Chi troppo s’avanta coccosa le manca

Chi troppo s’avanta coccosa le manca.
Chi troppo si vanta, qualcosa gli manca. Spesso chi decanta qualità e pregi nasconde qualche insicurezza.
Ci presenta, il proverbio, la figura del borioso, sempre intento a vantare le doti che s'immagina di avere, facendo ricordare l'altro detto: "Chi si loda, s'imbroda", con la metaforica figura dello sbrodolone, che si rimpinza di pregi che non ha. Un concetto che si esprimeva nell'antichità con la frase: “laus in proprio ore sordescit”, ovvero “la lode nella propria bocca si sporca”.
Una figura con tutti gli attributi che possono essere usati a definirla, da borioso a presuntuoso, a vanitoso, se non addirittura al narcisista, che si ama alla follia e si pone su un piedistallo per essere venerato.
Il termine "vantare" deriva dal latino vanĭtare, cioè "essere vano", da vanus, vanĭtas, ovvero "vanità". Chi si vanta, elogia ed esalta le proprie doti fisiche o morali, presunte o reali che siano, i propri averi o i propri meriti, per destare l'ammirazione degli altri.
Il vanesio che incontriamo anche su Facebook, magari incapace di scrivere due parole e che mostra sé stesso con una serie infinita di autoscatti e pose varie.
Se poi è capace più o meno anche di scrivere, i concetti che esprime iniziano con "io", che è ripetuto all'infinità, e finiscono con "me".
Una persona che ci mette poco a stancare chi ci si imbatte e che i personaggi interessanti li cerca in ciò che esprimono e non per come si presentano.
Scrisse lo scrittore greco antico Esopo, attento osservatore dei suoi simili:
“Più piccola è la mente più grande è la presunzione.”
E aggiungendo inoltre:
“L'auto-presunzione può condurre all'auto-distruzione.”
Rispetto alla modestia e alla semplicità, con cui si porge al prossimo chi non ha bisogno di ostentare le sue eccellenti doti, bastando esse a renderlo eminente, non con le parole, ma coi fatti.
A conferma della spiegazione del proverbio, leggiamo nel libro: Il gioco dell'angelo, di Carlos Ruiz Zafón:
“Dimmi di cosa ti vanti e ti dirò di cosa sei privo.”
Perché la vanteria non è altro che una compensazione alle insicurezze e alla mancanza di pregi del soggetto, che si illude di colmare la lacuna, non certo con la capacità di cui è privo, ma solo con le chiacchiere e l'ostentazione.
Uno dei fenomeni che può infastidire, se non addirittura irritare, una persona colta, è l'ignorante convinto di sapere tutto e che, lungi dallo starsene zitto,
vanta a destra e a manca il sapere che s'immagina di avere.
Come anche leggiamo in "Superbia e Umiltà", di Andrew Jackson:
“Nessuno è così vuoto come coloro che sono pieni di sé.”
Lo scrittore e umorista inglese Jerome Klapla Jerome sosteneva che la vanità è una virtù quando non diventa un vizio, perché l'eccessiva modestia ci rende invisibili, e impedisce la nostra giusta autoaffermazione.
Indubbiamente un fenomeno che avviene facilmente, in un ambiente in cui si dà più importanza alla forma e all'apparire, piuttosto che alla sostanza che caratterizza la persona.
Avete presente la persona che si presenta con l'emblematica frase: "Se non ci fossi io...", parlando del gruppo di persone di cui fa parte, che magari sgobbano dalla mattina alla sera, per svolgere i propri compiti, mentre il millantatore trascorre la giornata in giro a descrivere i suoi meriti?
Almeno a me, ne è capitata più di una.
Può succedere che l'ipotetico cugino del nipote del fratello del coniuge di una persona famosa ed eminente, per scienza, per arte, o per cultura, parlando di essa, ti guardi con sussiego, dicendoti, con tutta la noncuranza che riesce ad ostentare:
"Ah, sì, è un mio parente"
Perché vuoi mettere lui, rispetto a "quello"? Ma figurati.
Pensiamo a quanti si vantano che la nazione o il posto dove vivono, ha dato i natali a personaggi famosi nella letteratura, nell'arte, o nella scienza, come ben disse Albert Einstein:
"La ricerca della verità e della conoscenza è una delle più alte attività umane, anche se spesso ne menano più vanto quelli che meno vi partecipano.
E che magari esprimono affermazioni perentorie e orgogliose, del tipo: "Michelangelo è nato qui da noi! Mica chissà dove!"
E già e se ci munissimo di un martello e di uno scalpello, è tanto se riusciremmo a procurarci solo un infortunio lieve.
Alessandro Manzoni è stato un italiano!
E chi si vanta di essere italiano come lo scrittore, spesso e volentieri, già è tanto se riesce a compilare una lista della spesa.
Scrisse Lao Tzu, nel Tao Te Ching:
"Che il saggio non si mette in mostra e perciò risplende. Non si afferma e perciò si manifesta. Non si vanta e perciò gli viene dato merito. Non si gloria e perciò viene esaltato"
Uno splendore che, in questa società, pochi hanno la fortuna di vedere.
Iole Barberis
Più esauriente di così...Mi ricorda tanto qualcuno, anzi più di uno...
Però confessiamolo: un pochino vanitosi lo siamo tutti.
Riccardo
Se ci rifacciamo alla frase "Vanitas vanitatum et omnia vanitas" e quindi ogni espressione umana non è che vanità, diciamo pure che scrivere qui nel social, è un mettersi in mostra, ma diventa anche un modo per conoscersi. Tutto dipende poi da come ci presentiamo e dall'interesse vicendevole che possiamo provare su quello che scriviamo.
Certo è che se ci si mostra in una continua celebrazione di sé stessi e delle proprie supposte doti, in un continuo autoincensamento, si prendono per stanchezza gli eventuali interessati, facendoli desistere da qualsiasi coinvolgimento, perché scoprono che più che interlocutori, rappresentano soltanto la platea del narcisista.
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