Il 9 giugno 2023,
la Chiesa celebra la memoria facoltativa di Sant’Efrem (talvolta
indicato con la specificazione “il Siro” o “di Siria”, per la sua
provenienza), diacono e dottore della Chiesa. Le notizie che lo
riguardano provengono da documenti a volte scarsi d’informazioni,
apocrifi o manipolati. I più utili sono il “Testamento Siriaco”, in
massima parte autentico; gli “Atti Siriaci”, anche se con
notevoli aggiunte postume e la “Cronaca di Seert Araba”, tutti
dell’arcivescovo e teologo dell’africa romana Nestorio (381- 451), oltre
a cenni minori in fonti greche e latine. Aphrem, Ephraim o Ephrem
(Efrem), queste le varianti del suo nome nella traslitterazione latina
dalla natia lingua siriaca antica, nacque fra il 306 e il 307 a Nisibis o
Nisibi, avamposto dell'Impero Romano nella parte orientale della
Provincia di Siria, nelle vicinanze della frontiera con l’Impero
Persiano (oggi Nusaybin, nella Turchia asiatica, sul confine con la
Siria). Suo padre, sacerdote pagano, lo scacciò di casa a soli quindici
anni, quando egli manifestò apertamente il proprio interesse per il
cristianesimo. Fu provvidenzialmente accolto nell’abitazione del vescovo
della sua città, Giacobbe, da cui fu battezzato al raggiungimento dei
diciotto anni. Subito dopo - ma la notizia è dubbia - avrebbe
accompagnato lo stesso Giacobbe al concilio ecumenico di Nicea del 325.
Nella tradizionale lotta fra Roma e la Persia, Efraim ebbe occasione di
manifestare concretamente il suo amore per la propria città, nel corso
dei varî assedi che essa subì dai Persiani (nel 338, 346 e 350). Nello
stesso tempo coltivò gli studî da autodidatta, progredendo a tal punto
che il vescovo Giacobbe lo pose a capo, come professore, dell’importante
scuola di tipo catechetico che aveva aperto a Nisibi poco dopo il
concilio di Nicea, nota come “Scuola di Nisibi”, grande centro di sapere
teologico e filosofico, talvolta considerata la più antica università
del mondo. Dopo essere stato consacrato diacono, prima del 338, in
seguito alla disastrosa campagna militare contro la Persia condotta
dall’Imperatore Flavio Claudio Giuliano, detto “Giuliano l'Apostata”
(dal 361 al 363), Nisibi passò ai Persiani. Efrem fu così costretto con
molti altri concittadini a fuggire in territorio romano, trasferendosi a
Edessa, in Assiria (ora nella Turchia asiatica). Nella nuova città
d’accoglienza, pur continuando il suo insegnamento e l'apostolato
cristiano, abbracciò la vita monastica, che rispondeva pienamente alle
sue inclinazioni ascetiche. È generalmente ritenuto probabile che, poco
dopo il 370, Efraim si sia recato a Cesarea di Cappadocia (anch’essa
oggi nella Turchia asiatica), per visitare e conoscere il celebre
vescovo e teologo greco Basilio detto “Magno” (330-379), futuro santo.
E’ invece considerato improbabile che sia stato ordinato diacono dallo
stesso Basilio in occasione di questa visita, e che abbia dimorato a
lungo in Egitto, come attestato da alcune fonti. Le invasioni di
popolazioni cosiddette “barbare”, provenienti dalla vicina vasta
frontiera, oltre a varie carestie, gli offrirono occasione negli ultimi
due o tre anni della sua vita di prodigarsi in favore dei bisognosi.
Infatti, per ridurre l’impatto della carestia che a un certo punto colpì
Edessa, si rimboccò le maniche per assicurare gli aiuti umanitari alla
popolazione e aiutare materialmente quando c’era urgenza di curvare la
schiena su chi soffriva. La cura agli ammalati di peste è l’ultimo
capolavoro da lui partorito, scritto con l’inchiostro della carità.
Tornato poi alla sua vita monastica, morì nelle vicinanze di Edessa il
373, probabilmente il 9 giugno, vittima del medesimo morbo. Venerato fin
dalla prima metà del secolo V nella Chiesa sira e poi in quella greca,
il suo culto fu riconosciuto anche da Roma ed esteso alla Chiesa
universale da Papa Benedetto XV (dal 1914 al 1922), il quale lo dichiarò
anche dottore della Chiesa. Efrem fu uno degli scrittori più fecondi
dell'antichità cristiana in lingua siriaca e il più importante fra essi.
La sua notevole produzione letteraria colpì già gli antichi, che
tentarono vari conteggi delle sue opere, tutti naturalmente
approssimativi. Così, ad esempio, lo storico siro Sozomeno o Sozomene
nella sua biografia di Efraim, afferma che egli scrisse trecento miriadi
(3.000.000) di “stichi”, vocabolo derivata dal greco, col significato
di “riga” o “verso” (Patrologia Greca, LVII, 1086-94). Quantunque Efraim
abbia scritto solo in siriaco, tuttavia la sua produzione si cominciò a
tradurre in greco molto presto, quando era ancora in vita. Allo stesso
modo fu tradotto anche in armeno, latino e, pur se parzialmente, in
arabo, copto, etiopico, slavo. Attraverso queste traduzioni si è
conservata qualche opera andata purtroppo perduta nell'originale
siriaco.
Roberto Moggi
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