Sant’Antonio di Padova

Oggi - 13 giugno 2024 - giovedì della X settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa celebra la memoria obbligatoria di Sant’Antonio di Padova, sacerdote e dottore della Chiesa. Fernando, questo il suo nome di battesimo nella natia lingua portoghese, nacque probabilmente il 15 agosto 1195, a Lisbona, all’epoca una delle tante città (e non la capitale) del Regno di Portogallo, in una nobile famiglia che si ritiene discendesse dal conte e cavaliere crociato d’origine franca Goffredo di Buglione (1060-1100). Trascorse i primi anni di studio sotto la guida dei canonici del duomo cittadino, crescendo nel sapere e maturando una vocazione religiosa che lo porterà, nel 1210, a circa quindici anni, a entrare nel convento agostiniano di San Vincenzo, fuori le mura cittadine, per consacrarsi a Dio. Verso il 1212, però, probabilmente per evitare le distrazioni causategli dalle continue visite di amici e parenti, si spostò a Coimbra, a quel tempo capitale del Portogallo, presso l’abbazia dei Canonici Regolari Agostiniani. Qui rimase otto anni, dedicandosi con seria applicazione alle scienze umane, bibliche e teologiche, la cui padronanza lo rese uno dei religiosi più colti di tutta l’Europa nel XII secolo. Nel 1220, ordinato sacerdote, entrò in contatto con i primi Frati Minori francescani giunti in Portogallo, religiosi da poco istituiti in Italia (1209) dal futuro Santo Francesco d’Assisi (1181/82-1226). L’incontro avvenne quando giunsero a Coimbra, la capitale del regno, le salme di cinque missionari francescani martirizzati in Marocco, che furono esposte nella chiesa di Santa Croce, attigua all’abbazia dove lui si trovava e rimase subito affascinato dalla loro spiritualità. L’incontro si rivelerà importantissimo per lui e fondamentale nel suo percorso di fede, tant’è vero che, con grande sorpresa di tutti, nel settembre dello stesso 1220, lasciò i Canonici Agostiniani per entrare a far parte dei seguaci di Francesco d’Assisi. Nell’occasione, come di prassi, abbandonò il nome di battesimo per assumere quello religioso di Antonio. Infervorato dalla nuova spiritualità, Antonio maturò anche una forte vocazione alla missione e la propensione al martirio. Con questi nobili ideali, partì egli stesso alla volta del Marocco, dove erano stati uccisi i precedenti confratelli missionari. Giunto nel paese islamico dell’Africa settentrionale, però, contrasse una grave e non precisata malattia, che lo costrinse al riposo forzato senza nemmeno poter predicare. Dopo qualche tempo, resosi conto che non riusciva a guarire e che la sua presenza in loco era in quel momento inutile, non gli restò che arrendersi alla volontà di Dio e rimpatriare. S’imbarcò per tornare in patria, ma la nave sulla quale era salito fu spinta da una violenta tempesta in pieno mare Mediterraneo, fino all’isola italiana di Sicilia, sulle cui coste occidentali finì con un rovinoso naufragio. Anche se molto malridotto si salvò, aiutato e curato dalla gente del posto, fino a quando, dopo una convalescenza d’un paio di mesi, ormai guarito, colse l’occasione della vicinanza geografica per recarsi ad Assisi, Libero Comune dell’Umbria nel centro della Penisola Italiana (oggi in provincia di Perugia, regione Umbria), anche sperando d’incontrare personalmente Francesco d’Assisi che, nella Pentecoste del 1221, aveva convocato tutti i suoi frati per una grande riunione. Giunto ad Assisi, riuscì effettivamente a incontrare Francesco, intrattenendosi con lui in un colloquio semplice ma capace di confermare la sua scelta di stare alla sequela di Cristo nella fraternità e “minorità” Francescana. Dopo l’importante scambio d’idee, Antonio fu inviato in Romagna, regione sulle rive del mare Adriatico, nell’eremo di Montepaolo, vicino alla città di Forlì, dove si dedicò alla preghiera, alla