San Vito, martire

Oggi - 15 giugno 2024 - sabato della X settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Vito, martire. Vitus (Vito), questo il suo nome in latino, nacque nel 286 circa a Mazara, cittadina sulla costa occidentale della Provincia Romana di Sicilia (oggi Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, regione Sicilia). Della sua vita tratta un passio del VII secolo, successivo di oltre tre secoli alla sua vita e pertanto non del tutto attendibile. La sua famiglia d’origine era ricca e di religione pagana. Suo padre Ila, rimasto vedovo, lo affidò a una coppia di precettori, Crescentia (Crescenzia), nutrice, e Modestus (Modesto), maestro, che erano segretamente cristiani e lo fecero battezzare all’insaputa del genitore, educandolo nel cristianesimo. Quando Vito tornò in seno alla propria famiglia, il padre, accortosi della conversione del figlio, andò su tutte le furie e s’impegnò con ogni mezzo affinché abbandonasse la nuova fede e tornasse ad adorare gli dei. Alla fine, di fronte al suo convinto e reiterato diniego, lo denunciò a Valeriano, “preside” (massima autorità cittadina, detentrice del potere civico) di Mazara, unitamente agli ex istitutori Crescenzia e Modesto. Valeriano li fece arrestare e tentò anch’egli di obbligarli a venerare gli dei, senza ottenere alcun risultato. Pareva ormai scontata la loro condanna a morte, ma i tre ebbero miracolosamente salva la vita, venendo fatti fuggire dal carcere cittadino con l’aiuto di un angelo inviato dal Signore. Secondo una tradizione accettata e riportata da tutti gli agiografi, fuggirono tutti insieme via mare su una barca a vela, approdando più a nord sulla stessa costa, nella località La Punta, in territorio di Capo Egitarso, presso l’abitato di Conturrana (oggi Capo San Vito, in località Monte Erice, vicino a San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, regione Sicilia). Qui Vito cominciò a predicare la parola di Dio tra la gente del luogo, operando anche diversi miracoli. In nome di Dio guariva gli infermi di ogni tipo e scacciava gli spiriti immondi. Tuttavia, a dispetto dei numerosi eventi soprannaturali operati, la sua opera di evangelizzazione fu coronata da scarso successo e furono costretti ad abbandonare la zona. La tradizione popolare, infatti, tramanda che Vito non sia stato accolto benevolmente a Conturrana e che, pertanto, l'inesorabile ira divina si sia abbattuta sul villaggio stesso, seppellendolo completamente sotto una frana, non appena i tre profughi lo ebbero lasciato. Costretti ad allontanarsi ancora una volta, i tre pellegrinarono per un periodo in tutta l’isola, sempre dedicandosi all’evangelizzazione, per poi essere obbligati ad allontanarsi di nuovo via mare, sotto la guida celeste, giungendo in Campania, territorio sulla costa tirrenica meridionale della penisola, dove sbarcarono presso la foce del fiume Sele. Questa volta - come ci tramanda il passio - la fama di Vito e dei suoi poteri taumaturgici non tardò ad arrivare a Roma, giungendo fino all’Imperatore Diocleziano, che, seppur persecutore dei cristiani, lo convocò al suo cospetto nel Palazzo Imperiale, per chiedergli di guarire suo figlio che, secondo i sacerdoti pagani, era punito dagli dei. Odierni studi vorrebbero, al riguardo, che tale disturbo potesse essere frutto della malattia chiamata scientificamente “Corea di Sydenham” o “Chorea minor”, detta volgarmente, in seguito e proprio in suo ricordo, “Ballo di San Vito”. Vito implorò il Signore e, per sua intercessione, l’erede al trono imperiale fu immediatamente risanato. Diocleziano, però, fu ingrato e, mentre Vito era in viaggio per il meridione della Penisola, anziché permettergli libertà di culto e ricompensarlo come aveva promesso, lo fece imprigionare assieme a Modesto e Crescenzia. I tre furono condannati alla terribile pena di morte detta “Damnatio a bestias”, che tradotta letteralmente significa “ (condanna) alle bestie”, cioè a essere dati in pasto alle fiere affamate nelle arene gremite di popolo. Tuttavia, condotti nel più vicino anfiteatro per l’esecuzione della condanna, Vito e gli altri due miracolosamente sopravvissero, giacché le fameliche bestie selvatiche neanche osarono avvicinarli. Furono allora immersi in una caldaia di piombo fuso, dalla quale pure uscirono prodigiosamente illesi. Infine, il 15 giugno 299 (o 304 secondo altre fonti), Vito, Crescenzia e Modesto ottennero la palma del martirio, morendo nel supplizio detto “della catasta”, una tortura che macinava i corpi delle vittime, i quali furono abbandonati insepolti sul posto del martirio, lungo la costa della Puglia, dove oggi sorge Polignano a Mare (provincia di Bari, regione Puglia). Narra il passio che alcuni secoli dopo, una nobile e pia matrona di nome Fiorenza, nel mezzo di una forte tempesta che la colse mentre attraversava il fiume Sele, nella regione Campania, chiese aiuto a Dio che le inviò in soccorso proprio Vito, il quale la aiutò prontamente, indicandole il luogo dove erano sepolti i suoi resti e degli antichi precettori. La nobildonna, per ringraziarlo, decise di dare degna sepoltura a lui e ai suoi compagni, in un non meglio precisato e identificato “Locus Marianus”, come richiesto da Vito stesso. Fiorenza ordinò ai suoi uomini di fare ricerche per trovare questo misterioso luogo, senza alcun risultato. La donna ormai rassegnata decise di seppellire i tre corpi lì dove li aveva trovati, ma, qualche tempo dopo, secondo la tradizione, il fratello di Fiorenza si ammalò e lei fu costretta a chiedere di nuovo aiuto a Dio. Apparsole in sogno Vito, le disse che avrebbe guarito suo fratello se lei avesse seppellito lui, Modesto e Crescenzia nel predetto “Locus Marianus”. Destatasi dal sonno, Fiorenza costatò la perfetta e immediata guarigione del germano e, scoperse, per ispirazione divina, che il “Locus Marianus” si trovava in Puglia, presso il centro abitato chiamato Castrum Polymnianense (oggi proprio Polignano a Mare, provincia di Bari, regione Puglia). Organizzata una piccola flotta, dopo una difficoltosa navigazione giunse nel porto di questa località della Puglia, dove la nobildonna ebbe cura di far costruire una chiesa in onore dei tre martiri e, acquistati alcuni poderi in loco, li donò ai frati Benedettini perché potessero vegliare per sempre sui tre giovani. La Basilica nata nel 900 fu distrutta nel 1300 dagli ottomani e ricostruita quasi un secolo dopo dai veneziani, che furono però scacciati dal feudatario del luogo. Nel 1700 la basilica fu donata di nuovo all’Ordine Benedettino e destinata ad abbazia. Nell’abbazia, dedicata a San Vito Martire, è conservato ancora oggi il suo braccio nel reliquiario opera di un ignoto artigiano napoletano e un altro reliquiario di fattura napoletana contenente la Rotula di un ginocchio.
IMMAGINE: << “San Vito martire tra i Santi Modesto e Crescenza”, olio su tela dipinto nel 1753 dal pittore romano Mattia de Mare (1712-1773). L’opera si trova sopra l’altare della chiesa intitolata al medesimo santo ad Ostuni (provincia di Brindisi, regione Puglia)>>.
Roberto Moggi
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