Sant’Arsenio, eremita

Oggi - 19 luglio 2024 - venerdì della XV settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, Sant’Arsenio, detto “il Grande”, eremita. Di Arsenius (Arsenio), questo il suo nome latino, si conosce pochissimo. Sappiamo tuttavia che nacque a Roma nel 354 circa, da una nobile famiglia senatoriale, probabilmente già convertita al cristianesimo. Crebbe circondato da raffinata cultura e fu finemente educato in ogni campo dello scibile, tanto che l’Imperatore Teodosio I detto “il Grande” (dal 379 al 395), che l'Imperatore Graziano (dal 375 al 393) aveva associato a se affidandogli la parte orientale dell'Impero, lo scelse quale precettore dei suoi figli Arcadio e Onorio. A questo scopo, nel 383, Teodosio lo fece venire nella sua capitale Costantinopoli, dove restò undici anni, fino al 394. Nonostante tutto, lo sfarzoso e vizioso ambiente di corte non si confaceva assolutamente alla sua spiritualità, ligia al dovere e alla preghiera. Era talmente legato ai suoi sani princìpi, da non arretrare mai di un passo, quando era conscio di fare o dire una cosa giusta e alla sequela di Cristo, finendo così per attirarsi il risentimento di Arcadio, il maggiore dei figli di Teodosio, dedito a una vita piuttosto immorale, che giunse al punto di ordire contro di lui una congiura per ucciderlo. Provvidenzialmente, però, tale attentato fallì e Arsenio, conscio del rischio corso e toccato profondamente da questa grazia, fu colto da una profonda crisi spirituale, che gli fece progettare di ritirarsi in un monastero, Nel 410, quando Roma fu conquistata e saccheggiata dal re barbaro Alarico I, sovrano dei Visigoti (dal 395 al 410) e l’Impero costruito dai Cesari cominciò a vacillare e a crollare, Arsenio comprese definitivamente come la sua vita nel mondo fosse sprecata. Si sentì chiamato verso un nuovo “Impero”, che non avrebbe temuto le orde dei barbari. Decise di abbandonare la vita di corte e di ritirarsi in una allora famosa comunità di anacoreti a Scete (o Scetes), nel deserto egiziano, sotto le cure spirituali dell’abate e futuro santo Giovanni detto “il Nano”. Ottenuto l’esonero dall’incarico di educatore imperiale, pertanto, si trasferì in Egitto per vivere la vita eremitica, presso il monastero San Macario in Wadi el-Natrun, a novanta chilometri circa dal Cairo, sul lato occidentale della via del deserto verso il porto mediterraneo d'Alessandria. Nel monastero, fondato nel 360 da San Macario “l’Egiziano”, vivevano oltre quattromila monaci di diverse nazionalità, tra i quali c’erano uomini di lettere, filosofi e membri dell’aristocrazia del tempo, insieme a semplici contadini analfabeti. Da quel momento in poi, Arsenio abbandonò lentamente la vita sociale, iniziando a praticare sempre più il digiuno e a dedicarsi solo alla preghiera. Fuggiti gli uomini, condusse lì una vita di continua preghiera, quasi sopprimendo il sonno. Al tramonto, volgeva le spalle al sole calante e per tutta la notte, con gli occhi fissi al levante, aspettava l’aurora del nuovo giorno. Soltanto allora, per brevissimo tempo, si assopiva. Un giorno si presentò al monastero un funzionario, informandolo della morte di un suo parente prossimo, che lo aveva nominato unico erede di tutte le sue ricchezze. Arsenio rifiutò immediatamente le cospicue ricchezze ereditate, rispondendo che non poteva e non desiderava essere erede di nessuno, perché già da qualche tempo, per libera scelta, “era morto al mondo”. Nel frattempo, la fama della sua saggezza e della sua santità si diffondeva e sempre più persone venivano in pellegrinaggio nel suo convento per vederlo, parlargli e rivolgergli domande. Le risposte monosillabiche di Arsenio - convinto di non poter parlare contemporaneamente con gli uomini e con Dio, preferendo i colloqui con quest’ultimo - non scoraggiavano i visitatori, che continuavano a venire numerosi. Pregava e piangeva, stanco e affaticato per le lacrime e il mancato sonno. Pregava per l’Impero caduto, ma anche di più piangeva sull’infelicità del mondo, sulla sorte di tanti infelici, sul sacrificio divino, dimenticato e negletto dagli uomini. Ormai stanco e prossimo alla morte, succedette quale abate della comunità monastica a San Giovanni “il Nano”. Il suo pianto, da semplice monaco e da abate, fu assai lungo, fino al giorno in cui passò, con la morte, alla gioia dell’altra vita. Aveva continuato a pregare, in silenzioso raccoglimento, per i quarant’anni successivi al suo arrivo a Scete. Rese l’anima a Dio il 19 luglio del 450 circa, a Troe presso Menfi (Egitto).
IMMAGINE: <<“Sant’Arsenio”, affresco a tempera su intonaco murale, eseguito da ignoto autore (probabilmente un monaco ortodosso), nel XIV secolo. L’opera si trova all’interno del principale monastero ortodosso del Monte Athos (Grecia)>>.

Roberto Moggi
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