gioacchino e Anna la presentarono al Tempio per consacrarla al servizio dello stesso, così come avevano promesso nelle loro preghiere. Di Gioacchino gli apocrifi non riferiscono altro, mentre su Anna aggiungono che sarebbe vissuta fino alla bella età di ottant’anni. Sarebbe morta a Gerusalemme e i suoi resti pare siano stati custoditi a lungo in Terra Santa, fino a quando furono trasferite in Francia e tumulate in una cappella scavata sotto la cattedrale di Apt nella regione meridionale della Provenza (Francia). Di queste reliquie si sarebbero poi “perse le tracce”, fino al loro “ritrovamento” e all’ufficiale identificazione, accompagnati da alcuni miracoli. Il culto ai nonni di Gesù, come visto, si sviluppò prima in oriente, mentre fu tardivo in occidente, con inizio timido intorno al 900 - 1000, mentre nell’oriente cristiano già nel VI secolo si avevano manifestazioni liturgiche rilevanti, specialmente in collegamento con le feste mariane quali la Concezione e la Natività. Nel corso dei secoli la Chiesa li ha sempre ricordati in date diverse. Nel 1481, Papa Sisto IV introdusse la festa di Sant’Anna nel Breviario Romano, fissandone la data al 26 luglio (probabile giorno della morte). Nel 1584, il Pontefice Gregorio XIII inserì la celebrazione liturgica di Sant’Anna nel Messale Romano estendendola a tutta la Chiesa. Nel 1510 fu Papa Giulio II, invece, a inserire nel calendario liturgico la memoria di San Gioacchino, alla data del 20 marzo, poi più volte spostata nei secoli successivi. Con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, nel 1969, i genitori di Maria sono stati “ricongiunti”, da Papa San Paolo VI, in un’unica celebrazione il 26 luglio. 
Immagine: "Santi Gioacchino ed Anna con la Vergine Bambina", olio su tela realizzato nel 1697 circa dal pittore napoletano Luca Giordano (1634-1705). L'opera si trova nella chiesa di San Michele a Cuéllar (Segovia, Spagna).
Roberto Moggi
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