Oggi
- 24 luglio 2024 - mercoledì della XVI settimana del Tempo Ordinario,
la Chiesa celebra la memoria facoltativa di San Charbel Makhluf,
sacerdote. Youssef Antoun (Giuseppe Antonio), questi i suoi nomi di
battesimo nella natia lingua araba libanese traslitterata nel nostro
alfabeto, nacque nel 1828, probabilmente l’8 maggio, nel villaggio di
Beqaa Kafra, nel nord del Libano appartenente
all’Impero Ottomano (oggi omonima repubblica del Medio Oriente). I suoi
genitori, Antoun Zaarour Makhlouf e Brigita Chidiac, erano due poveri
contadini fervorosi cristiano-maroniti, che gli diedero due fratelli,
Hanna e Bechara, e due sorelle, Kawn e Warde. La Chiesa cristiana
maronita, all’epoca diffusa in tutto il Libano, prende il nome dal suo
fondatore, San Marone (morto nel 410), asceta siriaco amico di San
Giovanni Crisostomo, che la istituì in quella terra nel IV secolo. E’ in
piena comunione con la Chiesa cattolica, pur conservando le proprie
tradizioni orientali in merito alla spiritualità, alla liturgia, a
qualche sottolineatura teologica, alla normativa canonica e a quella
disciplinare, tanto è vero che i suoi sacerdoti si possono sposare. Riti
e liturgia derivano dalla tradizione dell’antica Chiesa di Antiochia (o
“Antiochena”), fondata da San Pietro Apostolo. La lingua liturgica
tuttora adottata è il siriaco, idiona che nell’uso comune quotidiano è
praticamente scomparso. Quella maronita è l'unica Chiesa d'oriente
rimasta sempre fedele alla Sede Apostolica romana, ma conserva un
elemento di autonomia, come le altre chiese cattoliche orientali
patriarcali, poiché il Patriarca viene eletto dal locale sinodo dei
vescovi, e solo dopo l'elezione fa professione di comunione con il
Pontefice romano. Youssef Antoun ricevette una buona educazione
cristiana in questa Chiesa e, sin dall’infanzia, si mostrò assiduo alla
preghiera e attratto dalla vita monastica ed eremitica, sull’esempio dei
suoi due zii materni, monaci che vivevano nell’eremo libanese di
Sant’Antonio-Qozhaya, dai quali apprese l’esercizio delle virtù. Rimasto
orfano di padre l’8 agosto 1831, quando aveva poco più di tre anni, fu
cresciuto dalla madre, che sposò più tardi, in seconde nozze, Lahoud
Ibrahim, futuro curato della parrocchia del suo villaggio natio. Alla
scuola del paese, Youssef studiò l’arabo e il siriaco, senza mai
smettere di frequentare la chiesa, vivendo in modo talmente pio che i
compaesani lo chiamavano “il Santo”. Portava a pascolare il piccolo
gregge di famiglia tutti i giorni sulle moontagne, recandosi sempre in
una grotta della zona, dove pregava in ginocchio davanti a un’immagine
della Santa Vergine. L’antro si trasformerà poi, da luogo appartato di
preghiera e suo primo eremo, in un santuario e luogo di pellegrinaggio
per centinaia di fedeli. Un mattino del 1851, Youssef lasciò la propria
casa e si presentò al monastero maronita di Nostra Signora di Mayfouq,
nella regione di Byblos, sulla costa mediterranea al centro del Libano.
Aveva l’intenzione di farsi monaco nell’Ordine Libanese Maronita che
reggeva il convento, il più antico della Chiesa cattolica di rito
maronita, fondato da tre monaci di Aleppo, in Siria, il 10 novembre del
1695. In questo monastero, Youssef Antoun fu accettato e vi trascorse il
primo periodo di noviziato, fino a vestirne, nel novembre dello stesso
anno, l’abito religioso. L’anno successivo si trasferì nel convento di
San Marone ad Annaya, nella medesima zona, dove il 1° novembre 1853
entrò formalmente nell’Ordine Maronita pronunciando i voti d’obbedienza,
castità e povertà ed assumendo il nome religioso di Charbel, quello di
un martire della Chiesa di Antiochia del II secolo. Continuò comunque
gli studi teologici nel monastero dei Santi Cipriano e Giustina a
Kfifane, leggermente nell’entroterra, avendo per maestro il futuro santo
Nimatullah Kassab Al-Hardini (1808-1858), che fin da allora costituiva
un ideale per ogni fedele e rappresentava l’immagine vivente dei grandi
monaci santi. Infine, il 23 luglio 1859, fu ordinato sacerdote nella
cittadina di Bkerke, sempre nel retroterra del centro libanese. Da
sacerdote, Padre Charbel visse sedici anni nel monastero di San Marone
ad Annaya, nell’obbedienza ai superiori e nella stretta osservanza delle
regole monastiche. Si imponeva una vita d’ascesi e di mortificazione,
distaccandosi dalle cose mondane e materiali, al servizio del Signore e
votato alla salvezza delle anime. All’inizio del 1875, Charbel ebbe
l’ispirazione di ritirarsi nell’eremo dei Santi Pietro e Paolo, annesso
allo stesso monastero di San Marone, ma il Padre Superiore era alquanto
dubbioso di concedergli l’autorizzazione, trattandosi d’uno stile di
vita particolarmente rigoroso. Tuttavia, mentre quest’ultimo era in
preda all’incertezza, venne a risolvere la situazione un segno dal
cielo. Una notte Charbel aveva chiesto ad un confratello di mettere
dell’olio nella sua lucerna vuota, per consentirgli di pregare, ma
questi vi mise invece dell’acqua. Nonostante ciò, la lucerna si accese
