San Giovanni da Matera, abate

Oggi - 20 giugno 2024 - giovedì della XI settimana del Tempo Ordinario, la Chiesa ricorda, tra i vari santi e beati, San Giovanni da Matera, abate. Johannes (Giovanni), questo il suo nome in latino, nacque intorno al 1070 (ma alcune fonti parlano del 1080) a Matera, in Lucania, nel meridione della penisola italiana appartenente all’allora Regno di Sicilia, (oggi capoluogo dell’omonima provincia della regione Basilicata). Le notizie su di lui si desumono quasi esclusivamente dal testo di un anonimo monaco di Pulsano nel Salento, nella Puglia meridionale (oggi in provincia di Taranto), scritto qualche decennio dopo la sua morte. Altre informazioni si trovano anche in un altro testo agiografico, la “Legenda Sancti Guillelmi”, relativa a San Guglielmo da Vercelli, suo contemporaneo. Sappiamo, da queste opere, che Giovanni, appartenente alla nobile e ricca famiglia Scalcione, ancora ragazzo si allontanò da essa in cerca di un contatto più stretto con Dio, abbandonando ogni ricchezza e scambiando - secondo la tradizione - i suoi abiti lussuosi con quelli miseri di un mendicante. Fu ospitato in un monastero di rito greco situato sull’isola di San Pietro, una delle piccole isole prospicienti Taranto, dove fu pastore del gregge dei monaci basiliani, fino a quando il suo rigore morale - ispirato a una rigida ascesi eremitica - lo portò ad avere incomprensioni con quei religiosi, venendo costretto ad allontanarsi nuovamente. Condusse quindi, per oltre due anni, una vita di solitudine e penitenza in alcune località isolate di Calabria e Sicilia. Dopo quest’esperienza di rigida privazione, tornò in Lucania, presso Ginosa, nella Murgia tarantina (oggi in provincia di Taranto, regione Puglia), dove portò agli estremi limiti la sua ascesi penitente, privandosi quasi completamente del cibo ed evitando quasi del tutto di parlare. Infine, intorno al 1100-1110, iniziò la sua attività di predicazione missionaria, che protrasse sino alla morte. Nell'agro di Ginosa, presso una chiesa quasi diroccata intitolata a San Pietro, fondò una comunità di tipo monastico. Per il restauro di detta chiesetta - si tramanda - fece ricorso a un tesoro provvidenzialmente rinvenuto nei pressi dell'edificio, stuzzicando l'avidità e le ire del locale feudatario, un conte, che lo fece imprigionare. Ciò nonostante, riuscì a liberarsi miracolosamente dalle catene e ad allontanarsi dalla cittadina lucana. La “Legenda Sancti Guillelmi” parla di una deviazione d’itinerario verso Ginosa, da parte di San Guglielmo da Vercelli, in transito per Gerusalemme in Terra Santa, fatta deliberatamente per conoscere Giovanni. Sarebbe stato proprio Giovanni, in seguito, a chiedere a Guglielmo di fermarsi stabilmente nel Mezzogiorno d’Italia, lasciando stare i piani di pellegrinaggio oltremare. Il tono della narrazione lascia intendere un rapporto quasi da discepolo di Guglielmo nei confronti di Giovanni, che si mantenne saldo anche negli anni seguenti. Giovanni, intanto, subiva il fascino della vita itinerante eremitica, tanto da allontanarsi da Ginosa e dai suoi primi discepoli, per vagare un anno intero nel Mezzogiorno d’Italia, giungendo sino a Capua (Campania), dove una rivelazione divina lo indusse a tornare in Puglia. La prima tappa fu sul monte Laceno, presso Bagnoli Irpino e Nusco (Avellino, Campania), dove incontrò ancora una volta San Guglielmo da Vercelli. Poi, sul massiccio della Serra Cognata nei pressi di Tricarico (Matera, Basilicata), si fermò il tempo necessario per aiutare Guglielmo e i suoi compagni a costruirsi un primo ricovero, optando subito dopo per un’attività di predicazione che avesse un pubblico più ampio rispetto a quello delle sparute comunità montane. La meta di Giovanni fu la città di Bari, già capoluogo del “Catapanato” bizantino (provincia) e ancora il centro urbano più importante della Puglia normanna, dove fu attivo intorno al 1127-1128. Tuttavia, la sua predicazione a Bari dovette toccare qualche “nervo scoperto” nel clero locale, che si sentì direttamente attaccato dai suoi rigidi sermoni. Fu così sottoposto a un processo intentato contro di lui dai chierici baresi per blasfemia e sospetto di eresia. Il