mediazione e all’umile servizio ai fratelli. Nel settembre 1222, mentre si trovava in quest’eremo, si dovevano celebrare nel duomo di Forlì alcune ordinazioni sacerdotali, quando venne meno il predicatore invitato per l’occasione e il giovane Antonio, già conosciuto per la sua grande cultura, fu allora invitato a sostituirlo. Antonio accettò e l’occasione fu la rivelazione del suo talento come predicatore. Nonostante fosse straniero, dalle sue parole emergeva una profonda cultura biblica non scevra da grande semplicità d’espressione. Così, da quel giorno, Antonio fu inviato sulle strade dell’Italia settentrionale e del sud della Francia, per animare con la sua predicazione del Vangelo genti e paesi spesso confusi dai dilaganti movimenti ereticali del tempo. Ebbe anche parole di correzione per la decadenza morale di alcuni esponenti della Chiesa. Sul finire del 1223, gli venne anche affidato l’incarico di insegnare teologia a Bologna (Romagna), compito che svolge per due anni, quando non aveva ancora compiuto trent’anni. Antonio fu dunque tra i primi religiosi dediti all’insegnamento della teologia tra i Minori Francescani, con l’approvazione di Francesco d’Assisi in persona, attraverso una lettera a noi giunta. Nel 1226, per la sua grande fama, Antonio fu chiamato a insegnare a Limoges, nel meridione del Regno di Francia (oggi nel sud-ovest della Francia). Non si hanno notizie chiare sul momento del ritorno in Italia. Le agiografie indicano però la sua presenza ad Assisi nel capitolo generale dei Frati Minori, che si tenne in quella città per la Pentecoste, il 30 maggio 1227. Antonio, per i talenti che dimostrava di saper mettere a servizio del Regno di Dio, ricevette anche l’importante incarico di Ministro Provinciale (ossia guida delle comunità francescane) del nord dell’Italia, con molta probabilità nel triennio 1227-1230. L'incarico comportava la visita dei numerosi conventi dell'Italia settentrionale. Egli dimostrerà poi di prediligere la città di Padova, governata in Libero Comune ma sottoposta al sacro Romano Impero (oggi nella regione Veneto) e, in essa, la piccola comunità francescana della semplice chiesa di Santa Maria Mater Domini. In questa città farà un paio di soggiorni ravvicinati relativamente brevi: il primo fra il 1229 e il 1230 e il secondo fra il 1230 e il 1231, durante il quale ultimo morì precocemente. Nonostante il periodo di soggiorno sia relativamente breve, con questa città Antonio instaurò un fortissimo legame spirituale, affettivo e culturale. La biografia detta “Assidua”, la prima su di lui, afferma che scrisse molti dei suoi memorabili “sermones” (sermoni) per le domeniche, durante un suo soggiorno a Padova. Nonostante la notizia non sia del tutto riscontrata, è certo che questo voluminoso testo (rivolto in modo particolare ai confratelli Francescani per formarli alla predicazione) esprima bene la sua grande scienza teologica, che - dopo la canonizzazione - gli procurerà anche il titolo di Dottore della Chiesa. L’impegno che Antonio profuse nella predicazione e nel sacramento della riconciliazione, durante la Quaresima del 1231, può essere considerato il suo grande testamento spirituale. Tutto questo, in modo eccelso, lo unì a una grande attenzione ai poveri e ai mali della città di Padova: grazie ai suoi interventi e insegnamenti, in uno statuto cittadino relativo ai debitori insolventi, datato 17 marzo 1231, il podestà Stefano Badoer stabilì che il debitore, se insolvente senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non dovesse più essere imprigionato. Le fatiche e le privazioni della Quaresima logorarono il suo fisico già provato. Dopo la Pasqua accettò di ritirarsi con altri confratelli a Camposampiero (paese a pochi chilometri da Padova) grazie all’ospitalità del Conte Tiso. Chiese però che gli fosse