lo stesso, come fosse colma di ottimo olio. Fu questo il primo miracolo
di Charbel, che permise la sua partenza per l’eremo tanto desiderato,
dove giunse definitivamente Il 15 febbraio 1875. Qui, quale eremita
ideale, consacrava il suo tempo al silenzio, alla preghiera, al culto e
al lavoro nei campi. Non lasciava l’eremo che per ordine del suo
superiore e vi viveva alla maniera dei santi Padri eremiti, quasi sempre
inginocchiato davanti al Santissimo Sacramento, pregando con fervore e
trovando la sua delizia nella preghiera durante intere notti. Vi
trascorse così ben ventitré anni, servendo il Signore ed osservando
scrupolosamente e coscienziosamente le regole della vita eremitica. Il
16 dicembre 1898, mentre celebrava la messa, fu improvvisamente colpito
da un’emiplegia (paralisi d’una metà del corpo) ed entrò in un’agonia
che si rivelò lunga otto giorni, durante i quali restò sempre lucido e
mantenne la tranquillità, malgrado le gravi sofferenze. Nell’agonia
Charbel non cessava di ripetere la preghiera che non aveva potuto
concludere durante la messa: “… Padre della verità, ecco il Tuo Figlio
che si offre in sacrificio per darti soddisfazione …”. Ripeteva
ugualmente i nomi di Gesù, Maria, Giuseppe, nonchè Pietro e Paolo,
Patroni dell’eremo. Il 24 dicembre 1898, vigilia di Natale, l’anima
bella e pura di Charbel prese il volo, in tutta libertà, verso quel Dio
che aveva tanto e sempre amato. Fu sepolto nel cimitero del monastero,
ma, successivamente, luci soprannaturali che si sprigionavano dalla sua
tomba, spinsero i superiori a trasferirne le spoglie, che trasudavano
anche sudore e sangue, in una bara speciale, dopo aver ricevuto
l’autorizzazione del Patriarcato Maronita e a collocarle in una nuova
tomba all’interno del monastero. Da quel momento, folle di pellegrini
che lo consideravano già santo cominciarono ad affluire in loco per
sollecitarne l’intercessione, e molti fra loro ottenevano la guarigione
ed altre grazie divine. Nel 1925, fu sottoposto al Papa Pio XI il suo
processo di beatificazione e canonizzazione. Nel 1950, la sua tomba fu
aperta in presenza di una commissione ufficiale di medici, che
constatarono il buono stato delle spoglie, redigendo un rapporto. Le
guarigioni di tutti i tipi si moltiplicarono allora in maniera
improvvisa quanto incredibile e decine di migliaia di pellegrini, di
tutte le confessioni, anche musulmani, affluivano al monastero di
Annaya, per chiedere insistentemente la sua intercessione. Nel 1954,
Papa Pio XII firmò l’approvazione per il suo processo di beatificazione.
Il 5 dicembre 1965, il Pontefice San Paolo VI presiedette alla
cerimonia di beatificazione, al momento della chiusura del Concilio
Vaticano II. Nel 1975, lo stesso San Paolo VI firmò il riconoscimento
del miracolo richiesto per proclamare la santità del Beato Charbel e,
finalmente, la sua canonizzazione ebbe luogo con la cerimonia
internazionale del 9 ottobre 1977. I miracoli di Charbel hanno
oltrepassato le frontiere del Libano, ed un gran numero di lettere e di
rapporti conservati nei registri del monastero di San Marone ad Annaya
attestano chiaramente la diffusione della fama della sua santità nel
mondo intero. Si tratta di un fenomeno unico, che ha operato un ritorno
alla morale ed alla fede ed ha risvegliato le virtù negli spiriti,
facendo della tomba di questo umile monaco un polo d’attrazione per
tutti i fedeli di qualsiasi ceto sociale e qualunque età. Tutti sono
uguali nel raccoglimento e nell’invocazione, a qualsiasi religione e
confessione appartengano. Infatti, tutti sono chiamati figli di Dio. Le
guarigioni fatte per sua intercessione, il cui ricordo è consegnato ai
registri del monastero di San Marone, si contano a decine di migliaia.
Vi si aggiungono quelle avvenute in ogni luogo nel mondo e che
riguardano gente di tutte le etnie, religioni e confessioni, comprese
il dieci per cento relativo a persone non battezzate. Esse sono state
ottenute, naturalmente, per mezzo della preghiera e dell’invocazione, ma
molto spesso anche per il semplice contato dell’olio e dell’incenso
benedetti del monastero, delle foglie di quercia dell’eremo, della terra
presa sulla sua tomba, o visitando la sua sepoltura e toccandone la
porta, o per contatto con la sua immagine e la sua statua in loco.
Alcune di queste guarigioni riguardano il corpo, ma le più importanti
riguardano l’anima. Moltissimi peccatori hanno ritrovato Dio per
intercessione di San Charbel, oltrepassando la soglia del monastero di
San Marone o dell’eremo dei Santi Pietro e Paolo.
Immagine: Il volto di San Charbel in una foto del 1898, scattata forse post mortem nel monastero maronita di San Marone ad Annaya in Libano. L'originale si trova nel medesimo monastero.
Roberto Moggi
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Immagine: Il volto di San Charbel in una foto del 1898, scattata forse post mortem nel monastero maronita di San Marone ad Annaya in Libano. L'originale si trova nel medesimo monastero.
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