verdetto, però, gli fu favorevole, con la sua piena assoluzione. Egli preferì tuttavia allontanarsi prudentemente dalla città. In un primo momento, si recò dai suoi primi discepoli che erano rimasti nella comunità di San Pietro di Ginosa, ma poi si fermò nei pressi di Monte Sant'Angelo sul promontorio del Gargano, nella Puglia settentrionale (oggi in provincia di Foggia, Puglia), che scelse ancora una volta per l’alta frequentazione, poiché la cittadina garganica si sviluppava in funzione della celebre grotta micaelica, uno dei santuari più frequentati in Europa. Anche a Monte Sant'Angelo, il comportamento di Giovanni non fu molto difforme rispetto a quello tenuto a Bari, giacché egli si dedicò alla predicazione, sino al compimento del suo primo miracolo, quando riuscì a far piovere, dopo un lunghissimo periodo di siccità, chiamando il popolo alla conversione del cuore e dei costumi. Giovanni si allontanò poi da Monte Sant’Angelo, facendovi ritorno solo dopo un anno, per fondarvi la sua più importante comunità monastica. La scelta del sito per la fondazione gli fu indicata, secondo la tradizione, direttamente dalla Vergine Maria e da San Michele Arcangelo, elevati quindi a patroni del nuovo insediamento. Il luogo prescelto, denominato Pulsano, era un piccolo pianoro terminante a strapiombo sul golfo di Manfredonia, con suo limite una grotta, che forse già ospitava una piccola chiesa rupestre dedicata a Maria, trasformata da lui nella prima chiesa della nuova comunità. Il nuovo monastero incontrò gli immediati favori della popolazione locale, e di chi era desiderosi di condurre vita monastica e, nel giro di sei mesi, i suoi compagni crebbero a dismisura. Oltre alla fama di santità che circondava la sua figura, anche la vicinanza del santuario micaelico di Monte Sant’Angelo ebbe sicuramente un suo rilievo nel determinare il rapido accrescersi della notorietà della nuova fondazione. Molti furono, inoltre, i miracoli da lui compiuti. Sin dagli esordi, Giovanni scelse per i monaci di Pulsano la regola benedettina, insistendo soprattutto sul lavoro manuale, sulla stretta osservanza della povertà individuale e sulla necessità di prestare obbedienza assoluta all'abate. Certamente egli dovette mantenere viva una preferenza per la vita eremitica, sia pure inquadrata all'interno di un cammino di formazione e perfezione che nella vita cenobitica trovava il suo solido fondamento. La comunità di discepoli - maschie e femmine - si allargò molto rapidamente e per questo Giovanni fondò ben presto delle comunità separate da quella centrale di Pulsano. Si crearono così i primi priorati dipendenti dalla casa madre, con la quale intratteneva uno stretto rapporto di dipendenza, secondo un modello di congregazione a forte impronta centralizzante di tipo cluniacense-cavense. L'urgenza di dare un qualche sbocco alla crescente ondata di vocazioni femminili era particolarmente sentita da Giovanni, come pure dal suo compagno San Guglielmo da Vercelli, che si mossero in questa direzione, provvedendo entrambi a fondare monasteri femminili. In particolare Giovanni fondò una prima comunità sul Gargano, presso una chiesa già esistente. Altre comunità femminili dipendenti da Pulsano - la più importante delle quali era quella di Santa Cecilia presso Foggia - sono attestate in fonti posteriori alla morte di Giovanni da Matera. Nel suo ruolo di abate di tutte le comunità pulsanesi, Giovanni dovette spesso spostarsi nei diversi priorati per esercitare concretamente le sue funzioni; proprio durante uno di questi spostamenti lo colse la morte il 20 giugno 1139, presso la dipendenza di San Giacomo nei pressi di Foggia. Dopo la sua morte, la sua casa natale, situata nei Sassi di Matera, fu trasformata in una chiesa rupestre, chiamata “Purgatorio Vecchio”, sempre in quest’ultima città, nella Cattedrale di Santa Maria della Bruna, sono conservate le sue reliquie in un sarcofago.
IMMAGINE: << “San Giovanni da Matera”, affresco a tempera su intonaco realizzato da ignoto autore di scuola lucana nella prima metà del XVIII secolo. L’opera si trova sul soffitto della cattedrale di Matera (Basilicata) >>.
Roberto Moggi
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