adattato un semplice rifugio sopra un grande albero di noce, dove trascorreva le giornate in contemplazione con Dio e in dialogo che le genti umili del borgo di campagna. Fu durante questo soggiorno che Gesù, nell’aspetto di bambino, lo visitò e dialogò con lui, come il Conte Tiso poté testimoniare. Il 13 giugno 1231, venerdì, fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi, fu trasportato a Padova, dove lui stesso chiese di poter morire. Giunto però all'Arcella, un borgo alle porte della città (oggi un quartiere della stessa), mormorando le parole “Vedo il mio Signore!”, spirò lo stesso giorno alla giovane età di circa trentasei anni. Il 17 giugno 1231 venne sepolto con solenni funerali nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini in Padova, il suo rifugio spirituale nei periodi d’intensa attività apostolica. Un anno dopo la morte, la devozione dei padovani e la fama dei tanti prodigi compiuti convinsero Papa Gregorio IX (1227-1241) a ratificare rapidamente la canonizzazione e a proclamarlo santo il 30 maggio 1232, a soli undici mesi dalla morte. La Chiesa poi, nel 1946, proclamò Sant’Antonio di Padova “dottore della Chiesa universale”, col titolo di “Doctor Evangelicus” (Dottor Evangelico), ripristinando la consuetudine del Medioevo (dal V al XV secolo circa) e più precisamente del periodo della Teologia Scolastica, di attribuire a rinomati maestri in teologia degli epiteti, che ne indichino la caratteristica principale o la dignità del pensiero del teologo. Il 1° marzo 1981, i resti di Sant'Antonio furono poi ricomposti in un’urna di cristallo che è ospitata all’interno della basilica di Padova a lui intitolata, conosciuta dai padovani semplicemente come “Il Santo”. La basilica, la cui costruzione cominciò nel 1232, è la più importante chiesa della città e una delle più grandi e visitate basiliche al mondo. Non è comunque la cattedrale patavina (sinonimo di “padovana”), titolo che spetta al duomo. A tutt'oggi la basilica è una delle quattro chiese appartenenti allo Stato della Città del Vaticano non situate a Roma, ed è soggetta alla sua giurisdizione. Sant'Antonio è conosciuto anche come il Santo dei Miracoli o il "Taumaturgo" (che opera prodigi). I miracoli a lui attribuiti sono innumerevoli. Impossibile elencarli tutti, ma, a titolo di esempio, è il caso di ricordarne uno molto indicativo, soprattutto per le “conseguenze” benefiche che avrà su tutta la futura opera Antoniana: “ … Verso la seconda metà del 1200, in luogo non meglio precisato verosimilmente del padovano, in una povera casa di campagna, viveva Tommasino, un bimbo di meno di due anni. La madre lo lasciò in casa da solo a giocare, mentre si occupava velocemente della stalla e dei campi e, al rientro, lo ritrovò senza vita, affogato in un mastello colmo d’acqua. Disperata, invocò l’aiuto del Santo e nella sua preghiera fece un voto: se avesse ottenuto la grazia, avrebbe donato ai poveri tanto pane quant’era il peso del bambino. Il figlio tornò miracolosamente in vita e la donna mantenne il suo voto ... ”. Nacque così la tradizione del “Pondus pueri” (“Peso del bambino”), una preghiera con la quale i genitori, in cambio di protezione per i propri figli, promettevano a Sant’Antonio tanto pane quanto fosse il peso di questi ultimi. Forse non tutti sanno che questo miracolo è all’origine dell’Opera del Pane dei Poveri e poi della Caritas Antoniana, organizzazioni Antoniane che si occupano di portare cibo, generi di prima necessità e assistenza ai poveri di tutto il mondo.
IMMAGINE: << "Sant'Antonio di Padova con il Bambino Gesù", olio su tela dipinto nel 1656 dal pittore emiliano Giovanni Francesco Barbieri detto "Il Guercino" (1591-1666). L'opera si trova presso la Courtauld Gallery di Londra >>.
Roberto Moggi
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